UN CASO O UN SOLO L’INIZIO? A CHI TOCCA DOPO CIPRO?



- Un caso speciale, come sostiene la troika, o un brutto precedente che rischia di tener svegli tutti i correntisti d'Europa? Il pensiero degli italiani torna (con terrore) alla patrimoniale “mordi e fuggi” di Amato – Per la Merkel, “Cipro è un caso particolare” (l’isola è un paradiso fiscale) –Consob: “Il nostro sistema è solido”… -

Giuditta Marvelli per il "Corriere della Sera"
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Un caso speciale, come continuano a ripetere Angela Merkel e i vertici della Ue, o un brutto precedente che rischia di tener svegli tutti i correntisti d'Europa?
La vicenda del prelievo forzoso sui conti correnti di Cipro sta facendo discutere il mondo intero. Ma tocca un nervo particolarmente sensibile nel nostro Paese dove ventuno anni fa, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992, il governo guidato da Giuliano Amato impose a tutti i correntisti italiani una patrimoniale «mordi e fuggi» pari al sei per mille. Un balzello che fruttò oltre 5 mila miliardi di vecchie lire e che venne utilizzato, insieme ad altri, per affrontare la crisi finanziaria che portò poi all'uscita dallo Sme e alla svalutazione della lira, avvenuta nell'autunno di quello stesso anno.

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Una tassa molto contestata: nel 1994 fu sollevato addirittura un dubbio sulla sua costituzionalità, respinto però con una sentenza dalla Suprema Corte. L'odiato prelievo fu però una decisione nazionale: il governo italiano la prese in autonomia, mentre nel caso di Cipro, il Parlamento voterà una misura che è anche il frutto di un drammatico confronto con l'Unione Europea, disposta a mettere sul piatto solo 10 dei 17 miliardi necessari per salvare Nicosia.
La minuscola economia cipriota, dotata di un sistema bancario ipertrofico (vale 9 volte il Pil nazionale), rischia un'implosione simile a quella a cui andò incontro sei anni fa l'Islanda, quando gli istituti finanziari di Helsinki arrivarono a valere oltre 12 volte il Prodotto interno lordo della terra al confine col Polo Nord. Ma l'Islanda è caduta e si è rialzata da sola, Cipro è nell'Unione Europea.
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Ed è nella solita incompiuta dell'Euro, la moneta senza politica fiscale comune, che vanno letti tutti i legittimi dubbi del caso: potrebbe toccare anche a noi?
Ieri, da più parti, anche dalla stessa Angela Merkel, si è ribadito che la garanzia pubblica sui depositi privati non è in discussione. E che, appunto, Cipro è un «caso particolare». Ma di quale garanzia parla la Cancelliera tedesca? Il riferimento può avere due significati. C'è quello che rimanda al paracadute che si apre in caso di fallimento bancario.
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Quello di cui i correntisti italiani si sono non molto tempo fa rinfrescati la memoria in occasione dello scandalo Monte Paschi di Siena: 100 mila euro per ogni intestatario che verrebbero appunto rimborsati ai correntisti dal Fondo interbancario di garanzia se un istituto di credito dovesse andare a gambe all'aria. Dal 2008 l'Europa ha regole simili in tutti gli Stati su questo tema.
Nel caso di Cipro (e dell'ormai storico prelievo di quella notte italiana) la questione però è diversa: nessuna banca fallita. Solo una legge nazionale che stabilisce una tassa. In serata fonti europee hanno però chiarito che i vertici Ue si aspetterebbero da Cipro più protezione (e quindi, forse, aliquote meno draconiane rispetto al 7-10% paventato fino a ieri) per i titolari di depositi che non superino i fatidici 100 mila euro.
Le differenze tra Cipro e l'Italia sono notevoli, anche al netto del nostro delicato presente. Nell'isola i depositi bancari sono pari a 68 miliardi di euro, un terzo dei quali frutto di «emigrazioni» dalla Russia. Perché Cipro è una sorta di paradiso fiscale, dove la tassa sulle società è pari solo al 10% (ora salirà al 12,5%). La scure del Fisco, però, se non dovessero cambiare le cose in queste ore convulse, si abbatterebbe su tutti, ciprioti inclusi.
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In Italia i conti correnti e i conti di deposito vincolati sono nell'ordine dei mille miliardi, 14 volte quelli di Cipro, e rappresentano circa un terzo della ricchezza finanziaria delle famiglie, pari a oltre 3 mila miliardi di euro. Ieri l'Abi, l'associazione bancaria italiana e Giuseppe Vegas, il presidente della Consob, hanno ribadito che il nostro sistema è solido, che i conti pubblici dell'Italia (per ora) reggono e che l'esposizione di tutto il sistema verso la sfortunata Nicosia non supera il miliardo.
La soluzione del problema di Cipro rischia di essere uno dei peggiori autogol dell'Unione. Difficile, se non impossibile, giocare in difesa. Il conto corrente è «borsellino» della vita quotidiana. Mentre i salvadanai online vincolati custodiscono soldi risparmiati a tassi annuali che in Italia oscillano tra il 2 e il 3% netto.
Giuliano AmatoGIULIANO AMATO
Chi avesse liquidità non utile alla realizzazione di progetti molto vicini può decidere di investirla. I «mordi e fuggi» (nel '92 fu così) in genere non toccano le gestioni di lungo termine. Se il prelievo dovesse diventare invece una patrimoniale su tutti gli asset finanziari, non si scappa.
 http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/un-caso-o-un-solo-linizio-a-chi-tocca-dopo-cipro-52692.htm

CIPRO COSTERÀ ALL’ITALIA 750 MILIONI DI EURO (PER ORA)

Il Senato senza maggioranza dovrà votare il “salvataggio” di Cipro, che costerà all’Italia 750 milioni €, agli isolani una sforbiciata ai conti correnti, perlopiù usati per nascondere/ripulire soldi russi e di trafficoni europei - Italia next?...

Federico Fubini per il "Corriere della Sera"
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Ora, anche senza governo, il Senato di Roma dovrà probabilmente votare su Cipro. Dovranno dire sì o no gli eletti di M5S, quelli di Sel e quelli del Pd vicini alla Cgil, e chissà quale maggioranza (semmai) si troverà. Perché qualunque siano le modifiche dei prossimi giorni, il piano per Nicosia presto arriverà anche a palazzo Madama per il semplice fatto che l'Italia è chiamata a contribuire con 750 milioni: un prestito che peraltro aumenterà il debito pubblico.
Fra gli altri aspetti, quel pacchetto per ora contiene un prelievo forzoso dei conti correnti sui piccoli risparmiatori ciprioti, quelli che hanno fino a 100 mila euro: il colpo di forbice potrebbe essere del 3% in una delle ipotesi meno pesanti, del 6,75% in quella inizialmente uscita dall'Eurogruppo.
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È la prima volta che un «salvataggio» europeo condiziona un prestito a una sforbiciata dei depositi bancari. Colpire i patrimoni sopra i 100 mila significa far pagare i debiti di Cipro a molti oligarchi russi, anche quelli dal passato poco chiaro che hanno nascosto lì i loro milioni. Ma scendere sotto la soglia dei 100 mila è violare un tabù: non solo quello di una direttiva europea, soprattutto l'idea che i piccoli risparmiatori e i loro conti correnti fossero comunque al sicuro in queste ricorrenti crisi di debito.
Nel caso di Cipro, dove le banche sono vicine al crac ma vantano attivi pari ad almeno sette volte il reddito lordo del Paese, non c'erano molte alternative. Se i governi europei avessero prestato tutto il denaro necessario al salvataggio, avrebbero sepolto Nicosia sotto altri debiti insostenibili. E se si fossero imposte perdite agli obbligazionisti della banche stesse, non si sarebbero raccolte risorse sufficienti. Non restava che colpire i depositi, pari ad almeno tre volte il Pil del Paese: da là verrà il 58% dei fondi necessari al piano.
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A partire dal commissario agli Affari monetari Olli Rehn, tutti i responsabili europei ripetono che a Cipro sono state applicate misure uniche e irripetibili perché tale è la situazione del Paese. E a fine giornata il contagio è risultato ridotto, anche perché Cipro e gli altri Paesi in crisi continuano a beneficiare della (potenziale) rete della Banca centrale europea.
Ma anche nella sua «unicità», Cipro manda un segnale di cui i senatori italiani al voto sul salvataggio dovranno pur tenere conto. Non è solo il precedente specifico che potrebbe crearsi, al quale qualcuno crede: ieri a Handelsblatt il capoeconomista di Commerzbank Jörg Krämer auspicava una tassa una tantum sui depositi in Italia, «un prelievo del 15% sulle attività finanziarie che basterebbe a spingere il debito sotto il 100% del Pil». Ma questa è un'ipotesi alla quale quasi nessuno oggi crede.
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Piuttosto, dopo il caso di Cipro, l'imposizione di perdite sui creditori è diventata ormai un passaggio ricorrente in molti programmi per i Paesi in crisi di debito. Stanche di offrire sempre nuovi prestiti al Sud Europa, Germania, Olanda e Finlandia ormai lo esigono. Ma soprattutto, le perdite a carico dei creditori appaiono una conseguenza prevedibile di debiti totali (pubblici e privati) che per certe economie in recessione superano il 400% del Pil.
Non è un caso se gli ultimi mesi hanno segnato una sequenza di insolvenze più o meno parziali. Non c'è solo l'esempio della Grecia, dove il valore dei titoli di Stato ha già subito due sforbiciate e altre revisioni del debito al ribasso probabilmente seguiranno. In Irlanda, il governo di recente ha ristrutturato le «note» con cui si era fatto carico dei debiti della Anglo-Irish Bank per una somma pari al 19% del Pil: sono diventate titoli di Stato a scadenza lunghissima e interessi bassi.
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L'onda lunga dell'insolvenza lambisce poi anche la Spagna: gli obbligazionisti «subordinati» (meno garantiti) di Bankia, terzo istituto del Paese, hanno perso quasi tutto; per varie altre banche iberiche, i bond sono stati convertiti forzosamente in azioni dai prezzi stracciati. E in fondo persino l'Olanda ha scelto la terapia d'urto quando ha azzerato i bond subordinati di Sns, terza banca del Regno. Perché Cipro sarà anche un caso «unico». Ma quando voteranno sul suo destino, i nuovi senatori italiani avranno davanti a sé un nuovo atto di questa saga dell'euro che, forse, farà loro sembrar semplice il compito di formare un governo.

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