Sesòmagnatitutto

Se sò magnati tutto: Frignolo e lo spirito del NataleDI ALBERTO BAGNAI

goofynomics.blogspot.it
Tanto tuonò che piovve: alla fine, dopo anni di rapido e inesorabile declino, i nodi del Sole 24 Ore vengono al pettine. Il crollo della diffusione è impressionante. Nel settembre 2008, quando si scatenò la crisi alla quale devo il piacere di conoscervi, la sua diffusione media era di 335.687 copie (Il Corriere: 597.170; La Repubblica: 520.179; La Stampa: 307.439). Gli ultimi dati certificati disponibili sul sito dell’ADS ci dicono che oggi la diffusione media è scesa a 97.752 copie (-71%), rispetto alle 230.526 del Corriere (-61%), alle 190.458 di Repubblica (-63%), e alle 145.199 della Stampa (-53%). Tra l’altro, ci sarebbe quel problemino delle copie gonfiate, sulle quali mi par di capire che la magistratura stia lavorando. Purtroppo non sono del settore, né ho voglia di fare telefonate per cose di così piccolo momento, quindi non so dirvi se questo increscioso incidente di percorso influenzi i dati, che già così sono eloquenti: in un periodo in cui la violenza della crisi economica ha promosso nel pubblico un interesse appassionato per l’informazione economica, il principale quotidiano economico italiano è anche quello che, fra i grandi del settore, subisce la contrazione più drastica della tiratura!

Per riuscire a vendere di meno un prodotto la cui domanda, almeno potenzialmente, è in crescita, ce ne vuole del bello e del buono!
E così il mercato (che è il nostro pastore) ha presentato il conto, nel più classico dei modi, come ci annunciava un paio di giorni fa il comitato di redazione:
con un comunicato che Malte Laurids Brigge (che ha una marcia in più) riassumeva in questi termini:
In effetti, a prescindere dalle competenze economiche dei suoi estensori, sulle quali ci siamo altre volte diffusamente intrattenuti, va detto che questo comunicato non è esattamente un capolavoro di comunicazione (né, forse, voleva esserlo). Sono gli stessi giornalisti a confessare di non aspettarsi una decisione simile (la disdetta unilaterale di un contratto integrativo) perché “senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali del Sole 24 Ore”, e di ritenerlo ingiusto perché essi avevano “denunciato in tutti i modi la gestione dissennata del recente passato”.
Ora, c’è da dire che con la fulgida eccezione di quattro di loro (Donatella Stasio, Nicola Borzi, Alessandro Galimberti, Giovanni Negri, come racconta Giorgio Meletti), di quel recente passato i giornalisti che oggi si indignano avevano pur fatto parte. Ma soprattutto, è evidente che a sorprenderli non è quanto è successo, ma il fatto che sia successo a loro. Perché non si può proprio dire che sia una disdetta unilaterale di contratto integrativo sia una assoluta novità: i lavoratori di CarrefourEuropoligraficoCoop NordestIkeaTelecom, e via dicendo, in vari tempi e con diversi esiti si sono trovati in una situazione simile. Ora, queste aziende cosa hanno in comune? Niente, direi. Grandi, piccole, gestite bene, gestite male… tutte da lì sono dovute passare: da un taglio fra il 15% e il 30% dei salari dei loro dipendenti, che poi corrisponde, indovinate un po’ a cosa? A spanne, all’ordine di grandezza della perdita di competitività dell’Italia rispetto alla Germania, nelle stime elaborate da Bootle per il suo saggio sull’uscita dall’euro (lo trovate qui, e le stime sono nell’appendice A7).
Ora, questa, per noi, è accademia.
Noi abbiamo studiato, e soprattutto abbiamo studiato gli autori giusti, per cui sappiamo quanto ci racconta Keynes ne Le conseguenze economiche di Winston Churchill, in un passo che abbiamo letto e commentato molto spesso (il commento più accurato forse è qui): la perdita di competitività determinata da un accordo di cambio fisso insostenibile colpisce prima il manifatturiero orientato all’export, ma poi, inesorabilmente, come una cancrena, risale attraverso tutti gli altri settori, fino a quando le retribuzioni di tutti non hanno internalizzato il divario fra prezzi interni e esteri espressi in valuta comune. Eh, già: perché se questo divario non viene ammortizzato dal tasso di cambio (attraverso le normali leggi della domanda e dell’offerta: minor domanda di beni nazionali è minor domanda di valuta nazionale, il cui valore quindi naturalmente flette), deve essere ammortizzato dai salari, e dai salari di tutti. O vi aspettate, forse, che un cambio insostenibile ridistribuisca il reddito a favore delle categorie protette, per cui, ad esempio, i giornalisti del Sole 24 Ore dovrebbero vedere i propri redditi intatti, mentre gli operai dell’Electrolux (come ci riportava Annichiarico) dovrebbero (guarda un po’) vedersi sospesa la contrattazione di secondo livello!? Questo equivarrebbe (lo dico per gli eventuali giornalisti che, colpiti dalla crisi, fossero venuti dove si informa per capire cosa è successo loro) a un aumento del reddito dei giornalisti, in termini relativi. Ma perché mai i giornalisti dovrebbero vedere il loro reddito aumentare? Certo, loro hanno il merito, molto apprezzato dal capitale, di negare oltre ogni evidenza le criticità di un sistema che il capitale ha creato a sua immagine e somiglianza, di quella unione monetaria il cui scopo, ben chiaro agli scienziati politici degli anni ’90, era favorire lo sgretolamento dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori sotto l’urgenza delle crisi che inevitabilmente si sarebbero prodotte (valgono per tutte le analisi di Kevin Featherstone).
Ma c’è un problema: il processo di distruzione dei redditi è esplosivo e cumulativo, perché c’è una cosa che i giornalisti economici proprio non hanno capito dell’economia di mercato che tanto difendono, anzi: due. La prima è che ogni reddito di qualcuno prima è stata la spesa di qualcun altro (ad esempio dello Stato, come al Corriere si sono accorti, ma al Sole ancora no: che poi è il motivo per il quale meritano quanto sta accadendo…). Naturalmente, a corredo di questa semplice verità (ovvero: del fatto che non puoi guadagnare se nessuno spende), vale un ovvio corollario: ogni prezzo basso per qualcuno è un salario basso per qualcun altro. Questo significa che la prima azienda che taglia i salari taglia subito i redditi di altre aziende, e poi anche i salari delle aziende del medesimo settore (che devono seguirla nella compressione dei salari per non trovarsi fuori mercato), e così, a ricasco, altri redditi dentro e fuori dal settore, e via andare. Il crollo delle vendite si spiega (anche) così: con l’impoverimento del paese determinato da quella moneta unica che Il Sole 24 Ore ha difeso senza sé e senza ma, anche fuori tempo massimo.
L’analisi di Mario quindi è severa ma giusta:
Certo, so benissimo quale canzoncina cantino i giornalisti, anche i migliori, a se stessi. Quelli che rimproverano a voi di dare la colpa all’euro, anziché a voi stessi, quando poi si arriva a commentare i dati sul crollo delle vendite, non potendo dare la colpa all’euro per fedeltà al padrone, e non volendola dare a se stessi per sciocca superbia, si rifugiano in un #hastatoInternet di circostanza. Nessuno nega che Internet sia un problema, ma anche l’impoverimento della popolazione lo è, con in più un’aggravante: che quando si arriva ai redditi dei privilegiati, dei suoi ascari, il capitale sa di aver sostanzialmente già vinto la battaglia, e non vede più l’utilità dei suoi utili idioti, i quali, quindi restano solo degli idioti sacrificabili. Idioti, naturalmente, non in senso dispregiativo: in senso etimologico. Chi, a differenza di loro, ha cercato di non pensare solo a se stesso, e ha cominciato a documentarsi dove gli era possibile farlo, cioè su Internet, sa benissimo cosa sta succedendo: difendendo l’euro per conto dei delocalizzatori à la Squinzi o delle grandi multinazionali esposte in dollari, i compagni giornalisti del Sole 24 Ore hanno segato il ramo sul quale sedevano, e quel ramo si chiama Italia.
Difficile, ora, per chi sa, per chi ha avuto l’umiltà di intraprendere un percorso di formazione, perdonare l’arroganza di certe prese di posizione:
Capisco quindi le dure parole di Cesare:
Tuttavia, non me la sento di prorompere contro queste persone, nonostante spesso abbiano oggettivamente fatto il male, diffondendo una versione dei fatti distorta perché ideologicamente orientata (contro i loro stessi interessi, come la storia ci dimostra), e siano quindi spesso stati un oggettivo pericolo per la democrazia, in un’invettiva come quella che accompagnò la fine di un’altra prestigiosa testata.
Non c’entra molto lo spirito natalizio.
Ci sono due circostanze oggettive che spiegano questa mia relativa mitezza. La prima è che quello che, forse ingenuamente, consideravo come un tradimento sanguinoso da parte dei giornalisti dell’Unità, in quelli del Sole 24 Ore è un comportamento scusabile: cosa dovrebbe fare un giornalista del padrone se non attaccare l’asino dove vuole, appunto, il padrone? Dovrebbe forse morire di fame per fare un piacere a noi? La seconda è che provo solo compassione per chi, messo di fronte all’evidenza del fallimento di un sistema che ha difeso a spada tratta, non riesce proprio a capire cosa stia succedendo:
Ecco, vedete: Flaiano definì l’Italia un paese dove la realtà supera la fantasia. Questo non succede sempre: qualche volta la fantasia prende il vantaggio. In questo caso è successo, e, se permettete, ne vado fiero!
Ricordate come iniziava il mio libro del 2014? Col racconto, un po’ romanzato, di uno dei miei pochi (ma inutili) incontri col Berlu:
Vedere una persona colta (ci sarebbe da definire il concetto)… diciamo: una persona istruita, che scrive sui giornali, prorompere seriamente in un’analisi assurda, come quella che io attribuivo caricaturalmente al tassista del 3570, uomo del popolo (nella mia esperienza molto più sveglio di tanti Soloni, ma non entriamo in questo), non ha prezzo!
A testimonianza del fatto che l’involontaria citazione del mio tassista da parte di Annichiarico non è antifrastica, cioè che lui è ben convinto di quanto dice, e non ha assolutamente capito in quale meccanismo è preso, quale sia l’ingranaggio che lo schiaccia (nel meritato dileggio generale), vale questa osservazione di Silvia di Livorno:
Il buon Annichiarico, quello che l’Electrolux doveva tagliare gli stipendi perché #avevastatolaCina e loro invece sono in crisi perché #sesòmagnatitutto, continua imperterrito a difendere le politiche di tagli dei redditi, senza proprio che gli passi per la testa che in un paese il cui Pil è tornato indietro di 20 anni l’euretto per il giornale dei padroni (che tanto oggi ti canta la stessa canzoncina del giornale dei lavoratori) non potrà spenderlo chi non ce l’ha, e non ce l’avranno soprattutto quelli ai quali le politiche che Annichiarico esalta lo avranno tolto. E gnente! Tanto sprezzo per i diritti degli altri lavoratori (quelli a monte della catena), tanta iattanza:
per poi trovarsi così, da un momento all’altro, senza sapere perché, investito da una valanga di pernacchie dopo aver fatto annunci che in tanti altri casi avevano promosso una accorata solidarietà:
Frignolo Annichiarico proprio non riesce a farsene una ragione, lui, e si chiama fuori, lui:
La colpa, ci dice, non è sua. La colpa è della direzione, e, si sa, le testate giornalistiche sono aziende un po’ particolari: mentre in tutte le altre aziende, se il management sbaglia linea, è giusto che paghino i dipendenti, in un giornale, par di capire, no. Parola di giornalista!
Ah, bè, certo, la direzione scelte sbagliate ne ha fatte, come quella di riservare indebito spazio,  presentandoli come Vangelo, a economisti applicati, esperti e competenti nel loro campo, ma privi di specifica esperienza di ricerca, lasciandoli propalare scenari improbabili, che non passerebbero una peer review in classe A:
(non ho nulla contro Codogno e Galli, mi limito a constatare che le loro poche pubblicazioni Scopus – in due ne hanno un sesto delle mie – di tutto si occupano tranne che di crisi valutarie, il che significa che saranno sicuramente bravissimi nel loro lavoro, ma questo non è, in tutta evidenza, tratteggiare scenari macroeconomici), mentre dai microfoni delle sue radio affidava al trio Monnezza il compito di dileggiare le voci realmente scientifiche presenti nel dibattito, cui non si dava uguale risalto.
Tuttavia, l’argomento “linea editoriale” fa un po’ sorridere, per diversi motivi. Intanto, vale la giusta obiezione di Benedetto sulla clausola di coscienza:
Non è esattissimamente vero che i giornalisti debbano essere completamente proni ai voleri degli editori. Diciamo che esiste un sospetto fondato di vis grata puellae. La risposta del nostro nuovo amico Frignolo Annichiarico, poi, è sinceramente imbarazzante, anche perché la linea editoriale non c’entra nulla! Come hanno attestato negli anni e continuano ad attestare i suoi tweet, lui in quella linea crede fermamente. Lo testimonia Scarpetta di Venere:
Quindi l’argomento secondo cui per sgravare la coscienza dal peso di una linea editoriale che non si condivide (a chiacchiere, perché nei fatti la si sostiene e diffonde su Twitter) sia rimedio efficace far lavorare gratis (sfruttandoli) un manipolo di esperti raccogliticci (fra cui alcuni nostri fuoriusciti), al vero scopo di far concorrenza (fallendo) a questo blog e di intorbidare le acque, simulando una falsa apertura di vedute, questo argomento, ecco… vabbé: è stato elegante Benedetto: no comment!
Del resto, Silvia ci ha fatto vedere che mentre tagliano il suo, di salario, lui continua a esortare Cottarelli a tagliare quello degli altri! Troppo facile, quindi, scantonare sull’argomento che laggente signora mia è tanta tanta cattiva:
Ci vorrebbe, in effetti, un po’ più di dignità, o almeno di coerenza. Meglio: ci vorrebbe una vera solidarietà di classe, quella che forse riuscirebbe a far capire anche a questa gente, che nel 2017 ancora ragiona in un modo che a noi sembrava caricaturale già tre anni or sono, che in un paese in recessione nessun taglio di redditi è giustificato, e che a fronte di un attacco indiscriminato e massiccio ai diritti dei lavoratori ogni sciopero tutela tutti gli altri.
Ma possiamo aspettarci una simile “riforma strutturale” da chi si è costituito volenteroso carnefice al grido di FATE PRESTO!?
A chiacchiere sì.
Com’è anche prevedibile, al “laggente sono tanta cattiva signora mia”, il nostro amico accompagna, in elegante simmetria, una appassionata perorazione in favore della libertà di pensiero:
Ci sarebbe uno spirito di rifondazione (parole che porta un po’ sfiga), che prima o poi (quando?) potrebbe farsi strada (come?), e le battaglie sono lunghe e faticose (soprattutto se le combatti sparando addosso oggi a quelli che vuoi alleati domani!), e non si può semplificare sempre (ma se sono decenni che lo fate in continuazione, propalando la favola dell’eurone che avrebbe risolto tutti i nostri problemi?).
Insomma: siamo ancora molto lontani sia da un’analisi corretta, che da qualche minimo segno di possibile composizione del divario che questa classe giornalistica ha voluto scavare fra sé e il paese, pensando che quanto più ampio e pronunciato fosse il fossato che la separava da noi, tanto meno la crisi l’avrebbe attinta.
E invece…
Al nostro nuovo amico Frignolo Annichiarico vorrei dire, molto pacatamente, una cosa: dobbiamo trovare un modo diverso di convivere, o sarà guerra civile, come dice Keynes alla fine di quel passaggio che presto, quando avrà più tempo a disposizione, potrà finalmente leggere. Un passaggio preoccupante, anche perché Keynes aveva una qualità che ama condividere con chi lo rispetta: quella di vedere lontano (fra le tante cose che aveva previsto, c’è la Seconda Guerra Mondiale). Sono stati gli operatori informativi a dichiarare guerra al paese, conculcando e distorcendo la verità fattuale nei mille casi che questo blog e i miei editoriali documentano, e in tanti, troppi altri. Non solo: è responsabilità dei media tradizionali anche l’imbarbarimento generale del dibattito, l’atmosfera da opposte tifoserie che è stata alimentata per l’incapacità di ammettere e gestire un dibattito civile, una incapacità (prima ancora che una mancanza di volontà “editoriale”) che vi ha portato a demonizzare e delegittimare, senza tregua, senza alcuno scrupolo, senza fare alcuna distinzione, i vostri interlocutori. Questi, però, erano assistiti dalla sterminata e imperturbabile violenza distruttrice della Storia, che non si piegava alle vostre riverite opinioni, ma seguiva, con la sua formidabile massa inerziale, il corso che le delineavano i fatti. Quando è arrivata a voi, non si è fatta né in qua né in là. Come vedete, vi sta schiacciando. Non servite più nemmeno per biascicare “fake news”: si è capito che anche questo giochino è controproducente! Quindi non servite più a niente.
Alla fine, sarete stati i migliori alleati di chi proponeva un visione alternativa del mondo (a proposito: grazie!), e quindi i peggiori nemici di voi stessi. Esattamente come il sistema che difendete, avreste in voi i mezzi per riformarvi, ma non ne avete la volontà e non ci sono i tempi. La stampa (di qualsiasi tipo: su carta, online) ormai è completamente screditata et pour cause. I migliori di voi si sono già fatti la loro neswletter e informano “porta a porta”, forti della loro autorevolezza. Per i peones la vedo molto, molto male.
Come i miei lettori sanno, non mi rallegro particolarmente di questo esito. Mi fa ovviamente piacere avere una ulteriore dimostrazione della bontà del mio modello e delle mie previsioni. Ma la vostra scomparsa non risolve di per sé il problema della democrazia in questo paese, esattamente come, del resto, la scomparsa dell’euro, pur essendo condizione necessaria per il ripristino di un minimo di vivere civile, è largamente e sempre più insufficiente. D’altra parte, è anche vero che il peso della soluzione non può essere lasciato tutto sulle vostre spalle, nonostante voi siate stati, per ignavia, un gran pezzo del problema.
Bisogna che Confindustria scompaia, e che al suo posto nasca (o rinasca) una associazione “datoriale” (cioè padronale) consapevole del fatto che l’interesse del paese coincide largamente anche con l’interesse delle aziende che ci operano, e che l’integrazione europea (in primis quella monetaria, ma anche quella politica) confligge con questi interessi. Tuttavia… il mondo dei padroni, come quello dei politici, è quello che voi gli raccontate! Finché nessuno di voi avrà non dico la schiena dritta (non chiedo tanto), ma la schiena curva sui libri per poche ore, la rappresentazione che la classe imprenditoriale e quella politica italiana avranno del paese sarà irrimediabilmente distorta, per opera vostra. Non potremo avere un'”altra Confindustria”: avremo solo “più Confindustria”!
Dovete quindi capire che chi in questo momento esulta per la vostra scomparsa (che poi non ci sarà, per ora), con i toni da stadio che voi avete se non direttamente introdotto (in radio) quanto meno provocato (ovunque) nel dibattito, non lo fa per fatto personale, ma perché percepisce in modo confuso quanto qui dico in modo esplicito: a meno di un radicale quanto impossibile cambiamento di rotta, la vostra sopravvivenza professionale è un ostacolo insormontabile sul cammino della nostra democrazia, tale da rendere improbabile, o forse impossibile, un esito civile e pacifico del conflitto nel quale i vostri “editori” ci hanno cacciato. Non so come dirvelo: mi dispiace dirvelo così, mi dispiace dirvelo oggi, mi dispiace dirvelo da un blog che nasce come atto di amore per un popolo che non merita di essere consegnato agli orrori di quella guerra fra poveri che voi continuamente fomentate (vedi il tweet contro gli statali). Mi dispiace. Il lavoro fatto qui, a differenza del vostro, è un lavoro di verità e di pace: è tutto scritto, chiunque potrà giudicare. Questo mi autorizza a dire che, purtroppo, nonostante personalmente ritenga che la via migliore sarebbe quella di tentare la costruzione di una difficile solidarietà fra due categorie di oppressi (una delle quali è stata megafono degli oppressori), oggi, data l’urgenza della crisi, e data la necessità, se non di affermare una visione alternativa, quanto meno di indebolire quella prevalente, non riesco a vedere come fatto negativo che voi paghiate per le scelte che avete fatto o cui vi siete prestati.
Voi sapete che io la penso così, ed è per questo che avreste preferito che io non mi esprimessi sul vostro giornale. Lo capisco. Non vi porto rancore e comunque non dobbiamo essere amici. Non lo pensate voi che non potete permettervelo, e figuratevi se lo penso io che posso permettermelo! Io forse non sarò più forte che a maggio, quando grazie a Zingales pubblicai il mio pezzo sull’euro nonostante voi. Voi, però, siete a tutti i livelli più deboli, perché nonostante vi sforziate di raccontare il contrario, è più debole il mondo che ancora vi ostinate a difendere. Quindi, finora ho vinto io, e sarà così fino alla vostra estinzione. Tuttavia io capisco una cosa che voi non volete capire: anche se non dobbiamo essere amici, siamo tutti italiani. E, tanto per essere chiari: io sono un italiano che in due settimane un lavoro all’estero lo trova (consideriamo tutti gli scenari…). Ma nonostante io sappia di potermela cavare meglio di uno qualsiasi di voi, e tanto meglio quanto più grave sarà lo scenario cui il vostro rifiuto di fornire una rappresentazione equilibrata della realtà ci avrà condotto, sono io, qui, a dirvi che forse sarebbe il caso di pensare a soluzioni pacifiche, a una composizione del conflitto.
Il discorso è molto semplice, e si salda in poche parole: chi vuole bene a questo paese passa da qui. Gli altri fanno finta. Voi avete bisogno della solidarietà del paese. Per questi due punti passa un’unica retta. Ma ci passa oggi. Domani uno dei due punti non ci sarà più: voi. Ne resterà uno solo, per il quale di rette, com’è noto, ne passano infinite.
Grande è la confusione sotto al cielo, la situazione è eccellente.
di Alberto Bagnai
25.12.2017

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