E chissà, magari anche, per una volta..

Forza, adesso dimostriamo al mondo che si faceva così!

 


Oggi ho discusso, su Byoblu, del nuovo imminente Governo M5S – Lega, che potrebbe ricevere la fiducia dal Parlamento già la prossima settimana. Ne ho discusso insieme al professor Paolo Becchi, una vecchia conoscenza del blog fin dal suo esordio, avvenuto proprio qui con l’intervista “Dobbiamo uscire dall’Euro adesso“, pubblicata il 16 maggio 2012.
A dire il vero, che un governo M5S – Lega fosse l’unica possibilità per evitare un nuovo podestà forestiero alla Monti (questa volta con scarse probabilità di essere accettato dagli italiani), o per evitare il ritorno al voto, l’avevo scritto il 24 marzo scorso su queste pagine: “Perché avremo un Governo M5S-Lega, oppure niente“. Tuttavia, il balletto istituzionale è servito sostanzialmente ad assicurare un risarcimento politico a Berlusconi, il quale in primis ha evidentemente verificato, nell’ultima tornata delle regionali, che nuove elezioni per lui avrebbero significato con tutta probabilità la disfatta finale di Forza Italia, e secondariamente avrà certamente condotto una trattativa fitta per mettere in cassaforte un certificato di garanzia che protegga le sue televisioni e che lo metta al riparo da una versione hard della legge sul conflitto di interessi. Con questo salvacondotto in mano, per Berlusconi finalmente si è trattato di fare le scelta più saggia: agevolare la formazione di un esecutivo a trazione giallo-verde, piuttosto che fare l’offeso e perdere anche i parlamentari faticosamente conquistati il 4 marzo.

Mattarella non ha nessuna possibilità di impedire la nomina dei ministri, perché la Costituzione gli assegna esclusivamente la facoltà di nominare i ministri su indicazione delle forze politiche incaricate di formare un esecutivo. L’unica cosa che può fare, eventualmente, sarebbe non dare il mandato esplorativo a Di Maio – Salvini (è il Presidente della Repubblica che conferisce l’incarico di formare un Governo), ma francamente si tratterebbe di un golpe dai contorni talmente definiti che non appare un’ipotesi plausibile neppure per queste istituzioni, che negli ultimi cinque anni hanno piazzato un governo tecnico dopo l’altro.
Certo: fatto il Governo, il percorso non sarà facile. “Nei ministeri non posso spostare neppure una pianta“, si lamentava Berlusconi prima del 2011. E probabilmente è vero. Trump ha passato il primo anno a dimissionare direttori, presidenti e le teste degli organigrammi, nel tentativo di disfarsi del deep state, quell’insieme di burocrati nominati dalla parte politica avversa, che avevano tutto l’interesse a resistere al cambiamento (se non altro per non ritrovarsi a spasso). La stessa cosa dovrà avvenire anche in Italia, anche sulla figura del capo dello Stato, che ha ricevuto con tutti gli onori, al Quirinale, un’organizzazione (la commissione trilaterale) che si vanta di essere la fucina dei ministri dei Governi dei paesi democratici. Quella stessa organizzazione che ha offerto la carica di presidente a Monica Maggioni, presidente Rai, ovvero la garante degli equilibri dell’informazione pubblica. Quella stessa organizzazione – per chi ancora non lo sapesse – che definiva un intoppo le democrazie, troppo lente e farraginose, e che auspicava che la gran parte del popolo se ne stesse in apnea (letteralmente), cioè ai margini del dibattito pubblico (leggi “Tutto tranne democrazia“). Quando verrà il momento di nominare il nuovo Presidente della Repubblica, avremo un Parlamento come Dio comanda, che certamente non rinnoverà il mandato (cosa che neppure la Costituzione prevede) al Napolitano di turno pur di obbedire alla religione europea. Magari questa volta si riuscirà ad eleggere non uno come Rodotà, che nel frattempo purtroppo è morto, ma qualcuno dello spessore necessario e finalmente vicino al popolo (come lo fu Pertini).
E poi, chissà che non arrivi il “regalo”: una bella pulizia della carta costituzionale per restituirla agli antichi fasti, smacchiandola da quell’ignomignosa vandalizzazione voluta dal Governo Monti e votata dalle larghe intese di allora: il “pareggio di bilancio”, che è un buon principio in ambito familiare (dato che non abbiamo una zecca in casa), ma che a livello statale è un’eresia funzionale solo a trasferire ricchezza e sovranità ad energumeni invisibili che già detengono il 50% delle risorse del pianeta. Ma che non si accontentano mai.
Certo, per realizzare questo ed altro serve un Movimento 5 Stelle che torni agli antichi fasti, che abbandoni il leccaculismo nei confronti dei mercati, della finanza, delle banche, delle lobby, della Trilaterale, del Vaticano (il giro delle sette chiese che Di Maio ha dovuto fare col cappello in mano per accreditarsi come forza “responsabile” e disponibile), e che sfrutti la sola occasione che ha il popolo italiano da almeno venti o trent’anni a questa parte di migliorare il proprio destino. E chissà, magari anche, per una volta, di dimostrare al mondo che le rivoluzioni noi le sappiamo davvero fare. E si fanno così.

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