Tanto odio per l’euro e tanto amore per il dollaro?

Il Tesoro compra “a sorpresa” 500 milioni di BTP biennali: proprio il giorno dell’accordo di governo


“Il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica che, in data odierna, è stata effettuata un’operazione di acquisto titoli di Stato tramite conferimento di incarico ad intermediari individuati fra gli specialisti in titoli di Stato, utilizzando le giacenze del Conto disponibilità del Tesoro. Roma, 31 maggio 2018”. Ammetto che mi fosse sfuggito, visto che gli occhi di tutti ieri erano puntati sul Quirinale. E che l’asta di titoli di Stato, la prima dopo lo scossone dello spread, si era tenuta mercoledì, con notevole rialzo dei rendimenti ma buona tenuta della domanda. Cosa significa? Che il Tesoro, di fatto, ha dato vita a un’operazione non precedentemente comunicata – e, quindi, immagino nemmeno pianificata – di titoli di Stato. Per l’esattezza, BTP biennali. Ecco il dettaglio della carta acquistata,

tanto per essere sicuri che sia vero. Ma, soprattutto,


ecco la reazione a quegli acquisti da parte del mitologico “mercato”, ovvero – trattandosi di titoli di Stato durante un regime di QE – della BCE, la stessa entità malefica che, a detta di qualcuno, avrebbe mosso le proprie truppe per far impennare il differenziale fra BTP e Bund, quasi dimezzando i suoi acquisti obbligazionari la scorsa settimana. Insomma, Mario Draghi avrebbe voluto boicottare il governo Salvini-Di Maio, spaventando gli investitori. Il tutto, per antico odio risalente ai tempi della Banca d’Italia contro Paolo Savona, a sua volta nodo del contendere nel rapporto fra M5S e Lega con il Quirinale.

E adesso, come la mettiamo? Operare in quel modo, significa aver calmato artificialmente lo spread più sensibile di tutti, quello del biennale appunto, il quale nella prima giornata di tonfi legata all’iniziale fallimento dell’opzione Conte, aveva portato in apertura di contrattazioni a una pericolosa – ancorché fugace – inversione sulla curva dei tassi fra titoli a 2 anni e BTP decennale. Insomma, sintomo di guai e percezione di rischio a breve. Perché il Tesoro ha utilizzato le sue giacenze di Conto disponibilità per comprare proprio ieri quei titoli per un ammontare totale di 500 milioni di euro? Perché occorreva intervenire sullo spread del biennale così di corsa? E perché ieri, quando fin dal mattino era noto a tutti che l’opzione per la nascita di un governo Lega-M5S era tornata prepotentemente sul tavolo? Un incentivo a chiudere, forse, in ossequio alla mia lettura dei fatti di ieri sera?

Una cosa è certa: il comunicato (se non vi fidate di me, andate sul sito del Tesoro) e la reazione del mercato agli acquisti. Quindi, esistono “forze” che hanno agito anche per riportare la calma in Italia, almeno sul fronte del debito: il Tesoro ha agito autonomamente oppure su ordinazione? Pier Carlo Padoan era al corrente dell’operazione di riacquisto? Mi verrebbe da dubitare al riguardo, almeno stante a questa agenzia della scorsa notte: “(ANSA) – WHISTLER (CANADA), 31 MAG – Pier Carlo Padoan non parteciperà al G7 dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali. Partito dall’Italia per partecipare all’incontro, Padoan ha deciso di tornare indietro durante uno scalo tecnico per motivi istituzionali, una volta appresa la notizia sui tempi del giuramento del nuovo governo.

Nella delegazione italiana al vertice ci sarà invece il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. (ANSA). DRZ 01-GIU-18 01:13 NNNN”. O magari, invece, il nostro era convinto che il governo Lega-M5S non sarebbe nato e che sarebbe stato giusto apparecchiare la tavola all’esecutivo Cottarelli, pronto a subentrare in caso di diniego da parte di Salvini e/o Di Maio. Ma poi, in realtà, l’esecutivo Cottarelli è mai esistito, se non sulla carta delle indiscrezioni giornalistiche? Nessuno dei presunti ministri ha mai confermato, né è mai stato intervistato. La lista, poi, non è mai stata presentata ufficialmente al Quirinale. Altro caso di richiamo per tordi, come il famoso “governo neutrale” che spinse i leader dei due partiti usciti vincitori dalle elezioni del 4 marzo a sedersi al tavolo e trattare seriamente?
Chissà. Resta il fatto che se lo status quo, leggi Mattarella, per una certa vulgata – confermata dalle parole ad orologeria del commissario UE, Gunther Oettinger – ha potuto beneficiare nell’arco di questo braccio di ferro del sostegno dei mercati in modalità allarmistica, dall’altro ieri qualcuno ha operato chirurgicamente per calmare il differenziale sulla scadenza più sensibile del nostro debito pubblico, garantendo una giornata placida sui mercati. Magari un po’ in altalena ma certamente non da allarme rosso. Anzi. La giornata perfetta per trattare senza troppo patema d’animo legato agli investitori e alle loro pressioni. Poco importa chi abbia conferito quel mandato di riacquisto e poco importa che lo spread si sia calmato: l’ok al governo sarebbe arrivato comunque, visti i presupposti nati la sera precedente. Però, occorre prendere atto del fatto che a qualcuno faceva – diciamo così – piacere che quell’esecutivo così inviso – sempre stando alla narrativa complottista – all’elite europea ed europeista, nascesse. Qualcuno che, magari, oltre ad aver reso possibile quell’anomalo ritracciamento dello spread sul biennale, ha reso possibile anche questo:

ovvero, il titolo di Deutsche Bank che ieri ha chiuso al minimo record – ma sopra i minimi intraday – di 9,16 euro per azione, in calo del 7,2%. Come mai? Semplice, ieri mattina il “Wall Street Journal” rendeva noto che la FED aveva limitato le attività del colosso tedesco negli Stati Uniti, avendo designato come “problematiche” le stesse. Di fatto, la banca tedesca era stata bocciata un anno fa dalla Federal Reserve ma, guarda caso, la notizia è stata resa nota ieri, in piena tempesta finanziario europea, con Italia e Spagna in piena crisi politica. Lo status “condizioni problematiche” – uno dei più bassi a essere usati dalla FED – ha condizionato le scelte dell’istituto di credito nel ridurre l’assunzione di rischi in aree come il trading e la concessione dei prestiti, poiché questo “marchio” significa anche che le decisioni del gruppo tedesco sulle assunzioni e sui licenziamenti di top manager in USA devono passare proprio dalla FED. Stando al WSJ, anche l’esborso di una buonuscita e cambiamenti degli incarichi di lavoro del personale richiedono l’ok della Banca centrale statunitense. Stando alle fonti anonime citate, l’azione punitiva ha pesato negativamente sulle relazioni di Deutsche Bank con altri regolatori come la Federal Deposit Insurance Corp, la quale negli USA garantisce i depositi bancari.

Direte voi, sacrosanto che gli americani prendano le decisioni che meglio ritengono opportune rispetto a chi opera sul loro mercato. Soprattutto, se parliamo di trasparenza in un settore sensibile come il trading. Vero. Peccato però che, proprio ieri, in contemporanea con la pubblicazione ad orologeria della notizia che ha fatto sprofondare il titolo di Deutsche Bank ai minimi, la stessa FED abbia approvato un piano definito “morbido” per uscire dalla Volcker Rule, la normativa voluta dall’amministrazione Obama dopo la crisi dei mutui subprime che poneva dei vincoli anti-speculazione proprio sul trading. Insomma, con una mano di bastona preventivamente DB negli USA e con l’altra si porge un’enorme carota a Wall Street in fatto di deregulation, proprio a pochi mesi dal decimo anniversario del fallimento di Lehman Brothers. E non basta, perché se a caricare di coincidenze la giornata anti-europea dell’amministrazione Trump ci ha pensato anche il via libera al regime di dazi su acciaio e alluminio verso l’UE entrato in vigore la scorsa notte, ecco che il settimanale tedesco “WirtschaftsWoche” rendeva noto come nelle intenzioni del presidente USA ci sarebbe la volontà di imporre un bando totale alle automobile tedesche di lusso negli Stati Uniti.

Citando un dialogo fra lo stesso presidente ed Emmanuel Macron nel corso dell’ultimo viaggio dell’inquilino dell’Eliseo a Washington, due settimane fa, il settimanale rende noto che Trump avrebbe dichiarato quanto segue: “Quando cammini sulla Fifth Avenue, tutti hanno una Mercedes Benz fuori di casa. Non c’è reciprocità: perché non ci sono così tante Chevrolet in circolazione in Germania? E’ un commercio a senso unico, non è equo”. Ovviamente, il leccaculo d’Oltralpe, forse per tutelare Renault e Citroen e Peugeot, si è ben guardato dal far notare a Trump che la penuria di Chevrolet sia dovuta al fatto che, rispetto alle Mercedes, fanno cagare ma tant’è: è guerra. Aperta. Su più fronti, dalle sanzioni alla Russia e quelle fresche fresche contro l’Iran, dai dazi commerciali a operazioni poco ortodosse come quelle contro Deutsche Bank o a veri e propri ricatti come quello posto in essere dal Dipartimento di Stato contro le aziende che partecipano al consorzio per Nord Stream 2.

L’Italia di Salvini e Di Maio, al netto delle idiozie sugli hacker russi filo-sovranisti, da che parte starà? Prevarrà l’odio sistemico e ideologico contro Bruxelles e Berlino o il buonsenso di capire che, per quanto la politica tedesca di surplus sia dannosa quanto le imposizioni della Troika, il vero “nemico” della nostra crescita e del nostro benessere – oltre che delle quote di export delle nostre PMI, quelle che non hanno beneficiato delle emissioni corporate allegre legate al QE di Draghi di cui hanno goduto invece le grandi aziende, le stesse sui cui vertici Salvini ni e Di Maio stanno per compiere nomine a raffica – sta dall’altra parte dell’Oceano e non a Nord della Svizzera? Tanto odio per l’euro e tanto amore per il dollaro? Allora non sono solo poco furbi, forse sono anche un po’ complici. E allora si spiegherebbero tante cose. Staremo a vedere, parleranno i fatti.
Di Mauro Bottarelli , il 50 Comment

Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli

Commenti