Imprenditorialità e speranza che il business decolli.

Il Superministro del tesoro
Signore e signori, l'Unione europea ha un nuovo eroe.

Le parole di Bertolt Brecht risuonano come una sentenza. Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi a cui aggrapparsi, affidare il proprio destino e designare a capro espiatorio. Stessa cosa per le Unioni politiche, economiche e monetarie. D’altronde queste ultime cosa sono, se non una utopia in cui più popoli si uniscono sotto ad una stessa bandiera? L’Unione Europea rispetta questa descrizione. Nata per evitare nuovi conflitti intra-continentali, si è trasformata in un progetto politico teso alla creazione degli Stati Uniti d’Europa, nome simile all’omologo americano che ne ha il patrocinio. Fino alla Grande recessione tutto è filato liscio e ci si sforzava di ignorare le enormi falle insite nel progetto (o forse finché si nuota non si rischia di annegare). Poi, la crisi.



Nel 2010 si palesa la natura austera delle istituzioni comunitarie, la debolezza in politica estera e la volontà di prevaricare governi e parlamenti degli Stati membri. Brexit, Trump, crollo della sinistra progressista ovunque, spinte indipendentiste. Il progetto sembrava sul punto di fallire, tranciato di netto dall’elezione di Marine Le Pen a presidente della Repubblica Francese. Ma, a meno di essere finiti in un futuro alternativo (o in un romanzo di Philip Roth), ciò non è avvenuto. Ha vinto monsieur Macron, garante dell’ordine costituito, condizionatore per bollenti spiriti sovranisti, cercatore di un centro di liberismo permanente.

Emmanuel Macron al secondo turno delle Presidenziali 2017 ha attirato i voti di tutta l’area moderata, compresa quella socialista, vincendo con il 66% delle preferenze


Le elezioni francesi sono state fondamentali non tanto per Parigi, quanto per Bruxelles. La sconfitta bruciante della Le Pen ha servito su un piatto d’argento l’occasione di spingere sul pedale dell’acceleratore e far sì, almeno apparentemente, che il processo di integrazione uscisse dalla palude in cui si era cacciato. È in questo clima di rinnovato ingegno eurocratico che nasce il Fondo Monetario Europeo e l’eroe di cui si parlava all’inizio: il Superministro del Tesoro. Il suo compito sarà quello di far rispettare il dogma della stabilità, a tutti i costi. Il Fondo Monetario Europeo sarà un po’ la sua spada alata di Jeeg, scudo di Pikappa, martello di Thor: l’arma definitiva.

Il FME (che ci tiene a scimmiottare in tutto e per tutto il FMI della signora Lagarde), sarà costruito sulla base del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità. Scomparso dalle cronache è ancora vivo e vegeto, in attesa della prossima crisi dei debiti pubblici (tempo 2 anni potrebbe tornare in voga). Per coloro che l’avevano rimosso, a mo’ di trauma, si tratta di una organizzazione internazionale con sede legale in Lussemburgo e consiglio direttivo protetto da immunità. Esso è di natura prettamente privata, slegato dall’espressione democratica degli Stati membri e il suo compito è semplicemente quello di conservare i quasi 700 miliardi di euro sottoscritti dalle nazioni. Sisi, 700, di cui 125 italiani, cifre irreali.

         Superministro del Tesoro impegnato duramente in una procedura d’infrazione causata da deficit eccessivo


I Paesi prendono a prestito miliardi che versano nel MES, il quale a sua volta si arroga il diritto di scegliere se prestarli ad eventuali economie nazionali in crisi (o istituti bancari alla canna del gas). In pratica prestiti su prestiti, una ipoteca sullo Stato stesso. Tutto questo per replicare, dicono, ciò che prima gli Stati sovrani europei facevano ogni giorno (nel resto del mondo continuano a farlo), ovvero gestire la propria sovranità monetaria. Quindi sulla base di questo perverso meccanismo di natura privata e finanziaria si ergerà il palazzo del Superministro, con l’intenzione neanche troppo velata di voler creare un debito pubblico unico della Zona Euro (questa è proprio da Paese dei balocchi, perché i tedeschi non vorranno mai e poi mai addossarsi il costo delle passività dei mediterranei). Se però questo debito pubblico unico non verrà creato, cioè lo scenario più probabile, il Superministro rimarrà zoppo, come quasi tutta l’architettura europea. Per la nevrosi che ne scaturirà egli riverserà l’odio nei confronti del destino sui Paesi membri che accenneranno ad azioni lontane dall’austerità, dal rigore e dalla stabilità.

In pratica la podestà economica nazionale verrà ulteriormente falcidiata. Non ci credete? E se vi dicessi che il Fiscal Compact, finora trattato internazionale, verrà incastonato nei trattati fondativi dell’Unione Europea? Diventerà insomma ulteriore giogo che i burocrati di Bruxelles e Francoforte potranno impugnare.

La violenza della stabilità è un modo di morire a metà.

Così cantano gli Afterhours (La vedova bianca), immortalando perfettamente le conseguenze dell’eventuale creazione del superministro: la speranza che le cose possano migliorare, che la maggiore integrazione per la prima volta porti ad una convergenza indolore e che gli Stati possano vivere sereni sotto la bandiera blu con le stelline gialle. Ma è solo una speranza vana a cui ti aggrappi per non lasciarti andare, mentre l’altra tua metà muore, metà in cui tenevi il tessuto produttivo, i diritti sociali, la speranza di vita, il welfare, la storia, le tradizioni, la crescita economica. La parte concreta, quella vera. Il centrosinistra in tutto il continente insiste su un linguaggio politico pseudo-filosofico e anti-xenofobo semplicemente perché tenta disperatamente di rivolgersi alla metà della nostra esistenza di europei rimasta viva, quella vana e illusoria che ci rende un popolo bisognoso di eroi, come il Superministro europeo.


            Videoclip de “La vedova bianca”; so che li odiate perché Agnelli fa X Factor ma, perfavore, concedetecelo

Di fronte all’ondata di malcontento l’Unione Europea poteva reagire in due modi: assecondare i desideri del popolo (pane e lavoro) oppure alimentare sogni e scuse (procrastinare). Hanno scelto la seconda strada, quella meno lungimirante, più debole e flebile. Nonostante le voci di un addolcimento di Juncker, presidente della Commissione Europea, Bruxelles tira dritto a muso duro: troppo complicato giustificare mediaticamente un passo indietro. Francia e Germania (la Merkel è ancora determinante in sede europea, meno in patria) rivedono il Trattato dell’Eliseo, modificando prospettive e rapporti tra i due Paesi. Da ciò che trapela si tratterebbe di un tentativo di armonizzare le reciproche normative, preparando una mini-Europa ad “altissima” velocità, costruita sull’asse franco-tedesco.

Macron, forte di una maggioranza schiacciante in Parlamento, continua a volersi mostrare leader giovane, innovatore ed energico, offrendo la Francia ai tedeschi a testa alta. Non è che gliela stia proprio offrendo, non si fraintenda, ma appiattire le differenze legislative ed economiche di due paesi così differenti rischia di replicare le medesime criticità già analizzate per l’UE, solo amplificate esponenzialmente, ai danni naturalmente della Francia. La Germania, dal canto suo, vorrebbe legare un Paese a sé, incollato, per quando questa Unione si disgregherà, mentre Macron spera che i tedeschi possano attutirgli la caduta, e continuerà a sperarlo, fino alla fine.

 «Questo colloquio privilegiato con i nostri amici tedeschi è la condizione necessaria per qualsiasi progresso dell’Europa. Il che non esclude il dialogo con tutti gli altri partner, ma è da qui che tutto comincia», parola di Emmanuel


Insomma l’Europa, anche se nessuno ha il coraggio di dirlo, già vede nel proprio orizzonte gli ultimi estremi tentativi di tenere insieme una costruzione politico-economica disfunzionale, mentre alcuni già puntano alla UE a doppia velocità. Il problema è tutto ciò che sta in mezzo, tra l’arrivo del Superministro e la decisione di farla finita: la volontà di vendersi tutto, sangue compreso, nell’illusione che si possa decollare in un futuro prossimo. L’atteggiamento è coerente allo spirito imprenditoriale tanto caro al sistema capitalista che schiaccia gli operai. Diventa imprenditore di te stesso, inventati qualcosa che, prima o poi, sicuramente andrà bene. Ma quella è l’impresa, queste sono macroeconomia e politica economica, da queste non si scappa. Statene certi: se Steve Jobs avesse messo un criceto all’interno di un Mac, sicuramente questo non si sarebbe acceso. Altro che imprenditorialità e speranza che il business decolli. Qui mancano proprio i presupposti, e i tentativi di rimediare ai propri sbagli stanno andando nella direzione di aggravarli. Poveri noi, popoli che hanno bisogno di eroi.
di Gianmaria Vianova - 12 gennaio 2018      

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