E uno solo ne restò

g7-summit-759Come la strana storia dei dieci piccoli indiani…

Accelera, giorno dopo giorno, il collasso dell’impalcatura euro-atlantica. I due turni delle primarie francesi hanno prima sancito la definitiva uscita di scena di Nicolas Sarkozy e poi la sconfitta del candidato europeista, filo-atlantico ed anti-russo, Alain Juppé: ne è emerso vittorioso il gaullista, cattolico e filo-russo François Fillon. Il 1 dicembre è stata la volta di François Hollande, che ha annunciato il clamoroso ritiro dalla corsa per le prossime presidenziali. Come la filastrocca dei “Dieci piccoli indiani”, i rappresentati dell’establishment cadono uno dopo l’altra. Il 5 dicembre toccherà con alte probabilità a Matteo Renzi e, se il candidato populista Norbert Hofer dovesse conquistare la presidenza austriaca dopo i brogli della scorsa primavera, non resterebbe che un “solo povero negretto, che in un bosco andò ed ad un pino si impiccò”: la cancelleria Angela Merkel.

Dieci piccoli negretti se ne andarono a mangiar…

Il ritmo degli eventi si è fatto incalzante negli ultimi mesi. L’analisi che scrivemmo a poche ore dal clamoroso esito del referendum che sancì l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, si è rivelata corretta: la Brexit, poco importa se ostacolata e ritardata dalla autorità britanniche, ha decretato la fine “dell’ordine liberale post-1945”, basato sull’egemonia angloamericana, sulla NATO e sull’integrazione europea in chiave atlantica.
Il disfacimento dell’assetto internazionale durato settant’anni sta causando un’ecatombe nel mondo politico, con un ritmo diventato anch’esso, inevitabilmente, impetuoso. Uno dopo l’altro, presidenti e capi di partito, progressisti o conservatori, così simili da essere interscambiabili (europeisti, atlantisti, russofobici, pro-immigrazione selvaggia, pro-matrimoni omosessuali, etc. etc.) soccombono, pugnalati dall’elettorato in aperta ribellione, infilzati dalla classe media sul piede di guerra. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, la nomenclatura si assottiglia. È uno stillicidio così spietato e ripetitivo, da ricordare la famosa filastrocca dei “Dieci piccoli indiani” (“Ten Little Niggers” in lingua originale), il celebre romanzo giallo scritto da Agatha Christie nel 1939.
L’allegra comitiva di premier e statisti, i nostri dieci piccoli indiani (“negretti” nell’opera inglese), è quella che dal 2011 si prodiga per riplasmare il sistema internazionale, così da salvaguardare l’egemonia dell’oligarchia euro-atlantica, fortemente indebolita dalla Grande Recessione post-Lehman Brothers: destabilizzazione del Medio Oriente, eurocrisi per strappare gli Stati Uniti d’Europa, incentivazione dell’immigrazione indiscriminata, guerra per procura con la Russia, strategia della tensione per sedare l’opinione pubblica, etc. etc., sono le principali attività cui la lieta comitiva si dedica per cinque anni, sino alla tarda primavera del 2016.
È infatti un giovedì del tardo giugno, quando il primo “negretto” della compagnia è ferito a morte da una consultazione elettorale, da lui stesso promessa soltanto pochi mesi prima e sicuro di poterla vincere senza difficoltà (dice niente, Matteo Renzi?).
Il primo piccolo indiano è, ovviamente, David Cameron, il premier inglese che, dalla Libia alla Siria, dal golpe nazionalista in Ucraina al sostegno all’ISIS, è stato uno dei principali artefici della destabilizzazione internazionale degli ultimi anni. Evocato il referendum sulla permanenza nell’Unione Europea per ottenere la riconferma alle elezioni del maggio 2015, Cameron si avventura in un’impresa molto più insidiosa di quanto preventivato: a nulla gli serve l’appoggio di Barack Obama, della City, della finanza cosmopolita ed il ricorso a colpi bassi come l’omicidio della deputata Jo Cox. La sua battaglia contro la Brexit si trasforma in una clamorosa disfatta politica, che ne provoca la morte politica:
Dieci piccoli negretti se ne andarono a mangiar, uno fece indigestione, solo nove ne restar.
È grande lo choc per la morte del primo negretto.
Sui grandi media piovono dure accuse contro il vile assassino del povero David Cameron: si chiama “populismo”, ossia la ribellione dell’elettore medio ad anni di austerità, impoverimento, globalizzazione selvaggia, immigrazione di massa e perdita di qualsiasi controllo sulla gestione dello Stato. L’apprensione tra la comitiva di negretti sale, ma c’è la certezza di poter superare incolumi il prossimo appuntamento. E che appuntamento!
Si tratta delle presidenziali statunitensi che, qualora fossero conquistate da un “populista”, metterebbero a rischio tutta l’impalcatura occidentale. La paura è tale che, a Bruxelles come a Berlino, a Parigi come a Roma, non c’è un capo di Stato o tecnocrate che non tifi per la candidata che promette un’escalation militare con la Russia, ma garantisce allo stesso tempola continuità del sistema euro-atlantico. La vecchia coppia Barack Obama e Hillary Clinton, cui si deve la Primavera Araba, la nascita dell’ISIS ed il rigurgito di Guerra Fredda, si ricompone quindi per fronteggiare la nuova minaccia: Donald Trump. A nulla vale la mobilitazione dei mercati finanziari, dell’ONU, del papa, di Hollywood e dell’intero circuito mediatico: altri due piccoli negretti cadono vittima della classe media in rivolta.
Nove poveri negretti fino a notte alta vegliar: uno cadde addormentato, otto soli ne restar. Otto poveri negretti se ne vanno a passeggiar: uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar.
La combriccola di presidenti e premier non è più allegra ora, ma smarrita e tremante: tre compagni sono già scomparsi ed anche i più importanti, quelli che sedevano ai vertici del sistema ed impartivano le direttive a tutti gli altri! Lungo la schiena dei poveri negretti superstiti corrono i brividi, perché l’assassino è in circolazione e, per uno scherzo del destino, si profila all’orizzonte una sfilza di tornate elettorali dove gli sarà possibile rapire e liquidare tutti i sopravvissuti.
Grande è l’apprensione in particolare per le presidenziali francesi dove, grazie al doppio turno, è possibile che la candidata populista Marine Le Pen conquisti l’Eliseo, decretando così la fine dell’integrazione europea su cui l’oligarchia massonico-finanziaria investe molto da quasi un secolo.
Un negretto, Nicolas Sarkozy, una vecchia conoscenza di quelli già caduti con cui rovesciò ed uccise il Colonnello Gheddafi, tenta di conquistare la candidatura alle presidenziali, sebbene molti altri della compagnia lo considerino ormai logoro: e non a torto, perché alle primarie del centrodestra, il povero Sarkozy raccoglie il 20% delle preferenze e, umiliato, annuncia l’addio definitivo alla politica.
Le speranze dell’oligarchia convergono allora verso il candidato Alain Juppé, che ha molti tratti in comune con agli altri negretti della combriccola: europeista, atlantista, favorevole alle sanzioni alla Russia, ostile al presidente siriano Bashar Assad1. Niente da fare! L’elettorato non obbedisce più ai media, né il soccorso degli elettori di sinistra è utile a salvarlo. Vince così il secondo turno delle primarie del centrodestra l’ex-premier François Fillon, “le candidat de Poutine”, gaullista di vecchio stampo, cattolico tradizionalista e colpevole di aver votato “no” al trattato di Maastricht nel 1992: c’è ne abbastanza per sentire odore di “Vandea” nei templi della libera muratoria francese.
È senza dubbio l’inaspettato esito delle primarie del 27 novembre a convincere un altro negretto a togliersi la vita, pur di sfuggire alla mannaia delle urne: è François Hollande, il socialista che nell’estate 2013 avrebbe volentieri bombardato la Siria, il presidente che ha inaugurato la sanguinosa strategia della tensione, spacciata come “terrorismo dell’ISIS” e costata oltre duecento vittime, l’uomo grazie cui la Francia è precipitata nel caos sociale e voterà alle prossime presidenziali in pieno stato d’emergenza.
Altri tre negretti, Sarkozy, Juppé ed Hollande, sono quindi scomparsi:
Sette poveri negretti legna andarono a spaccar: un di lor s’infranse a mezzo, e sei soli ne restar. I sei poveri negretti giocan con un alvear: da una vespa uno fu punto, solo cinque ne restar. Cinque poveri negretti un giudizio han da sbrigar: un lo ferma il tribunale, quattro soli ne restar.
La combriccola dei presidenti e premier è sempre più sparuta e confusa. È così serrato il ritmo con cui stanno cadendo i compagni, che non c’è nemmeno il tempo di versare una lacrima o di recitare una preghierina.
Il primo dicembre è spirato Hollande e, a distanza di soli tre giorni, è grande il rischio che tocchi ad un altro negretto, il premierMatteo Renzi, cadere vittima di quello stesso referendum costituzionale da cui sperava di ottenere l’investitura popolare, mai conquistata alle urne. Solo pochi mesi prima, Renzi si beava al sole di Ventotene col suo amico Hollande, sognando un futuro radioso per l’Unione Europea, araba fenice dalla ceneri della Brexit: ora, rischia invece di seguirne il macabro destino. A quale sventurata combriccola di negretti si è associato Renzi, quando subentrò con un’oscura manovra di Palazzo al premier Enrico Letta!
A benedire quell’operazione tutta extra-parlamentare fu un altro membro dell’allegra comitiva, timoroso pure lui di perdere la testa il 4 dicembre: è l’ex-presidente Giorgio Napolitano, il puparo della Repubblica italiana, il capo dello Stato che, dalle pressioni per l’intervento militare in Libia alla defenestrazione di Silvio Berlusconi, proseguendo con la nascita del governo tecnocratico di Mario Monti, ha sempre agito in sintonia con la compagnia di negretti. L’attempato Napolitano spende tutte le sue energie per difendere la riforma Boschi, perché sa che gli storiografi sarebbero con lui implacabili se l’approvazione della nuova Costituzione, benedetta dalla Troika e da Washington, fosse bocciata alle urne. È grande, quindi, il timore che il 5 dicembre si contino altre due vittime:
Quattro poveri negretti salpan verso l’alto mar; uno un granchio se lo prende, e tre soli ne restar. I tre poveri negretti allo zoo vollero andar: uno l’orso ne abbrancò, e due soli ne restar.
Solo più due poveri negretti sono rimasti, da dieci che furono! E il destino è cinico e baro, perché il 4 dicembre la lama affilata dell’assassino può mietere ancora una vittima!
È l’europeista e, ça va sans rien dire, massone Alexander Van der Bellen, che si cimenterà nella ripetizione del ballottaggio delle presidenziali austriache, sfidando il “populista e xenofobo” Nobert Hofer. Il piccolo Paese alpino è costretto a tornare alle urne perché le “forzature” del meccanismo elettorale con cui si tentò di regalare la vittoria a Van der Bellen, furono così palesi da obbligare le autorità a invalidare il voto: furono quei voti per corrispondenza che decretarono il successo del candidato pro-UE con uno scarto di poche migliaia di schede ed è, per inciso, lo stesso trucco cui si sta disperatamente aggrappando il premier Renzi in queste ore.
I sondaggi vedono i due candidati appaiati, ma la dinamica di fondo, dalla Brexit alla vittoria di Donald Trump, lascia presagire la vittoria dell’anti-europeista Hofer e la parallela disgrazia del verde e “cosmopolita” Van der Bellen. A quel punto:
I due poveri negretti stanno al sole per un po’: un si fuse come cera e uno solo ne restò.
L’alba del 5 dicembre rischia così di sorgere e di trovare una combriccola non più allegra e numerosa, ma decimata ed affranta: caduto Cameron, trapassata la Clinton, immolatosi Hollande, travolto (si auspica) Renzi, chi rimane?
Rimane lei, Angela Merkel, la negretta che nel bene e nel male ha garantito l’unità dell’eurozona, la cancelliera che imposto le sanzioni anti-russe al resto dell’Europa, la Mutti” che ha spalancato le porte all’immigrazione selvaggia.
Certo, il circuito dei media internazionali l’ha già elevata ad “ultima paladina dell’Occidente liberale”2, ma la sua esistenza si fa, giorno dopo giorno, sempre più grama e difficile: più nessun protettore alla Casa Bianca, più nessun Paese europeo (il Regno Unito) cui appiattirsi, più nessuna spalla all’Eliseo con cui scimmiottare un inesistente direttorio franco-tedesco, più nessun premier-cazzaro per giustificare una capatina a Ventotene!
Ma, soprattutto, la sconfitta di Van Der Bellen sarebbe un foschissimo presagio per la cancelliera: se la presidenza di un Paese centrale dell’eurozona e per giunta di lingua tedesca, come l’Austria, dovesse cadere in mano al Partito della Libertà, si assisterebbe allo “sdoganamento” dei populisti anche nel cuore germanico dell’Unione Europea. La vittoria di Hofer tirerebbe la volata agli euro-scettici e “xenofobi” di Alternativa per la Germania, erodendo ulteriormente l’elettorato dellaCDU-CSU.
Crede davvero Angela Merkel di poter conquistare un quarto mandato alla Cancelleria e di guidare una grande coalizione nera (CDU-CSU), rossa (SPD) e verde, se l’unione cristiano-democratica dovesse precipitare al minimo storico? Alla Casa Bianca siederà allora un presidente che ha sferrato duri attacchi contro la sua politica pro-immigrazione ed è perfettamente consapevole che la cancelliera è l’ultimo residuato dell’era Bush-Obama-Clinton. A quel punto, la filastrocca si concluderebbe:
“Solo, il povero negretto in un bosco se ne andò: ad un pino s’ impiccò e nessuno ne restò”.
g7-summit-759
1http://www.lefigaro.fr/elections/presidentielles/primaires-droite/2016/11/24/35004-20161124ARTFIG00256-syrie-crimee-les-vraies-positions-d-alain-juppe-et-francois-fillon-sur-vladimir-poutine.php
2http://www.nytimes.com/2016/11/13/world/europe/germany-merkel-trump-election.html

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