Esperimenti più eccitanti

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Un’ideologia chiamata Euro

Mai gli economisti americani sono stati così concordi come nella critica unanime alla moneta unica, votata a fallire perché priva di fondamenti teorici e perché frutto di volubili giochi politici. Ma se l’euro stesso fosse un’ideologia, intrinsicamente destinata a cadere?
L’euro è uno degli esperimenti più eccitanti dell’intera storia monetaria”. Questo l’incipit del report che la Commissione Europea ebbe l’infelice idea di promuovere nel novembre 2009, pochi mesi prima della deflagrazione di quella crisi strutturale dell’Eurozona di cui la crisi finanziaria del 2008 fu soltanto l’innesco.
Il report, celebrando il decimo compleanno della moneta unica, confutava le critiche unanimi che gli economisti americani, esponenti di diverse scuole di pensiero, avevano mosso all’Unione Monetaria fin dai primi anni ’90. Se è vero, come ironizzava G.B. Shaw, che gli economisti non raggiungono mai la medesima conclusione, il caso degli accademici americani rappresenta un’eccezione interessante. E se è vero, come la statistica e l’opinione popolare vogliono, che gli economisti non ci azzeccano mai, l’eccezione è doppiamente interessante dal momento che le critiche americane si sono rivelate fondate.
Già nel lontano 1992 Feldstein, economista americano di scuola neoclassica, vaticinava il fallimento di una eventuale moneta unica rifacendosi alla teoria delle Optimal Currency Areas (per gli amici anglofoni OCAs, in italiano Aree Valutarie Ottimali). Secondo tale modello un’area monetaria è ottimale e, dunque, giustificabile solo se i paesi interessati non sono esposti a shock asimmetrici, ovvero se tra essi sussiste un sufficiente livello di integrazione economica, definito secondo tre criteri: la mobilità della forza lavoro, l’intensità degli scambi commerciali e l’affinità delle strutture produttive. In tempi non sospetti Feldstein, e con lui l’economista liberale-neokeynesiano Paul Krugman, evidenziava come i paesi europei non rispettassero affatto tali criteri, date la bassa mobilità, ascrivibile alle differenze linguistiche e culturali, e la specializzazione delle varie economie in diversi settori produttivi. Oltretutto, notava Feldstein, tale specializzazione si sarebbe accentuata con l’introduzione della moneta unica, acutizzando le differenze intraeuropee, esacerbate, poi, dall’annessione dei paesi dell’est Europa. L’unione monetaria avrebbe dunque rappresentato un “peso economico”, risultante in un maggiore tasso di disoccupazione e in un drammatico abbassamento dei salari durante le fasi recessive. A posteriori, è quanto è accaduto nella periferia dell’Eurozona.
Se il razionale della moneta unica non era da trovarsi nella teoria economica, la genesi dell’euro, secondo gli accademici statunitensi, era da ricercarsi, allora, nella politica. Milton Friedman, padre del monetarismo e anima dell’ultraliberismo, definì l’euro un progetto “elitario, antidemocratico e dirigista”, frutto di una “impostazione non realistica” volta al raggiungimento dell’unione politica al fine di scongiurare ogni bellicismo tra Francia e Germania. Non realistica perché sganciata dalla scienza economica (il cui realismo è tutto da dimostrare, ma questa è un’altra storia) e perché irrispettosa della sopracitata Teoria delle OCAs. I fautori del progetto europeista si sono sempre difesi asserendo che proprio l’implementazione della moneta unica avrebbe portato quell’integrazione economica che all’Europa mancava ex ante. A questo proposito Eichengreen, economista di Berkeley, afferma che l’Unione Monetaria è stato infatti concepita per incentivare le famigerate riforme strutturali, relative in particolare al mercato del lavoro, giudicato da sempre troppo “rigido” e prodigo di garanzie rispetto a quello statunitense. In altre parole, l’euro sarebbe stato il cavallo di Troia impiegato dalle forze liberalizzatrici di matrice anglosassone, tanto in voga durante gli anni Ottanta, per insediarsi saldamente nel Vecchio Continente, forzando riforme sciagurate ma edulcorate dalla propaganda in favore di un’Europa solidale e politicamente unita. Da questo punto di vista il movente politico servirebbe a giustificare e a rendere accettabile un movente tendenziosamente ideologico. De facto, lo stesso federalismo europeista ha manifestato negli ultimi anni tutta la sua carica ideologica, invocando integrazione e cessioni di sovranità a tutti i costi per salvare la moneta unica e dimostrando una totale cecità (dai connotati, appunto, ideologici) nei confronti dei particolarismi nazionali. Se l’euro fallirà non sarà solamente perché privo di fondamenti teorici o perché frutto di contigenti giochi politici, come predetto dagli economisti americani, ma perché ideologico e, dunque, intrinsicamente caduco.

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