A ridosso della capriola politica

Cosa c’è dietro la nuova pace tra Erdogan e Putin? Economia turca al collasso e “sindrome Maduro”

Dallo scorso 16 aprile, quando Erdogan ha vinto sul filo di lana il referendum costituzionale che gli garantisce mano libera e un potere pressoché assoluto per almeno dieci anni, la Turchia è sparita dai radar dei grandi media. Ogni tanto la notizia di qualche arresto di magistrato o giornalista, il caso del blogger-regista italiano Gabriele Del Grande arrestato al confine siriano (qualcuno, un giorno, ci dirà quanto abbiamo pagato per la liberazione e cosa ci fosse dietro, visto che dopo una rapida conferenza con la stampa estera, il nostro eroe è sparito dalla circolazione mediatica) ma l’ondata di sdegno e attenzione morbosa montata dopo la vittoria del “Sì” – che avrebbe portato come diretta conseguenza, l’indizione di un referendum per il ripristino della pena di morte – pare svanita. La Turchia, da protagonista, è diventata comprimaria del grande show mediatico globale. Insomma, tv e giornali hanno seguito il copione da “wag the dog” imposto dal Deep State statunitense e hanno concentrato l’attenzione sull’altro cattivo di turno, Kim Jong-un e i suoi missili, tanto innocui quanto utili per sviare le attenzioni dai problemi interni USA e dall’armageddon monetario che la Cina si prepara a scatenare, con il beneplacito del nuovo “amico”, Donald Trump.


Eppure, qualcosa di importante è accaduto in Turchia. La scorsa settimana, al quarto tentativo, è infatti giunta la fumata bianca più attesa. Russia Turchia e Iran, i Paesi garanti della tregua in Siria e dell’iniziativa negoziale di Astana, hanno infatti siglato un memorandum che prevede la creazione di quattro “zone cuscinetto” in cui saranno vietate “ogni tipo di ostilità” fra i ribelli e le truppe fedeli a Bashar al Assad. Una novità sostanziale che ha suscitato il plauso formale di Staffan de Mistura: “E’ un passo avanti importante”, ha dichiarato l’inviato speciale dell’Onu. I ribelli, per bocca di Osama Abu Zaid, hanno però bocciato l’intesa, rifiutando qualunque divisione “dell’integrità territoriale siriana e ogni ruolo dell’Iran come Paese garante”. Ma il loro benestare, si è sottolineato ad Astana, non è vincolante, tanto che si è arrivati a mettere in discussione la stessa compattezza di posizione all’interno della variegata galassia dei ribelli cosiddetti “moderati”. L’accordo prevede la creazione di “zone di sicurezza” dotate di check-point e punti di osservazione, accanto ai confini delle “zone a bassa tensione” o “zone cuscinetto”, indicate nel documento come “zone di de-escalation”.

Una doppia cintura protettiva per evitare scontri tra le parti in conflitto e “garantire il movimento dei civili disarmati, l’accesso degli aiuti umanitari e per facilitare le attività economiche”. L’aviazione siriana, dal canto suo, metterà fine ai raid nelle “zone a bassa tensione”, mentre Mosca ha promesso di fare altrettanto a patto che la tregua tra le parti regga. Le quattro “zone cuscinetto” – ad oggi sono state identificate Idlib, Latakia, Homs e parte di Aleppo – verranno individuate con precisione entro il 4 giugno ma dalla mezzanotte di sabato scorso gli scontri paiono cessate, almeno quelli di maggiore intensità. L’accordo avrà una durata di 6 mesi rinnovabili e, se tutto va bene, per l’inviato speciale di Putin in Siria, Alexander Lavrentyev, “diventerà poi permanente”. Ma, questione più importante, stando al documento, Russia Turchia e Iran continueranno a impegnarsi nella lotta contro Isis e Al-Nusra “sia all’interno, sia all’esterno delle zone di de-escalation”, tanto che Mosca si è detta disponibile a inviare “osservatori” e pare non sia escluso che altri Paesi neutrali possano fare lo stesso, a patto che le nazioni garanti siano d’accordo.
In attesa del prossimo round negoziale ad Astana, previsto per metà luglio e alla luce del reale rispetto sul campo di questa ennesima tregua, questo passo negoziale ha sancito anche altro: il rinnovato accordo tra Russia e Turchia, nella fattispecie tra Putin ed Erdogan, dopo che quest’ultimo – forse ingolosito dalla possibilità di alzare il livello dello scontro con i curdi nel Nord del Paese – aveva di fatto sancito un tacito patto siriano con USA e Israele, quest’ultimo impegnato nella sua personalissima campagna proxy contro l’Iran a colpi di bombardamenti contro le postazioni ritenute sedi di passaggio di armi per Hezbollah.

Incontrando il leader russo a Sochi lo scorso 4 agosto, Erdogan ha usato toni molto concilianti: “I passi che Ankara e Mosca faranno insieme cambieranno il destino di tutta la regione”, ha dichiarato, prima di sottolineare “le relazioni speciali che intercorrono tra i nostri due Paesi dopo il raggiungimento di questa intesa”. Insomma, luna di miele. La terza in meno di un anno e mezzo. Ci sarà da fidarsi questa volta? Erdogan è uomo di potere, quindi affatto esente da cambi di posizione repentini ma due variabili paiono spiegare l’ennesima giravolta dal grande capo turco. Primo, l’atteggiamento di chiusura post-referendum dell’UE, che lo avrebbe portato a un allontanamento dalla coalizione a guida USA. Secondo, la crisi economica e alcuni strani movimenti su moneta e debito pubblico. E che la situazione fosse alle soglie dell’emergenza, lo mostra questo grafico

e il fatto che la Banca centrale turca abbia cominciato da qualche settimana a operare come un “compro oro”, di fatto puntando a una confisca col sorriso del bene rifugio detenuto dai suoi cittadini, spaventati dall’andamento della valuta e dall’intero quadro economico. Stando a quanto pubblicato da Daily Sabah, nelle intenzioni della Banca centrale ci sarebbe il lancio di due nuove forme di investimento in oro fisico: da un lato l’emissione di un bond aureo e, dall’altra, la creazione di uno strumento per il prestito di oro e gioielleria aurea. Alla base della mossa, la volontà del governo di ottenere il metallo prezioso al fine di utilizzarlo nel settore privato, rendendolo disponibile per l’industria finanziaria. Insomma, i cittadini dovrebbero togliere l’oro dai materassi e venderlo allo Stato, il tutto spacciato come iniziativa dello stesso per garantire ai turchi cash da spendere.

In realtà, ciò che il governo ha intenzione di fare è emettere un bond aureo su cui pagherà gli interessi ai cittadini per l’utilizzo del loro oro, il tutto in lira turca. E se questo interesse sarà legato al trend del prezzo dell’oro, il gold-covered loan certificate garantirà inoltre al detentore di ricevere l’interesse dopo che l’oro fisico o la gioielleria aurea saranno stati depositati presso la banca intermediaria. Insomma, cosa accade? Il timore è che il governo, visto il premio di rischio richiesto per finanziarsi sui mercati esteri, stia cercando di confiscare in maniera gentile l’oro dei suoi cittadini, il tutto attraverso uno schema obbligazionario destinato a terminare in default per chi cede il proprio metallo. Funzionerà?
Una cosa è certa: si tratta del sintomo di una crisi sempre più forte per l’economia e i conti pubblici turchi. Nonostante si sia garantito una sorta di sultanato a vita, infatti, Erdogan deve fare i conti con questo,

ovvero con l’indice di miseria del proprio Paese giunto a livelli massimi, a causa dell’inflazione sempre crescente, di una moneta al collasso e di un tasso di disoccupazione che non accenna a diminuire dai suoi livelli di allarme. Che la stretta repressiva posta in essere dopo il fallito golpe del luglio scorso e dopo il referendum sia una mossa preventiva, in vista di manifestazioni di massa, magari con qualche “spintarella” estera che le fomenti? Il fatto che a mettere in fila le criticità macro della Turchia in un ampio e dettagliato servizio sia stato la settimana scorsa il quotidiano tedesco “Die Welt” fa pensare, viste le recenti tensioni tra Berlino e Ankara, legate proprio alle comunità turche all’estero e alla possibilità per i politici di fare campagna elettorale in vista del referendum. Il report è sconfortante: in aprile l’inflazione ha accelerato all’11,9%, il tasso più alto dall’ottobre 2008 e ben al di sopra delle aspettative.

In particolare, poi, ad aumentare maggiormente sono i beni di uso più comune e diffuso come cibo, abbigliamento, trasporti e alcool, tanto che le percentuali di crescita più alte raggiungono addirittura il 22%. E se la nuova tassa sugli alcolici ha colpito i prezzi al consumo, ad aprile – su base mensile – anche l’abbigliamento ha visto un aumento del 9%. Il tasso di disoccupazione è salito al 13%, il massimo dal 2010 ed ecco che, come per magia, il “misery index” è salito ai massimi dal 2005, a quasi il 25%. Inoltre, c’è un altro indicatore che ci mostra come il potere d’acquisto dei turchi stia subendo un’erosione devastante, il numero di nuove auto vendute: il calo su base annua è stato dell’11,6% ad aprile, mese nel quale sono state vendite solo 57.998 unità. E’ questo a fare paura ad Erdogan, tanto da compiere l’ennesima capriola e posizionarsi dietro lo scudo di Putin, pagando il prezzo della sua protezione con l’abbandono di ogni velleità atlantista in Siria? Questo grafico

sembra suggerirci di sì, visto che non si era mai arrivati a un pattern simile e che alcuni analisti temono che, se non interverrà qualcosa a bloccare la dinamica e a placare il sempre crescente malcontento economico e sociale dei cittadini, il prossimo passo per il sultano sarà quello di entrare in modalità “full-Maduro”.
E che a ridosso della capriola politica di Erdogan e della nuova tregua raggiunta ad Astana, uno “scudo” molto potente possa essersi palesato in favore della Turchia, ce lo mostra un dato. Se questo grafico

spiega impietosamente quale sia la correlazione tra bond sovrano turco a 10 anni e inflazione, peggiore lettura da 2 anni a questa, parte, Bloomberg fa notare come i fondi esteri stiano comprando quelle obbligazioni con il badile: nei cinque giorni terminati il 29 aprile, l’inflow di capitali su quella carta è stato di 739 milioni di dollari, il maggiore da nove mesi e nel momento economicamente peggiore. Certo, l’allure di quei titoli può essere aumentata dal fatto che gli investitori in dollari sulla lira turca hanno ottenuto un return sul carry valutario del 4,4% lo scorso mese, il più alto di tutti i mercati emergenti, dinamica confermata da questo,

ovvero dal continuo outflow di capitale dalle equities ma tutto questo attivismo è figlio di qualcosa che si muove sottotraccia. Si tratta della Canossa definitiva di Erdogan verso la Russia, garante di quel debito così appetito nonostante i dati macro oppure siamo all’ennesima sciarada, con USA e Israele pronti alla proposta a cui non si può dire di no, magari dopo una rottura ad hoc della tregua in Siria? Una cosa è certa, guai a fare uscire la Turchia dai riflettori o a mantenercela solo per qualche arresto di troppo. Il nuovo assetto mediorientale passa da lì e dalle elezioni presidenziali iraniane del 19 maggio prossimo, già surriscaldate dal botta e risposta con Ryad.
Di Mauro Bottarelli , il 23 Comment
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