Un brusco risveglio?

L'euro è solo un castello di carte, dice uno dei padri della moneta unica

Otmar Issing, il “padre fondatore” della politica monetaria della Banca centrale europea, sulla rivista Central Banking torna a scommettere sul crollo della moneta unica. E Francesco Giavazzi, dalle colonne del Corriere della Sera, invita a non “distrarsi pericolosamente”.



(foto LaPresse)
“Un giorno, questo castello di carte crollerà”, ha detto Otmar Issing, intervistato questo fine settimana dalla rivista Central Banking. L’economista tedesco è considerato il “padre fondatore” della politica monetaria della Banca centrale europea, di cui è stato il primo capoeconomista, ed è noto anche per le sue posizioni “ortodosse”. Cosa succederà nei prossimi mesi? “Realisticamente assisteremo al tentativo di cavarsela vivendo alla giornata, passando da una crisi all’altra. E’ difficile prevedere quanto a lungo questa situazione possa continuare, ma certo non potrà durare all’infinito”. In tempo di trattative tra i governi nazionali, come quello italiano, e la Commissione europea sulle rispettive leggi finanziarie, Issing osserva che un eccesso di lassismo fiscale da parte dell’esecutivo europeo dimostra che “il moral hazard è eccessivo”.



Otmar Issing (immagine di Youtube)


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Se quella di Issing è la posizione di un europeista con una cultura di classica matrice ordoliberale tedesca, non è detto che gli europeisti liberali italiani siano automaticamente più ottimisti. Domenica, sul Corriere della Sera, il bocconiano Francesco Giavazzi ha scritto un editoriale così intitolato: “Distrazioni pericoloso sull’Europa”. Ecco l’incipit: “Dopo il referendum italiano l’Europa entrerà in una lunga apnea. Un intervallo che durerà un paio d’anni, il tempo necessario per votare in Francia e Germania, nel 2017, e poi formare nuovi governi, con un negoziato che, a Berlino, potrebbe non essere facile. In questo periodo i temi politici al centro dell’attenzione saranno domestici, mentre su quelli europei regnerà una grande calma.

Ma non perché l’Europa avrà risolto i suoi problemi: “L’inevitabile cancellazione del debito greco verrà solo rimandata, il Portogallo, oggi il Paese più debole dell’Ue, rimarrà in bilico, di completare l’unione bancaria non si parlerà più, né di riscrivere le regole per i bilanci pubblici che lo stesso presidente Juncker giudica ormai superate. In questi due anni i contrasti fra i governi nazionali e la Ue verranno sopiti, le leggi Finanziarie approvate, anche se non proprio in linea con le regole di Bruxelles. Le banche non falliranno: se necessario si troverà un modo per salvarle con denaro pubblico. Questo lungo periodo di calma apparente si concluderà nel 2019 con due appuntamenti: l’uscita definitiva della Gran Bretagna dall’Ue e, a fine giugno, la scelta del successore di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea".

Giavazzi conclude con un messaggio diretto, e non del tutto rassicurante, alla leadership italiana: “L’effetto anestetico dei due anni di calma apparente che ci aspettano può indurci a dimenticare questi problemi, a lasciare che altri studino e preparino le soluzioni. Dopo il referendum del 4 dicembre, qualunque sia l’esito del voto, si aprirà la campagna per le prossime elezioni politiche che, è facile prevederlo e anche comprensibile, si giocherà tutta su temi domestici. Se così facessimo, io temo che nel 2019 ci attenderebbe un brusco risveglio, con la possibilità concreta di essere costretti ad abbandonare se non le istituzioni europee, almeno il loro nuovo nocciolo duro.

A quel punto, ancora una volta, dovremmo rimproverare solo noi stessi. L’effetto anestetico dei due anni di calma apparente che ci aspettano può indurci a dimenticare questi problemi, a lasciare che altri studino e preparino le soluzioni. Dopo il referendum del 4 dicembre, qualunque sia l’esito del voto, si aprirà la campagna per le prossime elezioni politiche che, è facile prevederlo e anche comprensibile, si giocherà tutta su temi domestici. Se così facessimo, io temo che nel 2019 ci attenderebbe un brusco risveglio, con la possibilità concreta di essere costretti ad abbandonare se non le istituzioni europee, almeno il loro nuovo nocciolo duro. A quel punto, ancora una volta, dovremmo rimproverare solo noi stessi”.,
di Redazione | 17 Ottobre 2016
http://www.ilfoglio.it/economia/2016/10/17/spread-scomparso-euro-bce-otmar-issing___1-v-149312-rubriche_c368.htm

Nel 2011 Berlusconi era pronto a far uscire l'Italia dall'euro

A riferirlo è stato l'economista Hans-Werner Sinn, ex direttore dell'Ifo Institute for Economic Research di Monaco. Per lo studioso la nostra situazione è disperata: "In Italia si discute tanto, ma non si agisce per cambiare le cose"
di Redazione | 17 Ottobre 2016 ore 17:17

Silvio Berlusconi nel 2011 (foto LaPresse)
Nel 2011 "Berlusconi aveva avviato trattative riservate per chiedere l'uscita dell’Italia dall’euro, perché lui e altri rappresentanti dell’economia italiana non vedevano alternative a questo". A dirlo, in un intervista alla Welt, è l'economista Hans-Werner Sinn, già direttore dell'Ifo Institute for Economic Research di Monaco. E per il docente dell'Università di Monaco dal 2011 la situazione economica del nostro paese non è migliorata, continua a non essere competitiva e "e negli ultimi dieci anni non ha nemmeno fatto sforzi per diventarlo": "Il livello dei prezzi era eccessivo già prima della crisi, e da allora non è sceso. Anzi, dal 1995 i costi di produzione sono rincarati del 42 per cento rispetto a quelli tedeschi. I prezzi dovrebbero scendere, ma non succede nulla: in Italia si discute tanto, ma non si agisce per cambiare le cose".


L'economista Hans-Werner Sinn


ARTICOLI CORRELATI L'euro è solo un castello di carte, dice uno dei padri della moneta unica"L’industria produce il 22 per cento di meno rispetto al periodo precedente la crisi", riporta nella sua analisi Sinn, che aggiunge: "La disoccupazione giovanile è quasi al 40 per cento, i fallimenti aumentano e, secondo un calcolo del Fondo Monetario Internazionale i prestiti non performanti sono cresciuti raggiungendo l’80 per cento del patrimonio delle banche. Un paese non può sopportare a lungo una situazione così catastrofica. Mi chiedo davvero quanto il paese riuscirà a resistere nell’euro: la metà dei cittadini ormai lo vuole lasciare. E’ il valore più alto di tutti i paesi dell’Eurozona!”.

E non solo l'Italia si trova in questa situazione. "La situazione economica dell'Europa del sud ha prodotto una bolla creditizia inflativa che scoppiando ha messo in crisi le economie. Oggi la disoccupazione è elevatissima e la gente delusa dell’euro. Al contempo, i creditori dell'Europa settentrionale sono irritati di dover sostenere il meridione con transfert e fondi di salvataggio". Sono questi i motivi che spingono l'economista a dire che "tra dieci anni l’Eurozona esisterà ancora nella sua forma attuale: non scomparirà, ma alcuni paesi la lasceranno, ed è giusto che sia così. La probabilità che l’Italia continui a farne parte cala di anno in anno. Il paese non riesce a gestirsi con l’euro".

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