Non hanno più voglia d’Europa.

SINDACO DI LONDRA BORIS JOHNSON, PRO BREXIT, ACCUSA OBAMA: ”SEI IPOCRITA A CONSIGLIARCI DI RESTARE NELLA UE” (LEGNATA)


SINDACO DI LONDRA BORIS JOHNSON, PRO BREXIT, ACCUSA OBAMA: ''SEI IPOCRITA A CONSIGLIARCI DI RESTARE NELLA UE'' (LEGNATA)

LONDRA – Il sindaco di Londra, Boris Johnson, diventato il principale alfiere della Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, critica come un atto di “ipocrisia” l’invito a restare nell’Ue da parte del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

Nella sua rubrica sul quotidiano euroscettico “The Telegraph”, il politico conservatore, dopo aver premesso di amare gli Usa e di credere nel “sogno americano”, osserva che l’esortazione di Washington alla Gran Bretagna a restare nell’Ue, “un sistema in cui la democrazia e’ sempre piu’ compromessa”, stride con l’ideale fondativo statunitense del “governo del popolo”.
Come “un deus ex machina”, prosegue il primo cittadino della capitale britannica, “il nostro piu’ importante alleato” dira’ che “e’ nel nostro interesse rimanere nell’Ue”, nonostante “la perdita di sovranita’, il costo e la burocrazia e l’immigrazione incontrollata. Il leader della Casa Bianca sosterra’ che l’appartenenza all’Ue e’ un bene per il Regno Unito, l’Europa e l’America perche’ e’ l’unico modo per la Gran Bretagna di esercitare un’influenza sulla scena internazionale.
L’argomentazione, scrive Johnson, “merita di essere presa sul serio”, ma, provenendo dallo Zio Sam, suona come ipocrita. Nessun paese al mondo, spiega, difende la propria sovranita’ con la stessa “isterica vigilanza” degli Stati Uniti, che “rifiutano di piegarsi quasi a qualsiasi forma di giurisdizione internazionale”; non accettano il giudizio della Corte penale internazionale dell’Aia e non hanno neanche firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
E’ inimmaginabile, continua Johnson, che gli Usa possano accettare un “regime” come quello dell’Ue, ad esempio un Nafta (North Atlantic Free Trade Agreement) con una Commissione, un Parlamento e una Corte di giustizia. Nell’Ue, pero’, gli statunitensi vedono un modo per mettere ordine ai conflitti del continente e un baluardo contro la Russia e considerano nel loro interesse il coinvolgimento dell’alleato britannico.
Tuttavia, ogni anno che passa l’influenza del Regno Unito, messo in minoranza sempre piu’ frequentemente nella Ue, diminuisce, afferma l’esponente Tory, aggiungendo che “l’intero concetto della messa in comune della sovranita’ e’ una truffa”: “Non stiamo veramente condividendo il controllo con altri governi dell’Ue: il problema e’ piuttosto che tutti i governi hanno perso il controllo a favore di una macchina federale non eletta”.
Gli Usa, conclude Johnson, guardano all’evoluzione dell’integrazione europea dalla loro prospettiva federalistica, ma un sistema federale, considerate le profonde differenze interne al Vecchio Continente, “non e’ giusto per molti paesi dell’Ue, e certamente non lo e’ per la Gran Bretagna”.
L’analisi e il giudizio di Boris Johnson, sindaco di Londra eletto con grandissimo successo di voti, ha immediatamente trovato riscontri positivi, è stato ripreso e rilanciato dalla maggior parte dei mezzi d’informazione britannici.

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LA GERMANIA LASCERÀ L’EURO?

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E se fosse la Germania a lasciare l’euro? L’ipotesi è sempre rimasta sullo sfondo ma, dopo il voto di domenica, diventa più concreta. L’insuccesso del partito della Merkel, la caduta di Spd e lo sbriciolamento dell’estrema sinistra hanno aperto la strada agli euroscettici di Afd. Un dato che il governo di Berlino non potrà trascurare. Perché l’Europa si fa a Bruxelles ma i voti sono nazionali.
 
Il voto di domenica dice una cosa molto importante: fasce crescenti dell’elettorato tedesco non hanno più voglia d’Europa. Stanno strette molte regole a cominciare da quelle sull’immigrazione. I tedeschi hanno bisogno di aprire le frontiere perché il Paese sta invecchiando. I vicini di casa europei hanno interessi diversi. La signora Merkel, per forzare la volontà dei partner ha invocato l’inviolabilità dei diritti umani avviando la politica delle porte spalancate che, fino a un attimo prima, aveva rifiutato. Una scelta strumentale per costringere i soci della Ue a seguirla in nome dei sacri principi della fratellanza umana. Senza l’intralcio della Ue i percorsi sarebbero stati diversi e la Merkel non sarebbe stata costretta a mettere in gioco la sua popolarità.
 
Ancora più evidenti le penalizzazioni che vengono dall’euro. Per anni è stato un elemento di crescita per il sistema Germania. Ora è un problema. Draghi ha portato in territorio negativo i rendimenti dei bund. Il fenomeno destabilizza tutto il sistema previdenziale e assicurativo tedesco. Una parte delle pensioni, infatti, viene pagato dai fondi integrativi che, a questo punto, non hanno più margini. Per non parlare delle polizze vita: le vecchie pagano un minimo garantito ai sottoscrittori diventato insostenibile per gli assicuratori. Difficile inoltre trovare nuovi clienti visto che gli interessi promessi sono veramente miseri. Analogamente le banche: a tassi negativi i margini spariscono.
 
Ma il problema non è solo la finanza. Comincia a soffrire l’industria. L’euro che rende imbattibile l’export tedesco. Chi perde, però, non è felice. Per esempio gli Usa stanno rispondendo duramente con l’obiettivo di mettere in cattiva luce il made in Germany. Come leggere altrimenti lo scandalo Volkswagen, oppure le stangate su Deutsche Bank? Come mai il governo di Washington si accanisce tanto sulla Germania e lascia in pace gli altri? La riposta è questa: la potenza tedesca torna a far paura al mondo intero e, ancora una volta, tocca agli Stati Uniti stroncarla. A Berlino cominciano a pensare che tornare al marco potrebbe placare il furore degli avversari.

IL VOTO IN GERMANIA: UE E DEMOCRAZIA SONO ORMAI INCOMPATIBILI

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Ancora una conferma: la democrazia  non è più compatibile con la Ue. Gli euro fanatici sono peggio dei talebani contro cui le popolazioni si stanno ribellando. Il voto amministrativo di domenica in Germania ha consolidato il trend in corso: da due anni a ogni votazione i partiti di governo arretrano e vincono le destre che a Bruxelles con disprezzo chiamano populiste. Una definizione che indica un giudizio di condanna morale prima ancora che politica. Un’ondata che ha investito Portogallo e Spagna da mesi sostanzialmente senza governo. Ancora più grave il fatto che a quasi trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, l’Europa rivede tanti muretti: quello che sta isolando l’Ungheria e la Slovacchia per non parlare di quanto accade in Grecia e al confine con la Macedonia. È messo in discussione il trattato di Schengen che rappresenta l’essenza stessa dell’Unione perché abolisce le frontiere interne. Sullo sfondo si agita il referendum che, a giugno, potrebbe segnare l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue.
In un orizzonte già devastato arriva adesso il voto alle amministrative tedesche. Anche qui gli elettori hanno condannato la Ue. La spinta alla protesta è venuta dall’immigrazione ma è chiaro che il problema vero è la stagnazione economica. Un’Europa che crescesse a velocità sostenuta avrebbe le risorse e anche la generosità per una accoglienza più aperta. Un’Europa piegata dall’austerità e china dinanzi a numeri grigi diventa avara e accidiosa. La sintesi dello smarrimento è l’irritazione che manifestano i capi di governo costretti a partecipare ogni quindici giorni a inconcludenti riunioni del Consiglio europeo. È chiaro che bisogna cambiare rotta e la correzione deve partire dal contesto economico. Bisogna dire basta all’austerità che non ha fatto risanare i conti ma anzi ha peggiorato la situazione. Adesso rischia anche di  divorare il governo di Angela Merkel e di Wolfgang Scheuble che l’ha imposta al resto d’Europa. È un classico della storia. Le popolazioni europee che si ribellano ai soprusi e alle distruzioni che partono dalla cancelleria di Berlino. Stavolta, a differenza del passato il moto di ribellione coinvolge anche i cittadini tedeschi. È la democrazia bellezza.

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