Il “golpe” atlantista


L’articolo di Ambrose Evans-Pritchard George Soros e il golpe patriottico della Bundensbank[1] ci pare essere un’ulteriore conferma che ben poco si capisce della politica economica del Governo Monti se non si tiene presente che per i centri di potere occidentali è essenziale risolvere la “questione tedesca”. Infatti, il noto giornalista del Daily Telegraph, si rende pienamente conto, pur condividendo una concezione economicistica e filo-occidentale, che l’attrito tra la Germania e gli altri Paesi di Eurolandia rischia di distruggere la stessa Unione Europea.

A questo proposito, Evans-Pritchrad ricorda che di recente George Soros, in una intervista al quotidiano francese Le Monde, ha dichiarato: «L’introduzione dell’euro ha portato alla divergenza invece che alla convergenza. I Paesi più fragili dell’Eurozona hanno scoperto di essere in una situazione da Terzo Mondo, come se i loro debiti fossero in valuta straniera, con la conseguenza fatale di un reale rischio di default. Cercare di imporre loro il rispetto di regole che non funzionano rischia solo di peggiorare la situazione. È triste, ma le autorità politiche non lo comprendono». Secondo Evans Pritchard, le affermazioni di Soros non sono affatto esagerate, considerando che il Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, sostiene che la grave situazione finanziaria della Spagna e dell’Italia non concernerebbe né la Bundesbank né la BCE. Per Weidmann, occorre solo che questi Paesi si guadagnino la fiducia dei “mercati” con il rigore, i sacrifici e le riforme. Commenta giustamente Evans-Pritchard: «Francamente, credo si tratti dipanzane ideologiche che hanno superato da parecchio la data di scadenza, cosa che vale anche per le strutture decisionali del mondo intero, dal FMI alla FED alle autorità cinesi».
Non solo, quindi, Evans-Pritchard riconosce (e non è poco) che da un pezzo il sistema finanziario internazionale è giunto al capolinea, ma ritiene che le parole del Presidente della “Buba” siano segno che i tedeschi possano decidere «di arrivare il prima possibile a una crisi drammatica e definitiva». Nulla di strano, dato che la Germania è sotto di oltre 600 miliardi di euro in crediti “Target 2″ (il sistema di regolamento finanziario in tempo reale che serve per riequilibrare gli scompensi valutari tra i membri dell’Eurozona) «nei confronti del resto del sistema BCE (essenzialmente trasferimenti alle banche centrali dell’Irlanda del Club Med per scongiurare la fuga di capitali) con un balzo di 68 miliardi in un solo mese». E ciò spiega pure per quale motivo la Bundesbank, temendo una espansione eccessiva di liquidità, si sia opposta alle misure prese da Draghi per rifinanziare le banche, mediante una iniezionedi mille miliardi, a un tasso d’interesse dell’1% (in teoria allo scopo per “rilanciare” l’economia reale, mentre le banche hanno comprato titoli di Stato che rendono assai più dell’1%). Ma, naturalmente, più il tempo passa piùdifficile diventa per la Germania “chiudere il rubinetto” e, di conseguenza, scegliere di uscire dall’euro.
Perciò, se i tedeschi vogliono fare marcia indietro, devono affrettarsi. In definitiva, a giudizio di Evans Pritchard, non vi sono che due possibilità: o il sistema collassa oppure vi sarà l’effettiva fusione degli Stati dell’Eurozona; vale a dire che gli Stati nazione di Eurolandia, Germania inclusa, «cesserannodi esistere in ogni forma sostanziale» (un punto che Weidmann sembra comprendere perfettamente). Logico allora che ci si chieda, con Evans-Pritchard, se bisogna tifare per il Presidente della “Buba” o averne paura. Domanda alla quale, tuttavia, non è difficile rispondere, dato che, da un lato, è evidente che, quando vi è una crisi dell’economia reale, imporre una politicadi rigore e sacrifici basata sul pagamento del debito pubblico, che costa decine di miliardi di euro ogni anno e che è in gran parte nelle mani dipotentati stranieri, non può che condannare un Paese all’immiserimento. Dall’altro, la scomparsa dei Paesi di Eurolandia, coinciderebbe (ma questo Evans-Pritchard, per ovvi motivi, non lo prende nemmeno in considerazione) con la completa americanizzazione dell’Europa. Ovverosia equivarrebbe a cancellare lo Stato sociale, nonché qualsiasi identità locale, nazionale e “continentale” (cioè autenticamente europea) per strutturare ogni mondo vitale secondo l’ideologia della merce, la lingua inglese e i “valori” dell’american way of living.
In quest’ottica, è veramente di capitale importanza, a nostro avviso, il ruolo del Governo Monti, che è disposto perfino a sacrificare la PMI italiana – la spina dorsale della nostra economia – pur di saldare una Germania ancora recalcitrante all’Atlantico e poter così asservire completamente l’Europa alla potenza d’Oltreoceano. Del resto, il Governo Monti mostra pure chiaramente in che senso i tecnocrati dell’UE intendono l’”europeismo”: Esteri e Difesa a stelle e strisce, conferma dell’impegno in Afghanistan, nonché della necessitàdi costruire uno scudo anti-missile in Europa Orientale per difendersi dai “Tartari” (ovvero per far fronte ad una minaccia che, in realtà, non esiste). Ma ancora più significativo è che Monti non esiti a schierare in prima linea il nostro Paese non solo contro l’Ucraina e la Siria, ma addirittura contro l’Iran, benché l’interscambio tra questo Paese e l’Italia sia di diversi miliardi di euro.
In sostanza, tutto ciò dimostra che è proprio sul piano geopolitico che si sta giocando la partita decisiva e che l’oligarchia occidentale, dovendo far fronte contemporaneamente alla sfida del gruppo dei BRICS ed alla crisi del sistema finanziario internazionale, non può in alcun modo permettersi che la Germania possa “scivolare” verso Est. D’altronde, pur considerando che l’attuale classedirigente tedesca non ha alcuna intenzione di adoperarsi per far cambiare rotta all’Europa (anche al fine di difendere un modello sociale ed economico “continentale”), non sarà facile per i centri di potere atlantisti risolvere la “questione tedesca”, posto che per la Germania (ma lo stesso, mutatis mutandis, vale per l’Italia) crescita e (soprattutto) sviluppo “non parlano inglese” (e su questo si deve insistere, in primo luogo con quelli – e sono la maggioranza – che non conoscono altra “lingua” se non quella dell’economia).
Non ci si deve sorprendere, dunque, che si sia venuta a configurare una situazione paradossale in cui le sorti degli europei sono nelle mani proprio dicoloro che hanno tracciato la strada che conduce l’Europa nel baratro. Tanto che Monti ha nominato commissario per la spending review (la “neolingua” è ormai pressoché obbligatoria nella “colonia Italia”), insieme a Bondi e all’”amerikano” Giavazzi, quel Giuliano Amato che è uno dei massimi responsabili dei guai del nostro Paese. Cioè il tecnocrate che, dopo aver militato nelle file del cosiddetto “CAF”, nel 1992 fece una manovra da 93000 miliardi di lire per ridurre il deficit pubblico (sic!) e che in seguito ebbe a presiedere il Comitato incaricato di “riscrivere” (ma cambiandone solo la forma) la Costituzione europea, dato che era stata bocciata dal popolo francese e da quello olandese.
Ma allora chi sarebbero coloro che portano alla rovina l’Europa, se non quegli esperti che oggi pretendono di salvarla? Questo, in Francia e in Ungheria, alcuni lo hanno capito. Certo, non poche delle posizioni che essi difendono non possiamo condividerle, anche perché la difesa delle diverse identità europee non deve essere assolutamente confusa con l’islamofobia o con altre forme di xenofobia, che, tra l’altro, impedendo che l’Europa si liberi diparadigmi ideologici aberranti o comunque obsoleti, rafforzano, anziché indebolire, la posizione subalterna del Vecchio Continente nei confronti delle lobby atlantiste e sioniste. Ma è innegabile che, sotto certi aspetti, i più “sprovveduti” paiono essere gli italiani che, tranne poche eccezioni, dal 1992 ad oggi si sono ingozzati di calcio, di programmi televisivi volgari e demenziali,di berlusconismo ed antiberlusconismo, come se la storia non avesse più nulla da insegnare al nostro Paese.
Sicché, ora che la storia “presenta il conto” è naturale che non siano molti gli italiani che comprendono che alla loro testa stanno marciando i loro nemici. E se di regola non è mai troppo tardi per imparare, è anche vero che di solito è più facile regredire che progredire. Ben più rilevante però potrebbe rivelarsi invece il deficit cognitivo dei tecnocrati “europeisti”, che come gli apprendisti stregoni hanno evocato forze che non sanno controllare. Il che può anche darsi che sia parte costitutiva di quella “geopolitica del caos” che non può che essere in funzione degli interessi dell’America e dei suoi principali alleati, ma proprio per questo laddove si vede solo caos e disordine, vi è pure la possibilità di una autentica distruzione creatrice, cioè, rebus sic stantibus, dell’instaurazione di un nuovo ordine multipolare. Non a caso, si ode di nuovo, sia pure ancora in lontananza, il rullo dei tamburi di guerra. Insomma, pare proprio che tutti i nodi stiano per venire al pettine. Nondimeno, anche se forse sono troppi e troppo difficili da sciogliere, si tratta sicuramente di un motivo in più per non arrendersi.
di Fabio Falchi - 09/05/2012

Fonte: eurasia [scheda fonte] 

Note: 
1. http://www.informarexresistere.fr/2012/04/29/george-soros-e-il-golpe-patriottico-della-bundensbank/#axzz1twFpuhpm

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