Quanto reggerà il Paese?

Coronavirus e quarantena: l’Italia sotto i cannoneggiamenti

L’Italia affronta il momento più difficile del dopoguerra: il diffondersi del Coronavirus nelle regioni settentrionali, oltre al rischio che comporta per la salute pubblica, minaccia soprattutto di paralizzare l’economia in un momento delicatissimo, quando già si avvertivano i segnali dell’ennesima recessione. L’epidemia di Coronavirus si salderà presto con l’assalto speculativo ai nostri titoli di Stato: obiettivo ultimo di Washington e Londra è scardinare l’Europa attraverso il default dell’Italia. Si concluderebbe così la strategia iniziata nel lontano 1991, cui l’Italia ha tentato e tenta di sottrarsi convergendo verso gli emergenti del sistema, Russia e Cina in testa.

Può l’Italia sopravvivere ad un blocco del Nord?

L’Italia vive i momenti più difficili del secondo dopoguerra, forse addirittura della sua storia unitaria. Tra il 21 ed il 23 febbraio si è registrata un’improvvisa impennata di infezioni da Coronavirus, facendo dell’Italia il Paese europeo sino a questo momento più colpito, il terzo al mondo dopo Cina e Corea del Sud: l’epicentro dell’epidemia, collocato tra la Lombardia ed il Veneto, rischia di paralizzare l’intero Nord produttivo per settimane, arrestando il motore dell’economia nazionale: come se non bastasse, il rischio di una paralisi del Settentrione giunge quando, complice il brusco rallentamento della Cina delle ultime settimane, già spiravano venti di recessione. Cosa accadrebbe alle finanze pubbliche se il gettito fiscale del Nord crollasse bruscamente? E, allargando lo sguardo, cosa accadrebbe all’Eurozona se l’Italia, dopo aver a lungo vacillato, stramazzasse infine al suolo? Non è affatto azzardato asserire che l’obiettivo ultimo dell’epidemia di Coronavirus che sta colpendo l’Italia sia proprio il collasso dell’eurozona e dell’Unione Europa, attraverso il default della terza economia del Paese: se, come è altamente probabile, tali nostre previsioni sono corrette, nelle prossime settimane la crisi sanitaria si dovrebbe evolvere in economica e, infine, finanziaria, attraverso l’assalto speculativo ai nostri titoli di Stato. Così facendo si completerebbe la strategia angloamericana avviata parallelamente alla firma del trattato di Maastricht: distruggere l’Europa unita a trazione tedesca, intollerabile per qualsiasi stratega a Londra come a Washington, servendosi del progressivo cedimento dell’Italia.
Partiamo dagli ultimi fatti: nelle ultime 48 ore il numero di casi di Coronavirus in Italia è esploso. Sulla natura del virus come classico esempio di “guerra biologica” abbiamo recentemente scritto quando la malattia si è manifestata nella città di Wuhan, obbligando le autorità cinesi ad adottare misure senza precedenti. Da allora sono emerse chiaramente le finalità dell’operazione: obbligare Pechino a isolare vaste e popolose regioni, sospendere le attività produttive, ridurre i voli e gli scambi commerciali coll’estero. Una guerra asimmetrica con effetti non tanto letali per la popolazione (sinora si contano circa 2.400 morti in Cina) quanto per l’economia: gli stessi effetti che rischiano di costare carissimo all’Italia. Per quanto concerne il nostro Paese, il lato sicuramente più significativo della vicenda è la nebbia che avvolge i canali con cui virus è arrivato in Italia, propagandosi ad un ritmo tale da trasformare il Settentrione nell’epicentro europeo del Coronavirus: perfino l’OMS parla di “mistero” sulle origini dell’epidemia. Come si ignora il perché, a distanza di 17 anni dalla SARS, una nuova polmonite incurabile sia sorta nel cuore della Cina, così si ignora come questa abbia potuto sbarcare in Italia, aggirando le misure di contenimento sinora prese: i mezzi per la diffusione del virus certamente non mancano, se si considera che il Triveneto è una delle zone italiane a maggior presenza militare statunitense.
Se la prima ricaduta del Coronavirus è economica, quella collegata a stretto giro è geopolitica: la Cina, la cui strategia egemonica è basata su una progressiva affermazione come centro economico-culturale del globo, si è vista improvvisamente “messa in quarantena” dalla comunità internazionale. Soprattutto, non dispiacerebbe se la brusca decelerazione economica degenerasse in rivolte o in un’aperta contestazione della leadership di Xi Jinping, il cui nome è indissolubilmente legato alla Nuova della Via della Seta. Nel caso italiano, invece, la paralisi economica che rischia attanagliare il Nord produttivo si inserisce nel processo di demolizione scientifica del nostro Paese, come strumento per destabilizzare l’intera Europa. Nella nostra recente analisi geopolitica di lungo periodo avevamo infatti sottolineato come la crisi finanziaria italiana, innescata da una No Deal Brexit che appare ogni giorni più probabile, fosse “il piede di porco” per scardinare l’eurozona e riproporre, nel Vecchio Continente, una tempesta finanziaria simile a quella che Soros e la City avevano scatenato nel Sud-Est asiatico nel 1997. L’Italia, che negli ultimi sette anni è sopravvissuta grazie alla domanda esterna e quindi al commercio mondiale, già ha mostrato nelle recenti settimane preoccupanti segni di rallentamento a causa della guerra commerciale sino-americana che ha indebolito tutti i grandi Paesi esportatori, Germania e Giappone compresi. Gli effetti dell’epidemia cinese di Coronavirus sulla nostra economia sono al momento sconosciuti, ma già i primi analisti cominciavano la scorsa settimana a parlare di una recessione italiana a causa dell’interruzione degli scambi est-ovest. A ciò si aggiunge, in queste ore, l’emergenza Coronavirus sul suolo nazionale, che non solo rischia di paralizzare le regioni settentrionali più produttive, ma anche di trasformare, seguendo l’esempio cinese, l’Italia in una “grande lazzaretto”, assestando un durissimo colpo allo strategico settore del turismo: effetto finale sul Pil? Drammatico: un probabile -2% o -3%, che aprirebbe le danze della speculazione, dinnanzi alla crescenti difficoltà dell’indebitatissima Italia ad accedere al mercato dei capitali. E se salta l’Italia, salta l’Unione Europea.


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