Lo spread è frutto di speculazione


Alberto Bagnai: «Lo spread è frutto di speculazione»

Sovranità a rischio. E disuguaglianza tra Stati. L'economista sui limiti della moneta unica. Borsa, Milano negativa.

di Francesco Pacifico
Alberto Bagnai l’ha scritto in tempi non sospetti che, visti i numeri dell’economia, c’è da poco essere ottimisti. Nonostante lo spread si sia assottigliato e il premier Enrico Letta con i ministri Fabrizio Saccomanni e Flavio Zanonato abbiano annunciato la fine della recessione.

La produzione italiana, infatti, resta ferma al palo; la disoccupazione cresce e le aziende continuano a non ottenere credito dalle banche.
«A RISCHIO I DIRITTI DEI CITTADINI». «Al problema dello spread viene dato troppo spazio», spiega a Lettera43.it il professore di Politica economica. «Andrebbe descritto per quello che è: soprattutto l’effetto di un attacco speculativo. Invece lo si presenta come un dato di natura. Con il risultato che in nome dello spread, degli interessi da pagare ai sottoscrittori del debito sovrano, si chiede ai cittadini di rinunciare ai loro diritti».


 
DOMANDA. Quindi aveva ragione Berlusconi?
RISPOSTA.
 Io rivendico un’appartenenza progressista. Sono di sinistra. Mi sono però chiesto perché di questi temi parla la destra e non la mia parte politica.
D. Una rivalutazione sorprendente.
R. Il Cavaliere, e già prima della crisi, ha fatto intendere con messaggi subliminali i limiti dei meccanismi dell’euro. Certo l’ha fatto alla Berlusconi, come l’orologio rotto che due volte al giorno segna l’ora esatta.
D. Ma?
R. Ma temo che questa sua intelligenza tattica, mi sembra esagerato parlare di strategia, gli possa tornare utile a livelli elettorali.
D. L'euroscetticismo però sta crescendo anche nel Pd.
R.
 Sì, ma devono frenarlo. Per capire l’atteggiamento del Pd basta vedere figure tragiche come quelle del viceministro Stefano Fassina. Da un lato fa parte di un partito che ancora oggi rivendica la scelta dell’euro. Dall’altro, quando va in tivù, deve ammettere che i Paesi dell’area, non potendo più usare la leva monetaria, possono soltanto intervenire sui salari per recuperare competitività.
D. Un tabù...
R.
 Come fa un politico di sinistra a dire che si deve lavorare di più ma guadagnare meno? Oppure che bisogna falcidiare il pubblico impiego o frammentare il sindacato? Ma lo stesso vale anche sull’altro versante per un politico come Renato Brunetta
D. Un problema che non ha Grillo.
R. Non ho nessun legame con i 5 stelle. E per questo posso dire senza timori che una parte dell’elettorato, ingenuamente, ha creduto che il movimento volesse fare qualcosa per cambiare le regole europee e, in sintesi, uscire dall'euro.
D. Ingenuamente?
R. Come molte forze antisistema, Grillo fa un’operazione di gatekeeping: cattura il consenso per poi conquistare il potere soltanto per mantenere lo status quo. Le sue ricette economiche ricalcano il rigore montiano.
D. Cioè?
R. Non affronta i nodi europei e si nasconde dietro il problema della corruzione e proclami come: «Meglio farsi colonizzare dalla Germania». Complimenti per la furbizia
D. In generale perché è pessimista?
R. Mi baso sulla semplice aritmetica. Come si può annunciare con squilli di fanfara una crescita dello 0,4% quando ci vorranno anni per recuperare il tenore di vita di un quinquennio fa?
D. Si dia anche una risposta.
R. Non bisogna confondere la dinamica del fenomeno con il suo livello: fino a qualche tempo fa i giornali si estasiavano per la crescita a due cifre della Cina, dimenticando le enormi sacche di povertà che coinvolgono parte del Paese.
D. Come si applica questa morale allo spread?
R. Anche la favola della spread va contestualizzata. Ci hanno detto che entrando nell’euro non saremmo mai stati soggetti ad attacchi speculativi. Invece si sono soltanto spostati gli asset pubblici sui quali colpire: non più la moneta, ma i titoli di Stato.
D. Rimpiange la speculazione alla Soros?
R. Con la lira, uno speculatore come Soros faceva una telefonata ai suoi amici, vendeva la moneta e questo bastava per far crollare i mercati. Però seguiva da parte dello Stato una svalutazione.
D. Può spiegare meglio?
R. I Soros sommavano la differenza e incassavano una plusvalenza, ma anche l’economia reale ne traeva benefici in termini di competitività: lo Stato iniettava liquidità nel sistema e i prezzi dei nostri beni scendevano ed erano più appetibili sui mercati esteri.
D. E oggi?
R. Non potendo stampare moneta, lo Stato, quando una cordata di speculatori decide di disfarsi dei titoli italiani, ha due strade: riconoscere interessi più alti ai propri sottoscrittori, facendo salire lo spread tra Btp e Bund, e indebitarsi andando nel mondo con il cappello in mano per comprare euro. Siamo come l’Argentina degli Anni 90.
D. L’interventismo dello Stato non ha mai creato sviluppo.
R. Non lo so se è un bene o un male. Ma certamente non possiamo essere censurati da un commissario europeo non eletto oppure da governanti stranieri che non hanno sovranità sull’Italia. Non è giusto finanziare chi vuole farsi i fatti suoi con i soldi dei contribuenti
D. Parla della Germania?
R. Non è antitedesco dire che, mentre in Europa si sta combattendo una guerra economica sotto gli occhi di tutti, Berlino trae benefici dalla crisi. E lo ha fatto scatenando un’ondata di panico ed enfatizzando misure non certo cooperative pur di continuare a rifinanziarsi a tasso negativo.
D. Eppure Berlino rivendica i grossi sacrifici fatti.
R. Sarà anche vero, ma non si sono mai viste nella storia orde di cittadini pagare la Germania per prestare a questo Paese i loro soldi. Fortunatamente alcuni governi europei, come la Francia, denunciano questa situazione.
D. Quale?
R. L’euro non è nato per aiutare i Paesi in difficoltà a crescere, ma soltanto per facilitare la circolazione di beni e capitali. In quest’ottica la Germania ha finito per farsi finanziare il suo surplus commerciale con i consumi dei Paesi vicini. Risultato? L’unione monetaria è servita a far aumentare i debiti del Sud e la produzione del Nord. 

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