Referendum sull'euro: tutto quello che devi sapere



Referendum sull'euro: tutto quello che devi sapere
“Tutto può essere fatto. Il problema non è la Costituzione – che si può sempre modificare, almeno su questi punti – il problema è la battaglia politica”
 
Sulla questione del referendum sull'euro lanciato ufficialmente dal Movimento cinque Stelle si è scritto molto. Il Prof Paolo Becchi sul Fatto quotidiano offre una lunga analisi in cui affronta tutte le problematiche e le vie possibili da percorrere. In particolare, il riferimento è al referendum del 1989 sull’affidamento, al Parlamento europeo, del mandato di redigere un progetto di Costituzione europea. Allora, prosegue Becchi, i partiti aggirarono il problema della mancata previsione, in Costituzione, di ipotesi di referendum consultivi in materia mediante l’approvazione di una legge costituzionale (3 aprile 1989, n. 2) con la quale fu indetto un “referendum di indirizzo” (il quale, peraltro, risultò un plebiscito a favore dell’Europa, con l’88% dei sì). Se pur la Costituzione non prevede, nella sua lettera, un’ipotesi simile, nel 1989 i partiti furono allora concordi nell’approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo“) mediante una legge costituzionale ad hoc. “Tutto può essere fatto. Il problema non è la Costituzione – che si può sempre modificare, almeno su questi punti –, il problema è la battaglia politica”.
La battaglia deve iniziare da subito nel Parlamento e il Movimento cinque Stelle potrebbe presentare una legge di riforma costituzionale che preveda l'introduzione della possiiblità di indire un referendum abrogativo sui trattati internazionali e avrebbe il sostegno sicuramente della Lega. Con un primo ministro, flagello dei lavoratori, che si appresta a firmare entusiasta il TTIP - l'immensa area di libero scambio con gli Usa che produrrebbe questo - senza prima passare, anche questa volta, dal giudizio popolare, il momento non è mai più proprizio...
 
È stato rimproverato al Movimento che l’iniziativa per un’uscita dall’Euro, più che attraverso un referendum di indirizzo non vincolante, potrebbe provenire unicamente dal Parlamento e dal governo, mediante un accordo tra i partiti diretto a chiedere al governo di negoziare con l’Europa la nostra uscita dalla moneta unica. L’obiezione, però, non coglie nel segno.
Il M5S è – perlomeno al momento – l’unica forza d’opposizione all’asse Pd – Forza Italia, l’unica forza che, insieme con la Lega Nord - la quale, nel 2012, aveva già insistito con Maroni per un referendum (e lo stesso Maroni due giorni fa ha dichiarato: "Non bisogna mai avere paura del popolo sovrano. Se Beppe Grillo organizza un referendum sull'uscita dall'euro io l'appoggerò" - ha realmente espresso la necessità di un’uscita dall’Euro, l’unica forza che può condurre una battaglia politica seria e decisa su una questione come questa. È evidente che la linea del Governo sia un’altra, diametralmente opposta: subordinazione della politica italiana alla linea monetaria ed economica dell’Europa, stretta dipendenza dalla Germania, il tutto mitigato da qualche slogan sulla necessità di passare “dall’austerità alla crescita”. Non possiamo aspettarci alcuna iniziativa da parte del Governo. Per questo il M5S tenterà la strada del progetto di legge popolare e del referendum, anche se semplicemente consultivo o d’indirizzo: per coinvolgere direttamente i cittadini, per chiedere la loro partecipazione attiva, per far vedere a questo Governo cosa vogliono davvero gli italiani.
Eppure, la proposta non sembra considerare una serie di problemi, che rischiano di pregiudicare l’iniziativa.
Anzitutto, la proposta di un progetto di legge d’iniziativa popolare è soltanto l’inizio di un procedimento che richiederebbe, in ogni caso, l’adozione di una legge costituzionale, come nel 1989, per la quale – come dispone la Costituzione – occorrerebbero due distinte deliberazioni da parte di ciascun ramo del Parlamento e, in seconda votazione, una maggioranza assoluta. Ma – se l’attuale Parlamento italiano è retto da un’alleanza tra Pd e Pdl – chi dovrebbe votarla quella proposta di legge costituzionale? Quanti voti potrebbe prendere? Ha il M5S attualmente la forza per poter proporre seriamente un tale referendum?
Insomma: la raccolta delle firme non rischia di cadere nel nulla?
Secondo problema: anche ammesso che le forze politiche della maggioranza accettassero di promuovere il referendum, esse non sarebbero in ogni caso vincolate al suo risultato. Che si tratti di referendum consultivo o di indirizzo (ossia un referendum preventivo, che «si ha quando il corpo elettorale si pronuncia in via preliminare su un principio o su una proposta formulata in termini molto generali, i quali dovranno avere attuazione da parte del Parlamento») , esso, come quello del 1989, non potrebbe che avere efficacia non vincolante. Come assicurare che le forze politiche, dopo il voto, si impegnino per far uscire l’Italia dall’Euro?
 
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La linea del M5S ormai è stata, finalmente, definita: uscire dall’Euro, come ha detto Grillo nei giorni scorsi. Se tale è la linea, se la decisione è presa, allora non occorrono più consultazioni: bisogna attuarla. In questo senso, se il M5S intende davvero vincolare il Governo attraverso un referendum popolare, perché – anziché passare per una raccolta firme per un progetto di legge che rischia di rimanere in un cassetto – non propone direttamente in Parlamento una legge di modifica della Costituzione che introduca il referendum abrogativo in materia di moneta unica? Perché, ancora, non proporre l’uscita dai Trattati secondo la Convenzione di Vienna?
Certo, il M5S punta soprattutto sull’iniziativa popolare per aprire una discussione pubblica su un tema tabù, su un punto considerato “intoccabile” dalle forze politiche di maggioranza e dalle elites finanziarie del Paese. Ed allora altre forze potrebbero aggiungersi al Movimento, altri potrebbero portare avanti la battaglia con loro. Ma abbiamo bisogno anche dell’altra strategia: combattere già da ora in Parlamento per imporre nel dibattito tutte le possibili soluzioni politiche per un’uscita dalla moneta unica. Non bisogna più perdersi nelle discussioni sulla possibilità o meno di fare un referendum. Tutto può essere fatto. Il problema non è la Costituzione – che si può sempre modificare, almeno su questi punti –, il problema è la battaglia politica.

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