L’inverno sta arrivando
Uno scenario catastrofico per l’economia italiana è alle
porte: tra fine del QE, rialzo dei tassi BCE, arrivo di falchi ancora più
austeri, apprezzamento dell’Euro e una congiuntura favorevole che potrebbe non
persistere a lungo.
La festa è finita, tutti a casa che tocca pulire. Ma come,
proprio sul più bello? Sì. L’euforia ci sta, per carità, ma il realismo certe
volte ci sta anche di più. Se è vero che la crescita annuale del PIL, +1,4%,
andrà meglio delle attese è altrettanto vero che l’Italia (come gli altri paesi
manifatturieri dell’Eurozona) ha goduto di uno scenario unico e irripetibile.
Roba da difficoltà principiante a Fifa, in cui anche un novizio della console
riesce a dribblare senza difficoltà qualsiasi giocatore. Sarà bene realizzare
al più presto che gli eventi interverranno per reimpostare la difficoltà
corretta, se non superiore.
Il petrolio incide in maniera consistente sui costi del
settore produttivo: eccezionalmente e costantemente basso negli ultimi anni
Poi ci sarebbe anche la questione Stati Uniti. Nonostante la
si definisca una potenza in declino rimane tutt’oggi il maggiore importatore
mondiale, con una bilancia commerciale di oltre 40 miliardi in deficit (42,4 ad
agosto con 237,7 miliardi di importazioni). Chi importa compra dall’estero, per
definizione, e traina l’economia mondiale. Se gli USA dovessero rallentare
sicuramente la crescita italiana non ne risentirebbe in positivo. Il ciclo
economico di Washington è già troppo duraturo rispetto ai dati in nostro
possesso: l’espansione permane dal 2009. Secondo gli analisti di Deutsche AM
siamo di fronte ad una situazione anomala, che potrebbe resistere seppur sotto
forma di crescita debolissima. Il motivo? I parametri sono inquinati da una
politica monetaria mondiale totalmente inedita per la storia dell’economia
moderna, rendendo di fatto impossibile stimare la crescita a stelle e strisce
nel lungo periodo.
La crescita negli States permane, ma per gli esperti si
tratta di una situazione insostenibile, destinata a rallentare nel medio
termine
Il tasso ufficiale della Fed è super-accomodante dal 2009,
quando fu ridotto a 0,25% (oggi in aumento lento e costante a 1,25). Stessa
situazione anche per l’Eurozona, che ci tocca ancor più da vicino: il costo del
denaro è ai minimi (tasso ufficiale a zero) da oltre un anno e comunque non
superiore all’1% da cinque anni a questa parte. Anche da noi, come negli
States, è in atto l’alleggerimento quantitativo (c.d. QE) con cui la Banca
Centrale Europea sta acquistando asset sul mercato al ritmo di 60 miliardi al
mese, in discesa rispetto agli 80 dell’anno scorso.
Che casino, direte voi. Tranquilli, ora sintetizziamo: in
poche parole la pacchia è finita. È il tempo delle mele e l’Italia sarà
costretta a cadere dall’albero senza aver raggiunto la maturazione. La politica
monetaria espansiva (l’immissione di liquidità nel sistema, si spera,
produttivo) punta ad aumentare l’inflazione sino ad un tasso inferiore ma
prossimo al 2%: questo è assodato. L’inflazione tedesca è all’1,8%, mentre
quella italiana è ferma all’1,1%. Indovinate un po’? I tedeschi chiedono a gran
voce la fine dell’era del denaro facile. Li chiamano falchi, non a caso.
L’uomo della Bundesbank è da sempre restio alle politiche
monetarie accomodanti: la fobia dell’inflazione ce l’ha nel sangue, l’incubo di
Weimar è vivido nella sua mente
Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e naturale
successore di Mario Draghi alla guida della Bce, ha già tuonato: non c’è
bisogno di prolungare il Qe oltre il 2017. E sono dolori, perché l’influenza
dei tedeschi sulla politica monetaria europea è a dir poco pesante. Nel momento
in cui l’inflazione raggiungerà il 2% in Germania (e prossimamente
nell’Eurozona), il problema diventerà politico: Draghi non potrà più rimandare
la fine del QE. Non avrà più scuse.
Il QE, come sappiamo, non solo spinge in alto l’inflazione
(in maniera piuttosto inefficace, tra l’altro), ma calmiera il costo del debito
pubblico, specie quello dei mediterranei. Sì, anche il nostro. Quando la Bce
smetterà di acquistare i BTP nessuno sa precisamente come il mercato reagirà,
narcotizzato com’è dalla cascata di fresca liquidità che inonda gli scambi ormai
da anni. Sicuramente i rendimenti (interessi sul debito) aumenteranno, spinti
da una minore domanda, riducendo i margini di manovra del governo italiano
(ingessati da stolte discipline di bilancio). Ergo: tasse e tagli. Ancora? Sì,
ancora, tranquilli. Qualcuno in sala conosce gli effetti di una politica
fiscale restrittiva in regime di crescita economica stagnante? Bravissimi:
recessione.
Elsa Fornero durante l’ormai celebre conferenza stampa dalle
lacrime di coccodrillo, spiega come “i vincoli finanziari oggi sono
severissimi”: a questo può portare l’obbligo di una ferrea disciplina di
bilancio.
La finanziaria (per usare un termine retrò) sta prendendo
forma lentamente e Padoan fa già fatica oggi con la flessibilità concessa da
Bruxelles e Berlino, Dèi generosi a cui non dispiace vedere l’Italia soffrire
per il proprio debito (nonostante l’avanzo primario da vent’anni, con una
gestione più virtuosa di quella teutonica). Beh, sappiate che Schauble è in
uscita dal Ministero delle finanze tedesco: al suo posto (probabilmente)
arriverà un giovane austero e scattante, tale Christian Lindner.
Questo goldjunge liberale sostiene la necessità di più
rigidi vincoli di bilancio, meno flessibilità e, udite udite, la fine
dell’assistenzialismo sul finanziamento del debito pubblico. Un falco vecchia
maniera, insomma. In effetti gli basterebbe far leggere a Gentiloni (o chi
verrà per lui nel 2018) l’articolo 81 della Costituzione: ehi carissimo, ce
l’avete scritto voi che dovete perseguire il pareggio di bilancio, schnell!
(più o meno così). Tra Fiscal Compact e Costituzione il nostro bilancio
dovrebbe contrarsi notevolmente, di quasi tre punti di deficit. Una enormità. A
rischio non c’è solo la crescita ma la sopravvivenza del nostro welfare.
Christian Lindner, qui in una posa da playboy, è sostenitore
dell’austerità ferrea e irriducibile: a confronto Schauble è un keynesiano
Come ciliegina sulla torta bisogna ricordare che l’Euro,
spinto in basso dalla politica monetaria della Bce e dal tapering della Fed
(gli USA hanno premuto il freno prima, apprezzando la loro moneta), è sotto al
cambio 1,2 col Dollaro dal 2015. Quando anche i tassi Bce si rialzeranno e il
QE si ridurrà (presto, molto presto) l’Euro sarà destinato ad apprezzarsi
strozzando così la ripresa delle economie esportatrici (su tutte Italia e
Germania, anche se è bene ricordare la preponderanza degli scambi
intra-comunitari). Euro basso, petrolio ai minimi, domanda degli USA
relativamente forte e flessibilità (esilarante usare questo termine) concessa
tutto insieme: è uno scenario paragonabile al più torbido e proibito dei sogni
erotici di Padoan, destinato però a finire presto.
Se con questa congiuntura non siamo riusciti a ripartire ci
si chiede cosa potrà accadere nei prossimi mesi (e anni). La classe politica
italiana è priva di polso, attributi, armi e competenze per affrontare
l’inverno che sta arrivando. Lo spread, senza la Bce ad intervenire, è dietro
l’angolo. A questo va sommato l’aumento del costo del denaro, la fiacca
crescita USA, l’arrivo dei falchi tedeschi nelle posizioni di potere europee e
le nuove norme bancarie, che potrebbero mettere in ginocchio l’intero nostro
sistema. Con una alleanza PD/Forza Italia già scritta nel dopo elezioni politiche,
di exit strategy ancora non se ne parla. Senza quest’ultima non c’è potere
contrattuale e senza potere contrattuale si soccombe. L’inverno sarà freddo e
il Natale, che tutti hanno cominciato a festeggiare in anticipo (a cominciare
da Renzi e dai media tradizionali) sarà molto duro, a luci quasi spente, come
direbbe un mio amico di Correggio.
di Gianmaria Vianova - 9 ottobre 2017
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