Chi starà shortando i bond catalani?

O è la solita pantomima all’europea o qualcuno cerca il caos in Catalogna. E rischia di trovarlo


Prima di tutto, una notizia che so vi farà affrontare con ancora maggior buonumore il fine settimana: domenica sera Enrico Mentana sarà in onda con una maratona dedicata al referendum sull’indipendenza della Catalogna. Ora, al netto del mistero sempre più fitto del perché abbia snobbato con le sue interminabili dirette solo il voto in Germania, con l’approssimarsi del voto di dopodomani, la situazione appare paradossale. Il governo di Madrid, infatti, oggi pomeriggio ha detto che non ci sarà alcun referendum, mentre quello catalano ha ribadito che è tutto pronto per il voto. Schermaglie classiche, direte voi. Forse. Resta il fatto che sono oltre 10mila gli agenti della Guardia Civil dispiegati, con compiti molto chiari: evitare che la gente si rechi ai seggi e, nel caso, sgomberarla. Inoltre, evitare l’apertura dei seggi stessi, ponendo i sigilli e presidiandoli. “Se si terrà il voto, il presidente catalano, Carles Puigdemont, dovrà rispondere davanti ai tribunali per la sua grave slealtà istituzionale”, ha detto oggi pomeriggio Inigo Mendez de Vigo, portavoce del governo centrale.

Di più, chi verrà sorpreso a lavorare ai seggi, andrà incontro a una sanzione di 600mila euro. Per tutta risposta, dopo le mobilitazioni studentesche di ieri che hanno portato all’occupazione degli atenei, il portavoce del governo regionale Jordi Turull ha ribadito che domenica si voterà pacificamente dalle 8 alle 20: “Tutto è pronto nei 2mila collegi elettorali e più”, ha detto. Inoltre, il vicepresidente calatano, Oriol Junqueras, ha dato l’indicazione agli elettori di recarsi alle urne, manifestando resistenza pacifica, anche se sarà loro vietato l’ingresso: “Sono state previste alternative per i seggi, nel caso fosse impedito il voto”. Infine, molte scuole, che ospitano le sezioni elettorali, sono state occupate dagli studenti – spesso spronati dai genitori – per evitare che abbia effetto il “cordone sanitario” predisposto dalla polizia di Madrid. Circa 60mila persone, stando agli organizzatori delle occupazioni, si sono registrate per partecipare: hanno a disposizione tende, sacchi a peli e cibo per “resistere” fino all’alba di lunedì.
Come è noto, il premier spagnolo Mariano Rajoy non sta partecipando al vertice di Tallin sulla “Web-tax” e resterà a Madrid per tutto il weekend per presiedere un gabinetto d’emergenza permanente, status che è stato rafforzato oggi dalla decisione di imporre la chiusura di parte dello spazio aereo sopra Barcellona, a detta dei critici per evitare che droni e piccoli aerei privati possano rimandare le immagine dei cortei giganti e della grande affluenza alle urne. Ma se Madrid gioca di propaganda, forse anche Barcellona sta forzano la mano con il suo non voler arretrare: “Siamo assolutamente disposti a negoziare. Quando lo vorrà lo Stato spagnolo, visto che abbiamo cercato di farlo per anni”, ha dichiarato il ministro degli Esteri catalano, Raul Romeva. E alla luce dell’immagine che ho scelto per la copertina e che qui ripropongo,

il governo centrale di Madrid ha già cercato di ridimensionare le preoccupazioni degli investitori: garantirà – ha spiegato un funzionario anonimo – i pagamenti a tutti i creditori dell’amministrazione regionale catalana. Si arriverà a un compromesso? I tempi appaiono stretti. Molto stretti per un accordo che non faccia figurare nessuno dei due fronti contrapposti come colui che ha ceduto nel braccio di ferro. Oltretutto, al netto della richiesta diretta avanzata ieri dal sindaco di Barcellona, non potendo per la prima vola in assoluto contare sull’interventismo dell’UE, la quale si è lavata le mani della faccenda fin dall’inizio della crisi e anche ieri ha ribadito in una riga i comunicato di rispettare la legislazione e l’assetto istituzionale spagnolo.

Insomma, per Bruxelles il governo di Madrid ha mano libera. E qui entra in gioco la variabile a rischio impazzimento, stante la tensione in corso e l’enorme mobilitazione popolare nelle strade e nei quartieri. Cosa farà, alla prova dei fatti e non delle dichiarazioni, la polizia catalana, quei Mossos d’Esquadra diventati famosi durante i giorni post-attentato sulla rambla? Madrid li ha infatti formalmente posti sotto il comando di un generale della Guardia Civil, esautorandoli e – di fatto – sospendendo il loro status di corpo autonomo che risponde in prima istanza al governo catalano.
Fin dai giorni dell’emergenza terroristica, la difficoltosa e mal digerita coabitazione fra Guardia Civil e Mossos fu la plastica rappresentazione della tensione fra Madrid e Barcellona, visto che nemmeno un fatto tragico come quello riuscì a sopire polemiche e appianare differenze per più di un giorno. Ora, la questione è duplicemente più seria e soggetta a tensioni. Da un lato perché Madrid ha avocato a sé il controllo dei Mossos e della loro scala gerarchica e operativa e, dall’altro, perché fin dall’inizio la polizia catalana ha detto chiaramente che non accetta imposizioni da Madrid e che non obbedirà ai comandi, in primis quello di operare in fase preventiva e repressiva nei seggi. Può ovviamente apparire uno scenario estremo, quasi da film di Costa Gavras ma in assenza di un compromesso entro domani, domenica potremmo ritrovarci con due corpi di polizia, armati, l’uno di fronte all’altro con missioni e priorità completamente contrapposte.

Il campo giochi perfetto per i provocatori di ogni risma e colore: basterebbe infatti poco, pochissimo a far salire la tensione al punto che un solo gesto sia sufficiente a far degenerare i già labili equilibri. Di piazza e non. E sarebbe subito effetto G8. Perché l’UE, istituzione che mette becco anche per l’intensità dei peti, non ha detto una singola parola e, soprattutto, non ha posto in essere nemmeno il minimo sindacale di mediazione? Forse perché facendolo avrebbe riconosciuto legittimità a un referendum bocciato e definito illegale dalla Corte spagnola? E da quando Bruxelles si fa certi scrupoli, visto che ha riconosciuto senza colpo ferire un narco-Stato come il Kosovo? Inoltre, Juncker ha già detto chiaro a Barcellona che, anche in caso di vittoria del “Sì”, può scordarsi l’adesione all’Unione come Stato sovrano. Io non dico di porre in essere lo stato d’emergenza ideologico, politico e mediatico disposto per il Brexit ma fra l’armageddon e il silenzio di tomba, esistono varie sfumature di alternativa.

Invece, nulla. Tutti a Tallin a parlare di “Web-tax” e a guardare le fighe. Sarà ma qualcosa mi puzza. O siamo di fronte all’ennesima pantomima all’europea – e un eventuale accordo in extremis ce lo confermerebbe a brevissimo – o qualcuno potrebbe volere il caos a Barcellona domenica, magari per spostare l’attenzione da altre priorità. Mi risulta difficile credere che di fronte a un tensione simile, che coinvolge anche i corpi di polizia, l’UE abbia resistito alla tentazione di dire la sua. Molto difficile. A meno che non intenda trattenere fiumi di parole per lunedì. E poi, chi starà shortando i bond catalani?
Di Mauro Bottarelli , il 127 Comment 

Commenti