Una pia illusione?

Tutti autonomisti oggi, Braveheart ci fa una pippa! Ma saranno l’euro e le elites a disgregare gli Stati


Al bar, stamattina, nessuna sorpresa: mentre sorseggiavo il caffè e aspettavo che si liberasse un tavolino all’esterno per fumarmi una sigaretta in pace, gli argomenti erano solo due. L’arrocco vincente di Spalletti a Napoli e il crucifige di Montella e Bonucci, in base alle fazioni rossonere in campo. Dell’autonomia non fregava un beato cazzo a nessuno. In compenso, tornato a casa e acceso quell’infernale marchingegno chiamato tv, ecco che un mondo nuovo mi assaliva e portava con sé: il Paese dell’autonomia. Di colpo, tutti autonomisti, seppur con diverse sfumature: non di grigio, di federalismo in questo caso. Ma, tranquilli, l’inculata c’è anche qui, come nel film.


La parola d’ordine era “segnale”: il Nord ha inviato un segnale a Roma. Di più, al Paese. Ancora di più, all’Europa. Poco ci mancava che Donald Trump twittasse per congratularsi con Zaia e Maroni. Ora, non voglio essere pragmatico fino all’ossessione ma usiamo un po’ di prospettiva a bocce ferme: la Lega Nord di Bossi non aveva mandato parecchi segnali e ben più duri di questo? La catena umana sul Po, per quanto macchiettistica e intrisa di patetici e strampalati riferimenti al mondo celtico, aveva mobilitato centinaia di migliaia di persone, chiedendo l’indipendenza, non l’autonomia per gli sghei.

E le Pontida d’altri tempi? E i raduni a Piazza San Marco con cotè di indicazioni su un utilizzo alternativo del tricolore? Addirittura, si arrivò alla costituzione della Guardia Padana e delle Camicie Verdi, soggetti volontaristici che – vi assicuro, perché all’epoca lavoravo a “La Padania” – furono soggetti a più di un attenzione da parte dei servizi segreti italiani, tanto che il loro eccessivo entusiasmo – ai comizi si cominciava a scandire lo slogan “Noi-siamo-l’esercito-padano” – portò Bossi ad annullare, il giorno prima e di punto in bianco, un raduno al Forum o al PalaTrussardi di Milano, non ricordo bene, sul finire degli anni Novanta. Lo chiesero Sisde e Viminale. E chiesero è un eufemismo.

E pensate che il muro centralista si sgretoli e garantisca attribuzione unica su una ventina di materie chiave più i nove decimi delle tasse sul territorio a Lombardia e Veneto per un referendum consultivo di fine legislatura? Ragionate: questa settimana arriva al Senato la legge elettorale, quindi non si parla d’altro, viste poi le fibrillazioni in casa PD dopo il patetico riavvicinamento di MDP. Poi ci sono le elezioni siciliane del 5 novembre, le quali formalmente dovrebbero essere uno atto di avanspettacolo italico per la Lega Nord, mentre invece andate a chiedere a Matteo Salvini se le snobba, visto il progetto in fieri di partito sovranista nazionale stile Front National che ha in mente per ammazzare del tutto Fratelli d’Italia?

Il leader leghista ha dedicato più tempo a Palermo che ai referendum, salvo poi risalire in sella quando ha visto Silvio Berlusconi schierarsi fisicamente al fianco di Roberto Maroni sul tema: è lotta interna alla Lega Nord, niente più. Oltretutto, con un Luca Zaia ora ancora più forte e riconosciuto a livello bipartisan come riferimento e interlocutore. Credibile. Dopo il voto siciliano e in base ai risultati, si aprono poi due priorità: il DEF, che porterà via tutto il lavoro parlamentare fino all’anno nuovo e la resa dei conti a livello di tenuta del governo Gentiloni (e quindi di scioglimento delle Camere) diverrà realtà, se il PD subirà una sconfitta schiacciante che possa rinfocolare le tentazioni di spallata a Renzi come segretario. E voi pensate che, come sperano Zaia e Maroni, il governo li caghi di striscio sull’apertura del tavolo di trattativa per l’autonomia? Ci penserà il nuovo governo? E quale sarà, voi lo sapete? Sicuri che avrà come priorità l’autonomia, con la BCE che sarà in pieno tapering del QE e l’Europa che vorrà infilarci un bastone nel culo sui conti pubblici?
Certo, in primavera – probabilmente accorpate con le politiche – in Lombardia si voterà per le regionali e Maroni userà il referendum come spot – anche in chiave interna al partito – ma contro Giorgio Gori ha le stesse speranze di vincere del Benevento contro il Manchester City. E se proprio il sindaco di Bergamo si è dimostrato il più aperto sul tema autonomia in casa PD, dubito che con il voto nazionale accorpato da Roma gli permettano di fare troppo il Braveheart in nome del Nord sfruttato e munto fiscalmente.

Insomma, io la vedo dura che il “segnale” arrivato ieri da Lombardia e Veneto serva a qualcosa ma spero – fortemente – di sbagliarmi. Ora, non prendetemi per matto (anche se un po’ lo sono, è palese) se faccio un salto logico e di analisi sul tema, partendo da questo:

ovvero, l’ultimo numero dell’Economist e il suo tema principale: come la globalizzazione ha, di fatto, massacrato alcune aree e come mettere una toppa alla situazione. Ovvero, dopo il bastone del grande sacco delle elites post-2007, ora un po’ di carota, prima che la gente si incazzi davvero, altro che referendum o voto in Repubblica Ceca. Attenzione soprattutto al titolo usato nel servizio interno a cui rimanda la copertina: “Globalisation has marginalised many regions in the rich world”. Non a caso, è stato utilizzato il termine “regions” non “countries” o “States”. E per regione immagino che a Londra intendano macro-aree, non la Lombardia o il Veneto o la Sicilia. Ed è quello, il punto: quale congiungimento di puntini politico è più automatico di quello che lega i destini di una macro-area come quella del Nord Italia con l’area della cosiddetta Alpe Adria da un lato e la Svizzera (Canton Ticino e Grigioni) dall’altro? E quale area più depressa vedete del Sud Italia o del Sud della Spagna o della Grecia dei mille salvataggi? Le elites, essendo stronze ma non stupide (anzi), hanno capite che euro e finanziarizzazione sono i detonatori di lungo termine delle disgregazioni di Stati nazionali ormai tenuti insieme solo da debiti e ideologie novecentesche ma divisi da realtà macro i cui gap diventano insostenibili ogni giorno di più.

Quindi, è probabile che ci si inventerà una sorta di Piano Marshall per l’Europa di serie B, quella del cosiddetto Club Med. Il quale, però, sarà a sua volta focalizzato sulle aree più disagiate dei vari Stati membri, un’enorme Cassa del Mezzogiorno comunitaria per evitare che i Cinque Stelle del caso riescano ad assaltare e prendere il Palazzo d’inverno. Ovviamente, però, qualcosa andrà offerto alle aree più ricche, già in fibrillazione, Nord Italia incluso. E sarà, facilmente, un’autonomia che andrà però letta anch’essa in chiave europee ed europeista. Quindi, non secessioni drastiche e a strappo stile catalano ma accorpamenti in macro-aree economicamente e fiscalmente compatibili, senza vincoli statutari e costituzionali rigidi o sovranisti. Qualcosa più di un’area di libero scambio e meno di uno Stato: una sorta di federazione temperata.
A mio avviso è scritto, chi pensa che l’Italia possa restare quello che è da qui al 2035, culla una pia illusione. Anche perché giovedì Mario Draghi ci dirà cosa sarà del QE e, per quanto mi riguarda, della sua parte più importante, ovvero l’acquisto di bond corporate:

vi piace quanto avete appena visto nel grafico? Pensate che dinamiche simili siano frutto di azzardo o della consapevolezza che l’Italia è un Titanic che si salva solo se scarica peso e si ribilancia, per cercare di restare a galla, mentre si riparano le falle principali? Sembra paradossale ma potrebbero proprio essere lo stramaledetto euro e le altrettanto vituperate elites a garantire i nuovi assetti dell’Europa. Non per bontà o grazia ricevuta ma perché è l’unica via possibile per non essere travolti dal malcontento reale. Come dice l’Economist. I voti referendari sono molto naif ma non servono a un cazzo in concreto. Ma, magari, sto prendendo un’epica cantonata.
Di Mauro Bottarelli , il 33 Comment

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