Il festival degli unicorni.

Prosegue senza sosta il festival degli unicorni, sia in Usa che in Europa. Mentre la già fallita Russia..

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Dunque, a che punto siamo con la famosa ripresa economica? Occorre domandarselo seriamente, perché quando anche i media cosiddetti autorevoli prendono atto dei “deludenti dati Usa”, allora le scelte sono due: o si va contrarian o ci si mette il cuore in pace, prendendo atto che la faccenda sta diventando seria. Questo grafico
Mad_world
ci mostra su quali solidissimi dati sottostanti si basi il rally di mercato,
mentre quest’altro
Job_truth
è ancora più inquietante: stando alla Fed, per il quarto mese di fila le Labor Market Conditions negli Usa sono andate in contrazione ad aprile, la striscia più lunga dall’ultima crisi finanziaria. Ma allo stesso tempo, nonostante un calo dai recenti massimi, il Labor Department, di fatto il governo, ci dice che l’occupazione continua a migliorare. La Fed gioca a fare la gufa per evitare il rialzo dei tassi o l’esecutivo conteggia anche gli unicorni? Chi mente dei due? Poco fa poi è uscito il dato manifatturiero Empire e questi grafici
Empire1
Empire2
non solo ci dicono che il rimbalzo del gatto morto di marzo/aprile è terminato ma anche le aspettative sul CapEx sono collassate al livello del giugno 2013.
E veniamo a dinamiche davvero importanti per un Paese il cui Pil si basa al 70% sui consumi. Partiamo da qui,
Inventory3
ovvero dalla ratio scorte/vendite all’ingrosso arrivata quasi ai massimi record di 1.36x ma quest’altro grafico
Inventory4
ci dice come sia un settore chiave e molto sensibile dell’industria Usa, quello automobilistico, a soffrire, visto che la ratio in questo caso è a 1.83x e per quanto riguarda la componentistica la scorsa settimana si è passati da 2.18x a 2.30x. Questo grafico
Inventory
mette in prospettiva la situazione e ci dice che l’esito potrebbe essere sgradevole.
Ma torniamo un attimo al mercato del lavoro, perché questo grafico
Older_work1
ci mostra plasticamente come della maggior parte della nuova occupazione abbia beneficiato la fascia di età degli over 55, tanto che la ratio popolazione/occupazione per chi ha più di 65 anni oggi è ai massimi record dagli anni Sessanta. Ecco quindi crearsi il classico collo di bottiglia per le giovani generazioni e se questo grafico
Older_work2
ci mostra plasticamente l’aumento dell’età fino alla quale si rimane nella forza lavoro attiva, sono i dati dell’ultimo studio della Federal Reserve a spaventare, visto che se il 27% dei rispondenti ha detto che continuerà a lavorare il più a lungo possibile, il 12% ha detto di non aver piani di pensionamento. La ragione? Ce la mostra questo grafico,
Older_work3
l’assenza di risparmi sufficienti per potersi godere la pensione: 3 pensionati su 5 contattati dal Transamerica Center for Retirement Studies hanno detto che la necessità di guadagnare è il motivo primario per cui si va in pensione più tardi. E attenzione, perché questa tabella
Net_worth
ci dice di più: quando infatti il 70-80% di ciò che hai, del tuo patrimonio, è rappresentato da casa tua, allora sono guai. E il range di reddito tra i 25mila e 45mila dollari non legati a immobili, include veicoli, attrezzi e impiantistica di vario genere. Ora, come apparirà quella tabella se per caso la terza crisi finanziaria in 16 anni dovesse colpire azioni, obbligazioni e immobili? Tanto più che per molti, la soluzione è quella di vendere casa e andare in affitto. Questo grafico
House_bubble
ci mostra come l’indicatore “good time to sell a home” della University of Michigan sia oggi ai massimi da marzo 2006, ovvero al picco assoluto per i prezzi immobiliari negli Usa. Esplosione della bolla in arrivo? E attenzione, perché questo grafico
Rent_US
ci mostra come anche vendere casa e andare in affitto non sia una passeggiata nel parco, visto che l’inflazione ad essi legata è 4 volte quella core rilevata dal Bereau for Labor Statistics. Certo, puoi comprarti un mega-tv a schermo piatto con il credito al consumo ma probabilmente dovrai vederlo sotto un ponte. E, soprattutto, conviene non ammalarsi, cosa che invece con il passare degli anni diviene inevitabile. Questo grafico
Drug_prices1
ci mostra infatti come a parte il 1998, quando la Pfizer immise sul mercato il Viagra dando vita a un picco dei prezzi, oggi il costo dei farmaci negli Usa sia un serio problema, questo al netto di Obamacare e delle sue spese obbligatorie in assicurazioni sanitarie. Ad aprile l’aumento su base annua è stato del 9,6%, il maggiore dal 1982 (escluso il picco Viagra). E come ci mostra questo grafico,
Drug_prices2
l’inflazione in questo comparto si sente eccome, se paragonata a quella ufficiale che la Fed ha tentato si stimolare per qualche annetto, gonfiando bolle ovunque. Come quella dello shale oil, ad esempio, la quale comincia a rimandare sinistri scricchiolii, visto che poco fa altre due aziende del comparto, la Breitbrun e la Sunridge, sono ricorse volontariamente al Chapter 11 e che questo grafico
US_oil_output
ci mostra come la dinamica, al netto del debito sottostante al settore, non sia incoraggiante, mentre questa tabella di Goldman Sachs
Oil_disruptions
ci mostra come il rally attuale – oggi toccata quota 49 dollari al barile – sia dovuto in gran parte alla serie di incidenti e scioperi occorsi in tutto il mondo a partire da metà marzo. Casualità o necessità di short-squeeze come se piovesse?
Ma non pensiate che siano solo gli Usa a pagare pegno alle follie delle Banche centrali e del mal-investment, anche l’Ue non è messa bene. Ma in questo caso non starò a sciorinare dati, bastano due esempi. Il primo ce lo mostra questa tabella,
Greece_bailout
la quale ci spiega che non solo tra giugno e luglio la Grecia dovrà compiere pagamenti per 11 miliardi e 235 milioni di euro ma che, in base al geniale, ennesimo piano di bail-out, il calcolo dei pagamenti è stato fatto prevedendo uno scenario che vedrà Atene mantenere un surplus di budget del 3,5% del Pil dal 2017 al 2059! C’è poi questo,
DB_Belgium
ovvero il fatto che al netto dei tassi di deposito negativi per disincentivare il risparmio e stimolare i consumi, non si sa per quale motivo le filiali belghe di Deutsche Bank ti offrano addirittura il 5% di interesse per depositi dai 10mila ai 50mila euro, vincolati però per i tre mesi successivi alla stipula. Per chi è interessato, l’offerta dura per 40 giorni, fino al 24 giugno. Io, invece, mi chiedo: c’è forse qualche leggero problemino di liquidità per Deutsche Bank in Belgio? In compenso, qualcuno che non sta malaccio c’è, come ci mostra questo grafico,
Russia1
visto che le equities russe sono tra le meglio performanti da inizio anni, con un netto miglioramento da quando la Casa Bianca ha consigliato di vendere per il rischio Paese. Mentre questo altro grafico
Russia2
ci dice che il rendimento del bond sovrano decennale, schizzato dal 9% e il 14% a causa delle sanzioni nel luglio 2014, sia ora sceso sotto il 9%, per l’esattezza l’8,84%, il livello più basso proprio dall’introduzione delle restrizioni economiche, finanziarie e commerciali verso Mosca. Ma lo shale oil statunitense e l’Arabia Saudita con la sua produzione record e lo sconto verso l’Asia non dovevano distruggere la Russia? La mia è un’evidente provocazione ma forse sarebbe il caso di cominciare a vedere le cose per come sono veramente e non per come vogliono farcele vedere.
Di Mauro Bottarelli , il 12 Comment

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