Il voto italiano accelera la fine dell’euro, ma il Pd dorme


Sta’ a vedere che agli italiani riuscirà il miracolo: uscire dall’euro, per ora messo «in coma farmacologico» dal “dottor” Draghi, vista l’impossibilità di una vera guarigione. «Lasciarlo dormire o farlo morire? Draghi insisteva per la prima soluzione. Ma ad un tratto – scrive l’economista democratico Emiliano Brancaccio all’indomani delle elezioni – il popolo italiano ha improvvisamente optato per la seconda: ormai l’euro è solo uno zombie, un morto che cammina. Volenti o nolenti, prendiamone atto». Gli strateghi della Bce l’hanno capito, e ora «si accingeranno a modificare la “regola di solvibilità” della politica monetaria: il famigerato ombrello europeo contro la speculazione verrà pian piano chiuso, per poi finire in cantina». Le più fosche previsioni di un appello di 300 economisti, pubblicato già nel giugno 2010 contro le politiche di austerity in Europa, si stanno avverando: l’euro non può reggere alla crisi economica.

«La pretesa della Bce di proteggere dagli attacchi speculativi solo i paesi devoti alla disciplina dell’austerity si è rivelata un clamoroso errore, logico Emiliano Brancaccioe politico», scrive Brancaccio nel suo blog. «L’Italia, che ha dato i lumi al Rinascimento ma anche al fascismo», con il risultato elettorale – il boom di Grillo e la “rimonta” euroscettica di Berlusconi – ha sancito che «per l’euro non resta che recitare il De Profundis». Ma attenzione: lo choc elettorale italiano può essere solo un pretesto per cogliere la palla al balzo, perché «i tecnocrati europei, condizionati dagli interessi prevalenti in Germania, stavano già da tempo preparando il fosso in cui seppellire la moneta unica». Ma se Grillo e Berlusconi si sono pronunciati, il centrosinistra che intenzioni ha? «Gli eredi più o meno degni del movimento operaio novecentesco che faranno? Sapranno anticipare il corso degli eventi o preferiranno anche stavolta fungere da ultima ruota del carro della Storia?».

Anziché lasciarsi travolgere «dall’idea ottusa della “grande coalizione”», o magari «riesumare il giovane dinosauro liberista Renzi per suicidarsi entro un anno», sarebbe forse opportuno che il Pd e la Cgil «prendessero atto che non è più tempo di parlare di politiche di convergenza o magari di standard retributivo europeo», anche perché ormai «i proprietari tedeschi non sono più interessati alla moneta unica, le speranze di riforma dell’unione monetaria sono ormai vane». Il punto dirimente? «E’ dunque uno soltanto», riassume Brancaccio: «In che modo uscire dalla zona euro». Il più probabile, allo stato dei fatti, è il modo di “destra”, che consiste nel favorire le fughe di capitali, aprire alle acquisizioni estere del capitale bancario e degli ultimi spezzoni rilevanti di capitale industriale nazionale, e lasciare i Berlusconi euroscetticosalari completamente sguarniti di fronte a un possibile sussulto dei prezzi e soprattutto delle quote distributive.
«C’è motivo di prevedere – aggiunge Brancaccio – che non soltanto il redivivoBerlusconi ma anche molti altri inizieranno ad ammiccare a questa soluzione». Sedicenti “borghesi illuminati” e «orde di opinionisti del mainstream» si affretteranno a rifarsi una verginità giudicando l’euro un semplice ideale, «fin dalle origini destinato al fallimento». Lo faranno «riesumando Milton Friedman e i cambi flessibili e dichiarandosi favorevoli alla svalutazione, allo scopo di rendere il paese appetibile per i capitali esteri a caccia di acquisizioni a buon mercato». Che dunque la moneta unica se ne vada al diavolo, grideranno: «L’importante è salvare il mercato unico e la libera circolazione dei capitali dalle pulsioni Bersani e Camussoprotezioniste dei cosiddetti populisti!».
Ebbene, se le cose andranno in questi termini – osserva l’economista – c’è motivo di temere che la deflagrazione della zona euro potrebbe rivelarsi una “macelleria messicana”, dal momento che, da sola, la sovranità monetaria «non è la panacea». Non sono stati per nulla infrequenti, aggiunge Brancaccio, i casi di “sganciamento” da un regime di cambi fissi che hanno prodotto veri e propri disastri in termini di liquidazione del capitale nazionale e distruzione degli ultimi scampoli di dirittisociali. «Beninteso, non sempre è andata male, ma in alcuni casi e per alcuni soggetti è andata malissimo». Esempio: nel 1992, dopo l’uscita dallo Sme, in Italia la quota salari crollò dal 62 al 54%. E nel 1994-1995, dopo i deprezzamenti, Turchia e Messico registrarono in un anno cadute dei salari reali rispettivamente del 31% e del 19%, mentre l’Argentina si fermò al 5%. Analogo crollo nel 1998 dopo la svalutazione del 1998 in Indonesia, con diminuzione dei salari reali del 44%, mentre la Corea del Sud registrò il 10% Grilloe la Thailandia il 6%.
«Il ripristino della sovranità monetaria è ormai imprescindibile – chiarisce Brancaccio – ma l’uscita “da destra” potrebbe trasformarlo in un incubo». Tutt’altro che inevitabile, però: perché «c’è anche un modo alternativo di gestire l’implosione dell’eurozona, che consiste nel tentativo di costruire un blocco sociale intorno a una ipotesi di uscita dall’euro declinata a “sinistra”». Vale a dire: «Un arresto delle fughe di capitale, accorte nazionalizzazioni al posto delle acquisizioni estere dei capitali bancari, un meccanismo di indicizzazione dei salari e di amministrazione di alcuni prezzi base per governare gli sbalzi nella distribuzione dei redditi e la proposta di un’area di libero scambio tra i paesi del Sud Europa». Insomma: «La soluzione “di sinistra” dovrebbe vertere sull’idea che, se salta la moneta unica, bisognerà mettere in questione anche alcuni aspetti del mercato unico europeo».
Verificare se esistono le condizioni per formare una coalizione sociale intorno a una ipotesi di uscita “da sinistra” dall’euro, osserva Brancaccio, significherebbe anche mettere alla prova il “Movimento 5 Stelle”, al bivio tra gli interessi degli imprenditori e quelli dei lavoratori dipendenti. Un “piano-B” per uscire dall’euro era stato valutato già nel luglio scorso da «un importante dirigente» del Pd, che aveva contattato Brancaccio, preoccupato per il deprimente «conformismo culturale» del partito sulla questione della moneta unica. Uscire dall’euro “da sinistra”? Niente di serio: «Pochi giorni dopo – racconta Brancaccio – Draghi rimise la plurinfartuata moneta unica in coma farmacologico e il “piano B” finì nuovamente nel limbo dell’indicibile». Oggi se ne può riparlare, visto l’inequivocabile Scalfaripronunciamento elettorale degli italiani?
«In tutta franchezza – conclude Brancaccio – anche adesso che l’euro è di nuovo in prossimità dello sfascio ho il sospetto che il Pd e la Cgil non saranno in grado di compiere una tale virata». Secondo l’economista, «l’iceberg ormai lo vedono anche loro, e forse hanno persino capito che in gioco è la loro stessa sopravvivenza, come il destino del Pasok insegna» (l’estinzione elettorale dei socialisti greci). Ma Brancaccio resta pessimista sulla capacità di manovra del centrosinistra: «Hanno mangiato per decenni pane e “liberoscambismo”, e sono stati educati dai bignami dieconomia e di storia di Eugenio Scalfari, che fatica ormai persino a rammentare che alla vigilia della prima guerra mondiale imperversava non certo l’autarchia ma il “gold standard” e la piena libertà di circolazione internazionale dei capitali». La verità è che oggi «bisognerebbe rileggere Keynes e studiare Dani Rodrik, di Harvard. Temo però che a sinistra non vi sarà nemmeno il tempo di un’autocritica, figurarsi di un cambio di paradigma».

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