"Svalutiamo l'euro",

"Svalutiamo l'euro", "Sbattiamo i pugni sul tavolo". Misure inutili e dannose per l'Italia. Lo studio di Alberto Bagnai

 

L'impatto di un riallineamento del cambio sull'economia italiana: differenze tra euro e nuova lira


Nell'ultimo post sul suo blog Goofynomics, Alberto Bagnai presenta i risultati di uno studio tecnico realizzato da A-simmetrie insieme con Christian Alexander Mongeau-Ospina. Nella ricerca si dimostra come le due misure oggi invocate per uscire dalla crisi ma restare all'interno della zona euro – svalutazione della moneta unica e espansione della spesa pubblica – siano del tutto inutili. Una svalutazione dell'euro, sottolinea Bagnai, non sarebbe risolutiva, perché i benefici conseguiti verso i paesi terzi sarebbero più che compensati, nei primi anni, dalla perdita rispetto ai paesi dell’Eurozona (e in particolare del suo “centro”), determinata essenzialmente dall’effetto reddito. "Qualsiasi espansione della domanda interna, ottenuta aumentando le esportazioni verso i terzi (ipotesi "svalutiamo l'euro") o espandendo la spesa pubblica (ipotesi "battiamo i pugni sul tavolo") sarebbe disastrosa per i conti esteri italiani, soprattutto nel breve periodo, rimettendo l'Italia in mezzo a una crisi di bilancia dei pagamenti. Questo, ovviamente, a meno che la Germania non faccia quello che non vuole fare". Rimane poi a chi dice che "la svalutazione della lira distruggerebbe i nostri risparmi" l'onere di spiegare perché mai una pari svalutazione dell'euro non lo farebbe. Al contrario, considerando sette diversi partner commerciali: (1) il centro dell'Eurozona; (2) la periferia dell'Eurozona; (3) gli altri paesi europei; (4) gli Stati Uniti; (5) i paesi OPEC; (6) i BRIC; (7) il resto del mondo, il riallineamento della lira produrrebbe questi effetti...

 
 
Tornando al punto, dato che l'ordine di grandezza del fenomeno temuto o auspicato è più o meno lo stesso (intorno al 20%), può essere utile andare a vedere cosa accadrebbe all'economia italiana nel caso di riallineamento dell'euro e nel caso di riallineamento della nuova lira. Il modello econometrico che stiamo sviluppando in a/simmetrie consente di farlo perché rappresenta il commercio estero dell'Italia non in termini aggregati (esportazioni e importazioni complessive), ma in termini bilaterali. Per ognuna di queste destinazioni/provenienze sono state stimate equazioni che rappresentano le esportazioni/importazioni, ottenendo una rappresentazione accurata della reattività del nostro commercio ai prezzi relativi bilaterali (tassi di cambio reali bilaterali), e al reddito italiano e delle aree partner.
 
In altre parole, mentre nei modelli econometrici più usuali la struttura è quella a due paesi (il paese rappresentato, e un "resto del mondo" indistinto, dal quale provengono tutte le importazioni e al quale vanno tutte le esportazioni, con pari reattività al prezzo quale che sia l'origine o la destinazione finale), nel nostro modello la struttura del blocco commerciale è a otto paesi, il nostro, più le altre sette regioni elencate sopra (delle quali una sola, gli Stati Uniti, coincide con una nazione, mentre gli altri sono aggregati di nazioni più o meno omogenee ma comunque dotati di un minimo di significato in termini economici o geopolitici).
 
[...]
 
Il fatto di avere una struttura del commercio a otto paesi (che non si è costruita né da sola né in un giorno) permette, evidentemente, di considerare effetti di prezzo e di reddito differenziati per ognuno dei sette paesi partner. Quindi si possono studiare ipotesi del tipo: cosa succede all'Italia se la Cina riparte ma gli Usa stanno fermi (o viceversa)? Cosa succede all'Italia se gli Stati Uniti svalutano? E, naturalmente: cosa succede all'Italia se l'euro svaluta (e quindi l'Italia svaluta rispetto a tutti i partner, tranne quelli dell'Eurozona), o se invece a svalutarsi è la "nuova lira" (e quindi l'Italia svaluta rispetto a tutti i partner, compresi quelli - o alcuni di quelli - dell'Eurozona).
 
Questa è la domanda che ci siamo posti nello studio che ho pubblicato oggi, cioè ieri, in forma preliminare sul sito di a/simmetrie.
 
Prima di darvi la risposta, che è ovvia e che approfondirete nel documento tecnico, se lo desiderate, vi fornisco intanto qualche essenziale caveat utile per interpretare i risultati. Questi risultati sono preliminari (a noi servono soprattutto come diagnostica del modello) per una serie di motivi, alcuni ovvi e altri meno ovvi:
 
1) perché sono ottenuti simulando il solo blocco del commercio estero (comprese le equazioni dei deflatori), insieme alle identità del reddito nazionale, ma senza gli altri blocchi del modello, per cui considerano l'impatto sul reddito nazionale di un aumento delle esportazioni nette, ma non considerano la spinta inflazionistica derivante nel medio periodo dal conseguente aumento dell'occupazione;
 
2) perché lo scenario di svalutazione della "lira" prevede che il riallineamento avvenga in pari misura rispetto a tutti i partner, mentre è verosimile che la svalutazione sarà maggiore verso il nucleo dell'Eurozona che verso gli Stati Uniti, e che verso la periferia dell'Eurozona ci potrebbe essere addirittura una rivalutazione, nel caso molto probabile che l'uscita dall'Italia determini una frattura totale dell'Eurozona.
 
Queste due precauzioni suggeriscono che i risultati degli scenari considerati, e in particolare di quello di svalutazione della lira, potrebbero essere distorti al rialzo, cosa che verificheremo nelle sedi opportune proseguendo con la ricerca.
 
Il punto però è un altro. I risultati delle nostre stime, che non sono particolarmente originali se non per la scelta di disaggregare il commercio nel modo che vi ho detto sopra, confermano un paio di regolarità empiriche che studi come quello di Langwasser (2009) o di Hooper et al. (2000), o di DG-ECFIN (2010), avevano già acquisito (riferimenti neldocumento tecnico).
 
Il primo è che i flussi commerciali italiani sono fortemente elastici ai prezzi relativi. Il secondo è che anche le elasticità al reddito sono particolarmente elevate, soprattutto per quanto riguarda le importazioni dai paesi a noi più prossimi. Per vostra comodità, vi riporto la tabella che nel documento tecnico riassume le elasticità di lungo periodo


 
Come vedete, le condizioni di Marshall-Lerner sono rispettate verso tutti i partner commerciali, tranne i paesi OPEC, per l'ovvio motivo che le importazioni da essi sono molto poco elastiche ai prezzi (e grazie! Se devi andare al lavoro la benzina la devi comprare, e quel che costa costa...). Quindi è chiaro che rispetto ai paesi OPEC una svalutazione ci danneggerebbe. Ma sapete qual è il peso dell'OPEC sul commercio italiano? Una cosa intorno al 7%. Rispetto a quella quisquilia, a quella pinzillacchera del restante 93% una svalutazione ci avvantaggerebbe, e questo non lo dico solo io: come avete visto leggendo questo blog, lo dice perfino la DG-ECFIN (e il link è sopra).
 
Venendo al secondo punto, la disaggregazione per aree ci permette di cogliere una regolarità piuttosto ovvia: le elasticità delle importazioni al reddito sono più alte nel caso di partner più vicini a noi. Insomma: se guadagniamo di più, ceteris paribus, spenderemo i nostri soldi nel negozio più vicino (la Germania) piuttosto che in quello più lontano (la Cina).
 
 
Un riallineamento dell'euro verso il basso ci avvantaggerebbe verso quattro delle sette aree considerate nel modello: verso l'OPEC no, perché il petrolio ci costerebbe di più, e ovviamente verso l'Eurozona (core e periphery) no, perché non riallineeremmo. Avremmo incrementi di esportazioni verso gli altri paesi europei, gli USA, i BRIC, il resto del mondo. Il punto però è che l'incremento di reddito così ottenuto si scaricherebbe in modo più che proporzionale in importazioni dall'Eurozona, per cui il vantaggio ottenuto verso i paesi terzi verrebbe compensato da uno svantaggio nei riguardi dei nostri partner più prossimi, che da soli fanno più di metà del nostro commercio.
 
Nel caso di riallineamento della "lira" (cioè di riallineamento erga omnes), certo che l'aumento del reddito interno ci spingerebbe ad acquistare di più in Germania: ma la rivalutazione della valuta tedesca favorirebbe un effetto di sostituzione delle importazioni (diventate più care) con prodotti nazionali, per cui i nostri conti esteri non verrebbero "piombati" dalle importazioni provenienti dal Nord: avremmo anzi un effetto prezzo positivo (promozione export, sostituzione import) proprio verso questi paesi, che da soli fanno circa il 40% del nostro commercio.
 
L'entità di questi effetti la trovate nel documento tecnico.
 
Il punto fondamentale è che il riallineamento dell'euro non può fare pressoché nulla per rilanciare l'economia italiana. Gli effetti di reddito verso i partner europei sono talmente rilevanti, nel breve periodo, che un riallineamento dell'euro ha sul saldo commerciale italiano un effetto J che dura quasi quattro anni, nelle nostre simulazioni (certo perfettibili, certo eseguibili più rapidamente, con l'aiuto dei tanti amici che autorevolmente ci criticano, ma fatte di numeri e non di aria fritta come tanti simpatici dibbbbattiti de destra e de sinistra). Guardate che questa cosa non è affatto così strana come sembra. Se ci pensate noi, dall'aggancio con l'ECU nel 1997, abbiamo visto sprofondare inesorabilmente il saldo delle partite correnti, fino a quando Monti non ha fatto una manovra correttiva che ha appunto sfruttato l'effetto reddito: tagliare i redditi italiani per abbattere le importazioni. In questo periodo il cambio dell'ECU-EUR verso il dollaro ha fatto di tutto: è salito, è sceso, a volte per importi consistenti e in tempi rapidi. La traiettoria delle partite correnti italiane non si è fatta né in qua né in là (perché dipende da altro: dal cambio reale bilaterale con la Germania, per lo più).
 
Quindi, come sempre, quando si simula un modello costruito con i dati, non ci si trova altro se non quello che è nei dati, ovvero la verità fenomenica del fatto che un riallineamento del cambio della moneta unica per l'Italia è un gioco a somma nulla, anzi, nei primi quattro anni negativa, che è poi quello che abbiamo visto accadere nel decennio e passa precedente.
 
Di più: qualsiasi espansione della domanda interna, ottenuta aumentando le esportazioni verso i terzi (ipotesi "svalutiamo l'euro") o espandendo la spesa pubblica (ipotesi "battiamo i pugni sul tavolo") sarebbe disastrosa per i conti esteri italiani, soprattutto nel breve periodo, rimettendo l'Italia in mezzo a una crisi di bilancia dei pagamenti. Questo, ovviamente, a meno che la Germania non faccia quello che non vuole fare.

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