Colpire qualcuno dove fa più male: nel portafoglio

Domani la Merkel è da Putin, per la seconda volta in 15 giorni. Muovetevi con ‘sto cazzo di governo!


E’ proprio vero, la saggezza popolare a volte vale più di mille dotte spiegazioni politologiche. E uno degli adagi più antichi dice che per arrecare il maggior danno possibile, occorre colpire qualcuno dove fa più male: nel portafoglio. Sarà per questo che, di colpo, l’UE sta vivendo una primavera di orgoglio comunitario, tanto che parlando al vertice tra Unione e Balcani Occidentali di Sofia, Donald Tusk – russofobo da competizione e leccaculo del Dipartimento di Stato di vecchia data – ha sottolineato come le autorità di Bruxelles non solo ribadiscono la loro adesione all’accordo sul nucleare iraniano ma faranno di tutto per tutelare le loro aziende che cooperano con Teheran dalle sanzioni statunitensi. Lo stesso Jean-Claude Juncker, in un attimo di lucidità fra un bicchiere e l’altro, ha dichiarato che la posizione europea non cambia di una virgola dopo la decisione di Donald Trump di chiamarsi fuori dall’intesa con l’Iran, di fatto rafforzando quanto espresso sia a caldo che nei giorni successivi da Federica Mogherini.


Un primo banco di prova potrebbe arrivare proprio dai risultati pratici che emergeranno dal vertice di Sofia, visto che come vi ho detto in un recente articolo, un paio di influenti think tank di Washington hanno lanciato l’allarme, senza apparente motivo contingente, affinché proprio i Balcani Occidentali vengano strappati dall’influenza russa, attraverso l’adesione degli Stati – Serbia in testa – all’UE o alla NATO. O a entrambe. Vedremo se questi due giorni di meeting saranno stati l’ennesimo simposio per conto terzi oppure se la paura che alle sanzioni contro la Russia si uniscano quelle contro l’Iran ha svegliato veramente i sonnacchiosi europei dalla loro adesione acritica ai diktat di Oltreoceano in fatto di relazioni internazionali. Ma al di là della posizione ufficiale dell’UE, è un altro il dato interessante: domani Angela Merkel sarà in Russia per incontrare Vladimir Putin, il secondo meeting fra i due in meno di 15 giorni, dopo quello del 3 maggio a Sochi. E, casualmente, inframezzati proprio dalla decisione di Donald Trump di stralciare l’accordo sul nucleare iraniano e imporre nuove sanzioni contri gli ayatollah e contro le aziende straniere che si ostinano a fare affari con loro, petrolio in testa. Ditte tedesche in testa, seguite da quelle italiane.

La Confindustria tedesca, gente un filino più seria e pragmatica dei presenzialisti da buffet di viale dell’Astronomia, è stata chiara: già le sanzioni contro Mosca stanno facendosi sentire pesantemente, già la guerra commerciale USA ha mandato in orbita i prezzi delle materie prime usate dalle nostre aziende esportatrici, se ora ci si mettono anche le sanzioni contro Teheran, prepariamoci a una bella recessione. E Angela Merkel, da buona politica di scuola DDR, non si è fatta pregare. In pubblico è tutta europeismo, coesione e buon senso ma, all’atto pratico, prima viene la Germania e la sua economia, poi tutti gli altri. Idem per la Francia, visto che Emmanuel Macron ha già richiesto l’esenzione dalle sanzioni per le aziende d’Oltralpe, facendosi forte delle sue recenti prove da leccapiedi di riserva di Washington. E l’Italia? Fatto salvo il tanto vituperato contratto di governo fra M5S e Lega, dove si parla a chiare lettere di eliminazione delle sanzioni contro la Russia, la linea è sempre la stessa: attendiamo ordini in merito da Washington.

Ora, poi, alla storica postura alla pecorina dei governi di centrosinistra va a unirsi anche l’aggravante della vacanza sostanziale di governo, visto che a Sofia c’era il dimissionario e dimissionato Paolo Gentiloni, il quale non ha perso l’occasione per evocare burroni e sciagure per chi si allontana dal verbo europeista, dimostrando per l’ennesima volta la sua limitatezza politica. Nel suo ruolo, dignità e onestà istituzionale vorrebbero che ci si astenesse dai commenti pubblici, in veste di primo ministro, nei confronti di chi sta lavorando per dar vita al governo che ti succederà. Ma si sa, quando insegnavano certe materie, quelli del PD erano a casa con l’influenza. In compenso, chi è in carica con pieni poteri, domani andrà in Russia e ci andrà armata del su sorriso più conviviale e delle migliori intenzioni: Berlino si è finalmente affrancata dalla sindrome di Stoccolma verso Washington? Il rischio di un addio al surplus commerciale e, soprattutto, al turbo export che lo garantisce, ha portato i tedeschi a decidere che è giunta l’ora di auto-riammettersi al genere umano dopo la Seconda Guerra Mondiale, sancendo ufficialmente la fine della penitenza?

E’ presto per dirlo ma con l’addio di Martin Schulz, anche dentro la SPD ora pare maggioritaria l’ala maggiormente aperturista verso Mosca e meno prona ai diktat filo-atlantici di certi ambienti europeisti: Sigmar Gabriel, ex ministro degli Esteri, ha parlato chiaramente di fine delle sanzioni contro la Russia non più tardi della scorsa settimana. Il tutto, senza scordare il ruolo di pontiere in tal senso che starebbe compiendo l’ex cancelliere Gerard Schroeder, da anni ormai alle alte dipendenze di Gazprom e presente in prima fila alla cerimonia di insediamento di Vladimir Putin due settimane fa, oltre al via libera dato proprio dalla Merkel ai lavori per il cantiere del gasdotto North Stream 2, ora dotato di tutti i permessi operativi. E avendo il Dipartimento di Stato USA già emanato la sua ennesima fatwa commerciale anche nei confronti delle aziende che partecipino al consorzio di un’opera che a Washington definiscono “un pericolo per l’indipendenza e la sicurezza energetica europea” (i cazzi loro, mai), minacciando ulteriori sanzioni, ecco che il gesto di Angela Merkel di tornare a così stretto giro di posta in Russia assume una valenza politica e strategica ben superiore a quella che avrebbe potuto avere solo a inizio anno.

Sul tavolo, oltre alla questione iraniana e a quella energetica, pare che ci sarebbe anche quella legata alla questione mediorientale, soprattutto dopo l’apprezzato “nein” di Berlino alla partecipazione ai raid alleati di rappresaglia per la farsa dell’attacco chimico a Douma: con le truppe speciali francesi “boots on the ground” accanto a quello USA da una decina di giorni, l’equilibrio che la Merkel potrebbe spostare sullo scacchiere siriano appare decisamente di primo livello. Non tanto per l’impegno militare diretto tedesco, quanto per il ruolo politico: non ultimo, in seno alla NATO, anche in vista delle esercitazioni in Norvegia e nel Baltico del prossimo autunno.
E l’Italia, cosa dice al riguardo? Da quale parte sta? Tendenzialmente, aspetta come al solito di capire chi è il più forte, salvo schierarglisi al fianco ma sbagliando il timing della scelta. Attenzione, però, perché il tempo dei tentennamenti potrebbe avere le ore contate, se è vero – come riportava, non a caso, la stampa russa ieri – che a Bruxelles e su invito diretto di Teheran si starebbe ragionando sull’utilizzo dell’euro come moneta per le transazioni petrolifere con l’Iran, evitando così le sanzioni USA per le aziende europee.


C’è un problema: se la Cina può permettersi di lanciare i petro-yuan e utilizzare la sua valuta nei contratti bilaterali con sempre più Paesi, ultimo in ordine di tempo il Pakistan, perché – al netto degli strepiti – Washington non può permettersi uno scontro diretto con Pechino, l’Europa rischia a bypassare il dollaro, soprattutto ora che il continuo rafforzamento della divisa USA potrebbe trasformare l’euro nella valuta commerciale per antonomasia, legandola direttamente al potenziale nuovo boom dell’export UE. Quanti lupi solitari con problemi psichici e noti alle autorità dobbiamo attenderci, a vostro modo di vedere, se davvero si desse seguito a una scelta del genere? Tanti. Anche perché questi grafici









parlano di un’economia USA non solo schiacciata dal leverage ma anche in fase pre-recessiva, come dimostrano molti indicatori. E certamente non è prerogativa di Bruxelles quella di essere un cuor di leone, quando le cose si mettono male. Ma, come dicevo all’inizio, qui si tratta di portafoglio e, a volte, certi stimoli fanno comparire il coraggio anche dove non c’è, magari travestito da disperazione. Una sola cosa importa, come Italia: facciano il cazzo di governo che vogliono ma lo facciano in fretta, perché c’è un treno epocale di potenziale cambiamento degli assetti che sta arrivando sul binario dell’Europa. Ma passa una sola volta ogni cinquant’anni: perderlo equivale a spararsi nei coglioni. Sport in cui, tra l’altro, siamo fra i primatisti mondiali. Che dite, proviamo a fare i nostri interessi per una volta?
(ANSA) – MOSCA, 17 MAG – La volontà di ritirare immediatamente le sanzioni Ue alla Russia inclusa, secondo le prime indiscrezioni, nel contratto di governo fra Lega e Movimento 5 Stelle è un “buon segno” anche se l’Italia sarà chiamata a uno “sforzo maggiore” in sede europea se davvero vuole che le sanzioni vengano abolite. Lo dice all’ANSA una fonte vicina al Cremlino. (ANSA). BGN 17-MAG-18 15:09 NNNN

(ANSA) – MOSCA, 17 MAG – “Non è possibile per nessuno Stato membro dell’UE decidere in modo unilaterale la fine delle sanzioni”, ragiona la fonte. “Inoltre – aggiunge – non appena si parla di ritirare le sanzioni subito si sente la voce degli Stati Uniti, che applicano pressione sui loro partner”. (ANSA). BGN 17-MAG-18 15:11 NNNN
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