Si può fare il referendum sull’Euro e come?



Come si sa, Grillo ha annunciato la richiesta di un referendum sull’Euro da parte del M5s, con l’intento di recuperare la sovranità monetaria. Ed, ovviamente, si è posto subito il problema di come farlo e del se sia ammissibile. I problemi sono questi:
-una funzione essenziale come quella monetaria non può essere bloccata e, siccome il referendum abrogativo non comporta di per sé il ripristino della situazione quo ante, non sarebbe possibile dar corso ad un eventuale risultato favorevole all’abrogazione, per cui il referendum sarebbe dichiarato inammissibile al 100% delle probabilità;

-in secondo luogo, l’Euro è il risultato di un ponderoso trattato internazionale che è materia esplicitamente esclusa dalle consultazioni referendarie, dall’art. 75 II c. della Costituzione.
La materia è spinosa e merita di essere approfondita. Si può sostenere che il referendum sull’Euro potrebbe essere un referendum “di indirizzo”, per cui l’elettorato dà una indicazione al Parlamento che ha poi l’obbligo di dare esecuzione a quando deciso (magari istituendo nuovamente la lira).
Però, il referendum di indirizzo in quanto propositivo non è ancora istituito, anche se nel processo di riforma costituzionale la questione è stata posa e si potrebbe arrivare a inserirlo in Costituzione. Può darsi, ma per ora non c’è. Si può fare un’altra cosa: manipolare il testo della norma sottoposta a consultazione in modo da ricavarne una sorta di referendum di indirizzo, insomma: non un quesito che determini l’immediata uscita dell’Italia dall’Euro (posto che ciò sia fattibile) ma che apra il processo in questo senso.
Va detto, però, che l’obbligo per il Parlamento e per il Governo di dar seguito all’indicazione referendaria è un obbligo abbastanza imperfetto essendo del tutto sfornito di sanzione, per cui non appare probabile che la cosa avrebbe grande seguito, come è già accaduto in passato per consultazioni simili.
C’è poi il problema che il referendum va ad impingere in una materia di natura internazionale. Il che ne rende assai ardua l’approvazione da parte della Consulta. Tanto più che la semplice declaratoria di ammissione avrebbe immediati riflessi sull’apprezzamento della moneta sui mercati internazionali con  le reazioni degli altri contraenti il patto che è facile prevedere. Va presa in considerazione anche l’ipotesi di un ricorso alla corte europea che potrebbe bloccare il referendum.
Vero è che si può sostenere che la cessione della sovranità monetaria è stata decisa senza alcun atto di rango costituzionale, ma la Costituzione sulla moneta tace e quindi si è proceduto come se ciò non fosse necessario. In effetti sarebbe stato opportuno questo passaggio, forse sarebbe stato opportuno anche un referendum consultivo preliminare comunque sia ormai l’Euro c’è.
E le cose si complicano se si pensa a quale norma sia da sottoporre a referendum: il passaggio all’Euro è stato il prodotto di una complicatissima architettura di leggi di autorizzazione, accordi internazionali fra stati e fra banche centrali (tutta roba non sottoponibile a referendum) e di leggi applicative. Vero è che la Costituzione proibisce di sottoporre a referendum le leggi di autorizzazione a concludere trattati internazionali, mentre tace sulle leggi applicative, ma a maggior ragione anche queste non sono suscettibili di quesito referendario, per logica. E, infatti, quando i radicali tentarono di ottenere l’abrogazione del Trattato Lateranense,  chiedendo l’abrogazione della legge applicativa di esso, la Corte respinse senza alcuna incertezza il loro quesito.
E meno che mai appare possibile manipolare un contesto normativo così complesso, con risultati imprevedibili sul combinato disposto. Insomma, da questo punto di vista non parliamone proprio.
Dunque, l’unica strada possibile sarebbe quella del referendum consultivo con proposta legge di iniziativa popolare. Nulla lo impedirebbe sul piano costituzionale (in fondo c’è il precedente del referendum consultivo del 1989, proprio in materia di unificazione europea). I problemi, però  sarebbero tutti di natura politica. In primo luogo, quelle stesse pressioni dei partner europei, cui abbiamo accennato poco prima a proposito di un referendum manipolativo, ci sarebbero anche in questo caso, perché comunque, un referendum del genere avrebbe effetti sulla stabilità della moneta già al suo annuncio. Perturbazioni magari più ridotte, ma comunque ci sarebbero. Ed è facile capire che questo non rallegrerebbe i cuori a Berlino.
Poi, il punto è che raccolte le firme non c’è alcun obbligo di dar luogo al referendum, perché occorrerebbe approvare una apposita legge, ma non c’è l’obbligo del Parlamento di approvarla, anzi neppure di metterla all’ordine del giorno. E con i chiari di luna che si vedono l’ipotesi mi sembra poco probabile.
Credo che siamo in un cul de sac dal quale sarà difficile uscire, ma il merito della proposta del M5s è quello di porre la questione: qui nessuno ha mai chiesto agli italiani (e neppure ai tedeschi, ai francesi, ai greci, agli irlandesi, agli olandesi ecc.) se vogliono questa moneta comune ed abbiamo messo tutto in mano alla tecnocrazia della Bce non eletta da nessuno e che non risponde a nessuno (o meglio, solo alla BuBa).
Proviamo in qualche modo a livello nazionale, ma, forse, la vera strada è quella di una azione europea coordinata. In qualche modo dobbiamo uscirne.
Purché non si finisca per coordinarla con Marine Le Pen e i Veri Finlandesi…
Aldo Giannuli

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