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Carta canta e, dati alla mano

Gli immigrati siamo noi                                               
1280px-stazione_centrale_milanoprova-1024x719Viaggio al centro della disoccupazione, tra il fallito Jobs Act e gli Stati stranieri che sfruttano i nostri encefali transfughi.
di Guido Rossi - 21 settembre 2016
Carta canta e, dati alla mano, i valori occupazionali hanno dimostrato l’inevitabile, ossia che, come già chiaro sin dal suo varo, il Jobs Act sia clamorosamente fallito. Tra gennaio e giugno di quest’anno infatti, le assunzioni stabili rispetto al 2015 sono diminuite del 33,7%, letrasformazioni si sono ridotte del 30,5% e le cessazioni di rapporti fissi sono diminuite del 9,1%.
Al contempo è incrementato del 36% -praticamente, caso strano, della stessa percentuale- il ricorso ai vaucher, e quindi al lavoro precario, per un totale di 84,3 milioni di buoni da 10 euro venduti. Che la riforma renziana del lavoro non avrebbe funzionato non era poi difficile prevederlo; d’altra parte cosa aspettarsi da un’economia infettata da una moneta sbagliata, che oltre ad appesantire notevolmente i nostri beni ed il nostro debito, impedisce ogni più piccola svalutazione del cambio? La prima inevitabile conseguenza è, data per scontata la perdita di competitività, la svalutazione del mercato interno.
Per dirla altrimenti, per poter abbassare i prezzi delle nostre produzioni, e quindi essere più “competitivi”, l’unico modo rimane quello di abbattere i costi del lavoro, quindi diminuzione degli stipendi, distruzione dei diritti dei lavoratori, e perché no licenziamento (facilitato non poco dall’eliminazione del famigerato articolo 18). Se ciò non bastasse, bisogna ricordare che a spingere sempre più verso il basso le nostre possibilità lavorative ci pensano le orde di immigrati provenienti dal mare o dai nostri confini interni, spinti in Europa non dalla guerra ma dall’avidità di pochi finanzieri nostrani; si tratta infatti di un enorme esercito di lavoratori a costo zero e senza diritti, ottimi per essere sfruttati nelle più comuni mansioni, e per distruggere definitivamente i pochi diritti rimasti ai nostri lavoratori, costretti a competere (tradotto: a farsi abbassare lo stipendio) con una manodopera di scarsa qualità ma a costo nullo. Ciliegina sulla torta le politiche di austerità, e quindi i tagli alla spesa pubblica (quella che dovrebbe garantire i nostri servizi fondamentali, come sanità, istruzione, sicurezza ecc) ed aumento della pressione fiscale. Risultato: ancora meno soldi in tasca da spendere nei nostri prodotti; conseguenza: siamo costretti ad acquistare prodotti stranieri da due lire (sì, proprio quelli che spuntano da ogni parte nei supermercati) lasciando morire le produzioni locali.
Ecco perché è fallito il Jobs Act, ed in generale le politiche renziane; queste portano ad aumentare l’offerta di lavoro senza far nulla per la domanda. Come disse il ministro Poletti “abbiamo staccato un milione di giovani dal divano”! Giusto, la vita sedentaria è dannosa, ma adesso al massimo vanno a spasso, cosa sicuramente più salutare, ma lavorativamente sterile. Suvvia però, niente paura! A salvarci ci pensa la virtuosissima Germania, ben più savia dei nostri governanti e pronta ad accogliere a braccia aperte le nostre menti più brillanti. Eh già, la stessa Germania che seleziona tra gli immigrati (sempre il famoso esercito a costo zero) quelli migliori e preparati, lasciando il resto fuori. Quella Germania che fa lo stesso con i nostri ragazzi, circuendoli con poche briciole (comunque tante rispetto all’italico nulla), diminuendo ancor più le nostre possibilità di ripresa. Ma quella non è generosità, non è lavoro e neppure carità, perché anche gli italiani sono sfruttati a costo zero; perché gli immigrati siamo noi.

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