I dati che giungono dalla Commissione Europea con le sue previsioni economiche di autunno sono disarmanti: più debito e più deficit, meno crescita. È un circolo vizioso che si alimenta da sé. Se non vi è domanda aggregata, la crescita è possibile solo se vi è una via per le esportazioni. Ma la via dell’export è stretta e solo pochi alpinisti possono scalare quei sentieri. Il dato spagnolo è impressionantemente efficace. La cosiddetta ripresa di quel paese deriva da una crescita della produzione automobilistica – non solo, naturalmente, ma soprattutto – in particolare degli stabilimenti Ford. Ma se si vanno a vedere i numeri degli occupati – anche il “Financial Times” ha dovuto ammetterlo – la situazione è sconcertante: solo duemila i lavoratori in quegli impianti, grazie a condizioni salariali basse e precarie. I sindacati spagnoli (i socialisti dell’Ugt in testa, gli ex comunisti del Ccco un po’ più cauti) le hanno accettate perché considerano essenziale dare
lavorocosti quel che costi!
Quindi, la ripresa nell’
Europadel Sud è una temperata sospensione della caduta, e non un recupero, del Pil, ossia dello stock di capitale fisso che è andato perduto negli ultimi venti anni. La causa di ciò è la deflazione imposta dalla Germania a tutta l’
Europa. L’Italia è colpita in pieno. I dati statistici su cui si litiga anticipano la vera battaglia che inizierà con l’unione bancaria. Si coglierà – da parte di molteplici troike – l’occasione della verifica sui bilanci per reclamare, come sempre ha fatto Mario Draghi dal 1992 a oggi, la privatizzazione delle
banche. Ed essa sarà fatta, come si ripete dopo Cipro, grazie al risparmio (per chi ancora lo ha) delle famiglie e delle piccole imprese. Lo si drenerà spietatamente con ogni mezzo.
Saccomanni è stato chiaro alcune settimane or sono, poco intelligentemente disvelando il piano. Le
banchesono esauste, che giungano quindi le shadow banks e le dark pools, cioè un sistema parabancario speculativo che i nostri governanti amano! E pure ancor si predica la ripresa! Bruxelles ha il pudore di spostarla al 2014-2015, ma il pericolo è che tra un anno non rimanga più nulla. Naturalmente un’alternativa a questa sorta di distruzione del credito per l’
economiareale esiste. È il ritorno alla separazione tra banca commerciale e banca d’investimento, evitando l’eccesso di capitalizzazione che sarà richiesto alle
banchenon separate. La super-capitalizzazione non elimina il rischio e drena capitale produttivo trasformandolo in capitale come costo. Il risultato sarà il contrario di quello che si vuol produrre. Paradossalmente, pur tra mille ostacoli, il mondo anglosassone va dritto verso la separazione; solo l’
Europadella Bce va dritta verso la rovina.
(Giulio Sapelli, “C’è un piano per mettere in ginocchio l’Italia”, da “Il Sussidiario” del 6 novembre 2013).
I dati che giungono dalla Commissione Europea con le sue previsioni economiche di autunno sono disarmanti: più debito e più deficit, meno crescita. È un circolo vizioso che si alimenta da sé. Se non vi è domanda aggregata, la crescita è possibile solo se vi è una via per le esportazioni. Ma la via dell’export è stretta e solo pochi alpinisti possono scalare quei sentieri. Il dato spagnolo è impressionantemente efficace. La cosiddetta ripresa di quel paese deriva da una crescita della produzione automobilistica – non solo, naturalmente, ma soprattutto – in particolare degli stabilimenti Ford. Ma se si vanno a vedere i numeri degli occupati – anche il “Financial Times” ha dovuto ammetterlo – la situazione è sconcertante: solo duemila i lavoratori in quegli impianti, grazie a condizioni salariali basse e precarie. I sindacati spagnoli (i socialisti dell’Ugt in testa, gli ex comunisti del Ccco un po’ più cauti) le hanno accettate perché considerano essenziale dare
lavoro costi quel che costi!
Quindi, la ripresa nell’
Europa del Sud è una temperata sospensione della caduta, e non un recupero, del Pil, ossia dello stock di capitale fisso che è andato perduto negli ultimi venti anni. La causa di ciò è la deflazione imposta dalla Germania a tutta l’
Europa. L’Italia è colpita in pieno. I dati statistici su cui si litiga anticipano la vera battaglia che inizierà con l’unione bancaria. Si coglierà – da parte di molteplici troike – l’occasione della verifica sui bilanci per reclamare, come sempre ha fatto Mario Draghi dal 1992 a oggi, la privatizzazione delle
banche. Ed essa sarà fatta, come si ripete dopo Cipro, grazie al risparmio (per chi ancora lo ha) delle famiglie e delle piccole imprese. Lo si drenerà spietatamente con ogni mezzo.
Saccomanni è stato chiaro alcune settimane or sono, poco intelligentemente disvelando il piano. Le
banche sono esauste, che giungano quindi le shadow banks e le dark pools, cioè un sistema parabancario speculativo che i nostri governanti amano! E pure ancor si predica la ripresa! Bruxelles ha il pudore di spostarla al 2014-2015, ma il pericolo è che tra un anno non rimanga più nulla. Naturalmente un’alternativa a questa sorta di distruzione del credito per l’
economia reale esiste. È il ritorno alla separazione tra banca commerciale e banca d’investimento, evitando l’eccesso di capitalizzazione che sarà richiesto alle
banche non separate. La super-capitalizzazione non elimina il rischio e drena capitale produttivo trasformandolo in capitale come costo. Il risultato sarà il contrario di quello che si vuol produrre. Paradossalmente, pur tra mille ostacoli, il mondo anglosassone va dritto verso la separazione; solo l’
Europa della Bce va dritta verso la rovina.
(Giulio Sapelli, “C’è un piano per mettere in ginocchio l’Italia”, da “
Il Sussidiario” del 6 novembre 2013).
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- http://www.libreidee.org/2013/11/sapelli-ripulire-i-nostri-risparmi-per-mettere-litalia-ko/
LA GERMANIA VUOLE “DISTRUGGERE” L’ITALIA
DI PIETRO INVERNIZZI ilsussidiario.net
Intervista all'economista Alberto Bagnai
«La ragione per cui in Europa esistono due pesi e due misure è semplice. L’Italia è una diretta concorrente della Germania sul piano industriale e quindi va penalizzata con l’austerity. La Spagna e altri paesi Ue al contrario sono debitori di Berlino e quindi non vanno troppo indeboliti o non riusciranno a pagare». Lo sottolinea Alberto Bagnai, professore di Politica economica all'Università G. D’Annunzio di Pescara e autore del libro “Il tramonto dell’euro”. Gli italiani sono stati costretti a fare i salti mortali per pagare le tasse e fare rientrare il deficit al di sotto del 3% del Pil. Ad altri Stati come la Spagna, i Paesi Bassi e la Francia è stato invece consentito di derogare tranquillamente a quanto previsto nel trattato di Maastricht. Mentre la regola inclusa nei trattati secondo cui nessun Paese membro deve superare il 6% del surplus commerciale è violata da Germania, Lussemburgo e dalla stessa Olanda, senza che nessuno osi aprire una procedura d’infrazione.
Professor Bagnai, fino a che punto la responsabilità di questa situazione è dovuta alla debolezza dei governi italiani?
La vera causa del problema è molto più profonda. Quando a maggio l’Italia è rientrata dalla procedura d’infrazione riguardo il 3% nel rapporto deficit/Pil, pochi giorni dopo la Commissione Ue ha accordato a Francia, Spagna e Portogallo il permesso di derogare da questo obiettivo e di rientrare con più calma. In questo momento la Spagna ha un deficit pubblico intorno al 7%.
Qual è il vero motivo di questa penalizzazione dell’Italia?
Per la Germania l’Italia è un concorrente, e quindi va costretto a seguire politiche di austerità per indebolire la sua struttura produttiva. Viceversa la Spagna per Berlino è soprattutto un debitore, e quindi se la strozzasse imponendole di seguire pedissequamente politiche di austerità, correrebbe il rischio di non rivedere i soldi indietro.
È possibile convincere la Germania a rinunciare a questa politica dei due pesi e delle due misure?
Non sono sicuro che il governo italiano possa riuscire in questa impresa. Quello che i fratelli tedeschi dovrebbero ricordare nel loro interesse è il fatto che tra i paesi debitori in questo momento non ci sono solo la Grecia e l’Italia, ma anche gli Stati Uniti. Non vorrei che i tedeschi fossero costretti a ricostruire Dresda per la seconda volta nel giro di un secolo perché sarebbe davvero un peccato. Attraverso l’esportazione della deflazione la Germania sta creando problemi alla stessa America, cioè a qualcuno che tutto sommato è più forte di lei, e che può convincerla a un atteggiamento meno irresponsabile e più cooperativo.
Per quale motivo ritiene che la politica tedesca danneggi gli Stati Uniti?
In questo momento i tre poli più importanti dell’economia mondiale, che tutto sommato sono ancora Europa, Stati Uniti e Giappone, sono in una situazione molto diversa tra loro. Stati Uniti e Giappone sono di nuovo decollati attuando delle politiche espansive, mentre l’Europa a causa delle politiche di austerity è ricaduta nel baratro della recessione. Se la Germania non decide di attuare politiche più espansive, gli Stati Uniti saranno costretti a continuare a stampare dollari e il Giappone a stampare yen.
Quali sarebbero le conseguenze?
In questo modo si costringono Usa e Giappone ad attuare delle politiche eccessivamente espansive, creando il seme di potenziali bolle. In questo modo si pongono le premesse per un’ulteriore crisi, che è sempre la conseguenza di una crescita squilibrata.
La crisi dell’Eurozona è colpa soltanto della Germania?
La Germania ha delle gravi responsabilità. Berlino potrebbe cooperare per trovare una soluzione alla crisi europea. Delle politiche mirate potrebbero far sì che anche in Europa, come è successo in Stati Uniti e Giappone, la domanda e la crescita risalgano la china. In questo modo ci sarebbero molti meno rischi e gli altri paesi dovrebbero compiere sforzi meno gravosi.
Lei prima ha detto che negli Usa c’è malcontento verso la Germania. Ma l’euro forte non finisce per avvantaggiare le esportazioni americane?
In parte è vero, ma nessun Paese può puntare esclusivamente sulla leva del cambio per fare ripartire la domanda. Le esportazioni americane sono infatti danneggiate dalla decrescita dell’Europa e da redditi che, come in Italia, sono calati del 2% l’anno.
Quale può essere la via d’uscita da questa situazione?
Sarebbe opportuno che la Germania si prendesse le sue responsabilità di leadership, come fecero gli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. Alla fine degli anni ’40 l’America era l’unica grande potenza esportatrice, perché tutto il resto del mondo, tranne forse qualche pezzo di Unione Sovietica, era stato bombardato e raso al suolo. Gli Stati Uniti erano dunque l’unico Paese che poteva produrre ed esportare, e hanno risposto con il Piano Marshall finanziando gli altri Stati. Non hanno costretto l’Italia e la Germania ad attuare politiche di austerità per pagare i debiti. Berlino adesso è esattamente nella stessa condizione in cui si trovava allora l’America, ma sta facendo un gioco molto pericoloso. Anche perché non si tratta del gioco della Germania in quanto tale, ma delle elite tedesche che nel corso degli ultimi 150 anni non hanno mai dimostrato molta lungimiranza.
Pietro Vernizzi
Fonte: www.ilsussidiario.net Link: http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2013/11/9/FINANZA-1-Bagnai-la-Germania-vuol-distruggere-l-Italia/2/442619/ 9.11.2013
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