Morire per l’euro? Anche no


Posted By Redazione On 8 dicembre 2013 @ 15:37 In DOMINIO E POTERE | 3 Comments
 da http://www.ioamolitalia.it/morire-per-l-euro/Incontro pubblico “Morire per l’euro?” Bruxelles – Parlamento Europeo, 3 Dicembre 2013 Incontro pubblico “Morire per l’euro?” Bruxelles – Parlamento Europeo, 3 Dicembre 2013
Marco Scurria
A chi appartiene l’Euro?

La Bce e le banche centrali nazionali si appropriano di  un privilegio esclusivo ma senza alcuna legittimazione Ho rivolto alla Commissione Europea una domanda precisa: “A chi appartiene l’Euroquando viene messo in produzione e prima della propria emissione dalle varie banche centrali nazionali agli addebitati? Noi vogliamo che la Banca Centrale Europea faccia chiarezza su quest’argomento perché sia nel caso in cui si prosegua nell’uso della moneta unica, sia nel caso in cui si torni alla moneta nazionale, venga colmato questo ”vuoto” e si faccia capire al cittadino chi realmente paga l’Euro e dunque a chi appartiene. Avevo chiesto chiarimenti sulla risposta data dalla Commissione Europea alla prima interrogazione sulla proprietà giuridica dell’euro presentata dall’On. Mario Borghezio, nella quale si affermava che nella fase dell’emissione le banconote appartengono all’Eurosistema, mentre nella fase della circolazione appartengono altitolare del conto sulle quali vengono addebitate. Attenzione perché le parole negli atti ufficiali e nel linguaggio tecno-eurocratico vanno soppesate per bene.
Quindi il Commissario Olli Rehn rispondeva a Borghezio che la proprietà delle banconote cartacee (dove troviamo ben impressa in ogni lingua dell’Unione la sigla della Banca Centrale Europea) è dell’EUROSISTEMA. Ma cos’è quest’Eurosistema? “L’Eurosistema è composto dalla BCE e dalle BCN (banche centrali nazionali) dei paesi che hanno introdotto la moneta unica. L’Eurosistema e il SEBC coesisteranno fintanto che vi saranno Stati membri dell’UE non appartenenti all’area dell’euro”. Questa è la definizione che si legge sul sito ufficiale della BCE. Quindi le Banche centrali nazionali stampano le banconote e si appropriano del loro valore nominale (ad Es. se stampare un biglietto da 100 ha un costo fisico per chi lo conia di 0,20 centesimi – valore intrinseco – le BCN si appropriano anche del valore riportato sul biglietto stampato).
Nella mia interpellanza ho chiesto quali fossero le basi giuridiche su cui poggiava l’affermazione del Commissario Olli Rehn. Nella sua risposta di Olli Rehn ha precisato che “l’articolo 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europeacostituisce la base giuridica per la disciplina dell’emissione di banconote e monete in euro da parte dell’Eurosistema. La proprietà delle banconote e delle monete in euro dopo l’emissione da parte dell’Eurosistema è disciplinata dalla legislazione nazionale vigente al momento del trasferimento delle banconote e monete al nuovo proprietario, ossia al momento dell’addebito del conto corrente bancario o dello scambio delle banconote o monete”. Non c’è scritto da nessuna parte che la proprietà giuridica dell’euro emesso appartiene alla BCE o alle BCN. C’è soltanto scritto che la BCE può autorizzare l’emissione di euro a se stessa e alle BCN, dovendo controllare l’inflazione nella zona euro, così come stabilito dal Trattato di Maastricht. Ribadisce che solo l’Eurosistema può stampare le banconote o creare elettronicamente i valori nominali. Ma nessun riferimento giuridico, nessun trattato, nessuna legge, nessuna deliberazione, niente di niente ci dice che l’Eurosistema ha la facoltà di addebitare la moneta. E’ evidente che si appropria di questo grande ed esclusivo privilegio. Marco Scurria aderisce a Fratelli d’Italia e al Ppe (Partito Popolare Europeo)

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ALL’EUROPARLAMENTO CONVEGNO DEGLI EUROSCETTICI, GUIDATI DA MAGDI ALLAM (http://piovegovernoladro.altervista.org/blog/2013/12/05/uscire-dalleuro-e-previsto-dai-trattati-alleuroparlamento-convegno-degli-euroscettici-guidati-da-magdi-allam/ [1])
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overvalued-euro [2] LA SVOLTA?

Addio all’euro, prove tecniche nell’europarlamento

Nell’europarlamento si riuniscono deputati, economisti e professori che criticano la moneta unica. E i trattati prevedono una via di fuga

Euro da morire. Lo si proclama ormai anche all’interno del Parlamento europeo. Sono docenti universitari di economia, come Claudio Borghi Aquilini, Alberto Bagnai e Antonio Maria Rinaldi a mostrare le incongruenze di una moneta unica divenuta elemento di divisone anziché di unione, di povertà invece che di arricchimento. Finché lo dicevano soltanto le massaie alle prese con la diminuzione del potere d’acquisto, l’argomento sembrava piuttosto una polemica a buon mercato. Poi sono arrivati gli euroscettici, ma li si accusava di voler distruggere l’Unione europea. Infine ecco gli europeisti critici, che chiedono di smantellare l’unione monetaria prima che sia troppo tardi. Perché non faccia affondare l’Italia, ma anche per evitare il fallimento agli altri Paesi comunitari. «Dobbiamo prendere atto che è in corso una guerra finanziaria», avverte Magdi Allam, deputato europeo organizzatore della due giorni «Morire per l’euro?». La carneficina riguarda innanzitutto le aziende che «muoiono paradossalmente non perché hanno dei debiti ma perché vantano dei crediti, in un contesto dove il principale debitore insolvente è lo Stato che deve circa 130 miliardi di euro alle imprese». Anche l’amministrazione pubblica nemica, in realtà, è vittima a sua volta perché costretta a rifarsi sui cittadini, sulle famiglie e l’economia reale da regole finanziarie imposte dall’alto. Perciò, continua Allam, «ferma restando la necessità di abbattere i costi dello Stato, 830 miliardi che sono più della metà del Pil, condizione necessaria per poter ridurre significativamente le tasse, bisogna affrontare seriamente la questione della moneta unica». La via d’uscita è complessa. Chi la evoca rischia di generare il panico. Per procedere razionalmente, occorre una strategia che parte dalla denuncia della «natura strutturale e non congiunturale della crisi», così come «della singolarità dell’euro, unica moneta al mondo ad essere stata emessa in assenza di uno Stato, chiarendo l’anomalia della Banca centrale europea, istituzione privata di diritto pubblico, che per statuto ha come mandato la stabilità monetaria e non lo sviluppo». E questo «esclude la possibilità che possa sia emettere moneta in quantità adeguata a rilanciare lo sviluppo sia di diventare prestatore di ultima istanza per garantire il debito sovrano dello Stato».
Sovranità perduta - Anche gli specialisti della materia indicano nel recupero della perduta sovranità monetaria la chiave per uscire dalla crisi. Tanto più che il processo con cui si è compiuta l’unificazione è un mostro giuridico, spiega Rinaldi, docente di Finanza aziendale presso l’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara. Se da un lato «la democrazia è stata mortificata perché non si è più consentito alle rispettive politiche nazionali, espressioni di deleghe popolari, di poter attivamente intervenire per adeguare e mediare le regole», dall’altro si è consentito «alle regole di modificare i comportamenti dei cittadini stessi, avendo preferito lasciare al voto dei mercati la determinazione della politica economica comune». Altrettanto illegittimo, a suo giudizio, è «il Meccanismo Europeo di Stabilità nato a garanzia dei Paesi membri in temporanea difficoltà di liquidità», ma poi dirottato verso un altro scopo, quello di «vincolare a precisi obblighi capestro chi è costretto a doverne fare uso». Così concepito, «costringe alla rinuncia praticamente totale della sovranità del Paese richiedente con la garanzia dell’asservimento dei propri asset pubblici, assicurando peraltro l’impunità personale ai gestori della tutela». Il tutto, fra l’altro, è avvenuto in spregio dei trattati e dei regolamenti, tanto da generare «una conflittualità evidente fra quanto approvato dai rispettivi Parlamenti dei Paesi membri che hanno ratificato, dopo dibattiti parlamentari» e «l’applicazione ferrea del limite del 3%» in cui è fissato il limite dell’indebitamento annuale da parte degli Stati. Servono deroghe - Per tornare a ripercorrere la via della civiltà giuridica, Rinaldi indica la strada da seguire: «Lasciare ai rispettivi Paesi la facoltà di poter mutare il proprio status di Paese “senza deroga” a Paese “con deroga”, secondo la definizione prevista dagli articoli 139 e 140 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea di Lisbona e di poter tornare a conseguire in questo modo gli obiettivi di crescita, utilizzando autonomi strumenti di politica economica e monetaria con il pieno supporto delle proprie valute sganciate dagli attuali vincoli economici». Un divorzio consensuale, insomma. Altrimenti, l’esigenza di dotarsi di strumenti di politica monetaria adeguati, potrà dar vita alla creazione di due euro. Del resto, ricorda Bagnai, «la flessibilità del cambio sarebbe stata il miglior stimolo alle necessarie riforme per i Paesi del Sud e alla opportuna cooperazione con quelli del Nord». Ripristinarle sembra una soluzione inevitabile, «almeno fino a quando l’armonizzazione delle economie reali e il compimento dell’unione politica non rendano naturale e razionale l’adozione di una moneta unica». Fonti: (Qui [3])

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