La formula che ci inchioda
Liberamente riadattato da Vito Lops, l’Economia della Trasparenza
Ricordo che a 6 anni, in prima elementare, imparai il concetto basilare dell’algebra: i numeri possono avere un segno positivo (+) o un segno negativo (-). Ricordo anche che a 19 anni, mentre preparavo l’esame dal primo corso universitario di economia politica, l’algebra mi servì per comprendere i saldi settoriali. Ovvero: il sistema economico di ogni paese si poggia su saldo interno, saldo estero e saldo pubblico, secondo queste definizioni:
- saldo interno: la differenza tra investimenti delle imprese (domanda di beni e servizi per accrescere la capacità produttiva) e il risparmio privato delle famiglie al netto di consumi e tasse (I-S).
- saldo estero: la differenza tra esportazioni e importazioni (X-M), dove però non vengono conteggiate solo le merci (che permettono di ricavare la bilancia commerciale) ma anche i fattori di produzione (lavoro e capitale). Infatti anche il lavoro e il capitale si possono esportare e importare. Accade, per esempio, quando un residente italiano percepisce uno stipendio per un lavoro all’estero o quando, molto semplicemente, si acquistano titoli stranieri che danno un rendimento (capitale) pagato da un altro Stato. Il saldo esterno (osaldo delle partite correnti, CA) è comprensivo anche di questi due elementi.
- saldo pubblico: la differenza tra spesa pubblica (G) e tasse (T). Se è positivo, vuol dire che uno Stato immette valore a vantaggio della collettività. Se è negativo, vuol dire che lo Stato sottrae ricchezza alla collettività. Lo Stato, in condizioni di pieno potere, è anche l’unico ente preposto alla gestione monetaria.
Eppure, il 17 aprile dell’anno scorso il Parlamento ha introdotto una nuova regola d’oro, questa volta arbitraria e fondata sul Fiscal Compact, che Guarino giudica frutto di trucchi, arbitri, imbrogli e illegalità: il pareggio di bilancio, recepito modificando l’articolo 81 della Costituzione senza alcun dibattito pubblico e arrivando sostanzialmente a “proibire Keynes per legge”. Recita infatti il primo comma del nuovo articolo:
«Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»
Ciò significa che dal 2014 il saldo pubblico dovrà necessariamente essere pari a zero, pena l’incostituzionalità di qualunque legge economica che determini un qualunque squilibrio. Lo Stato diventerà cioè neutrale per definizione. Ma siamo sicuri che rendere uno stato neutrale sia la cosa più giusta? Il debito, tecnicamente, non è importante in quanto tale, ma lo è come strumento per finanziare la crescita. Così come si finanziano i progetti imprenditoriali importanti, infatti, un investimento si giudica in base a molti parametri. Ad esempio il valore aggiunto che produce, che in taluni casi può perfino non essere di natura finanziaria ma finalizzato all’utilità sociale. L’aspetto centrale è quindi che la crescita di un Paese sia superiore ai tassi che esso paga per indebitarsi. Ma come è possibile questo con uno stato che diventa spettatore di se stesso?
Al contrario, si può invece dimostrare che saremo algebricamente più poveri. Se uno dei tre saldi settoriali sui quali si basa l’economia di un paese viene azzerato, infatti, allora la somma totale della nostra equazione iniziale (che è sempre pari a zero) dipende tutta dagli altri due fattori: il saldo estero e il saldo interno. Significa cioè che se il primo è positivo (cioè se le esportazioni superano le importazioni) allora il saldo privato non potrà che essere negativo. E viceversa.
O ci hanno insegnato una marea di stupidaggini, e allora dovrebbero andarsene, o stanno facendo una marea di stupidaggini. E alloradovrebbero andarsene. A loro la scelta.
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