La bell'europa

La piazza, la violenza, l’Europa

Gli scontri che hanno infiammato le capitali del continente ci dicono molte cose


Le immagini dei poliziotti che pestano manifestanti inermi fanno semplicemente vomitare. Quegli agenti dovrebbero essere arrestati prima ancora che radiati con disonore dal corpo di appartenenza con l’accusa di tradimento alla bandiera e alla Costituzione della Repubblica. Perché se reagire alla ferocia della piazza è legittimo oltre che doveroso, picchiare deliberatamente un cittadino impossibilitato ad offendere è semplicemente criminale. Anche il più pericoloso dei sovversivi, una volta neutralizzato, va arrestato. Non massacrato.

Ciò detto, meriterebbe il carcere anche chi semina terrore nelle piazze della protesta democratica, trasformando poliziotti e carabinieri in bersagli, distruggendo tutto il distruggibile, facendosi scudo della civiltà di chi scende in piazza perché crede nella democrazia e nel diritto sacrosanto di partecipare, protestare, cambiare le cose. La violenza è la negazione della ragione, la morte del pensiero, l’oblio di ogni speranza.
Ma non esiste solo la violenza fisica, quella delle molotov e dei manganelli. Esiste, purtroppo, la violenza dell’opportunismo politico, della demagogia, del relativismo spietato. La violenza dell’ignoranza. È contro questa violenza che dovremmo tutti combattere perché è lì, nel suo manifestarsi, che trovano genesi, appunto, le molotov, i manganelli ed i cortei antisemiti a cui abbiamo mestamente assistito.
E se nel corso di questi lunghi anni quella violenza ha invaso la nostra società, se per quasi vent’anni abbiamo subito la retorica delle piccole patrie, dell’avversione al diverso, dell’egoismo elevato a diritto supremo, non dobbiamo meravigliarci se tal Giorgio Silli, prototipo del berluscones persino nei lineamenti, ha così commentato, ovviamente, su twitter: Vedo il Tg1 e penso che la Polizia, ai manifestanti, in certi casi, gliene da (senza accento ndr) sempre troppo poche». E non dobbiamo certo sobbalzare se il teorico del vaffanculo, nuovo manifesto di quella violenza, ha affermato, col solito piglio ducesco, che «siamo in guerra», salvo poi invitare, pasolinianamente, gli agenti ad unirsi alla protesta.
L’Italia ha bisogno di liberarsi dalle gabbie di questa cieca logica del noi e del loro, di questa ipocrita e strumentale rincorsa alla capitalizzazione politica di quel che nelle piazze accade, di questa cieca frenesia all’arruolamento che inibisce ogni ragionevole ricerca di vie d’uscita e soluzioni nell’interesse di tutti.
C’è però un aspetto che in pochi hanno sottolineato e che a noi pare davvero significativo. Quel che è accaduto nelle piazze italiane è accaduto anche nelle piazze del resto d’Europa. Dalla Grecia al Portogallo, dalla Spagna alla Germania, la protesta ha dato luogo a scontri e a violenze. Eppure, il messaggio vero che è emerso dalla protesta che ha invaso il Continente è che un’Europa politica già esiste. Perchè quelle piazze erano accomunate dalle medesime parole d’ordine, dalle medesime rivendicazioni e dalle medesime speranze.
Quello levatosi dai cortei che hanno attraversato le strade delle capitali dell’intero vecchio Continente è un appello, disperato e scomposto, all’Europa perduta in questi anni di buio. La politica, a tutte le latitudini, dovrebbe muovere da questa considerazione per ritrovare la rotta di un’Europa fedele alla sua missione, per dare continuità a quel sogno di pace e di convivenza.
Il sogno e la speranza di un’Europa unita nacque dalle macerie del secondo conflitto mondiale e trovò corpo e sostanza nell’idea degasperiana di Patria, ovvero in un’idea dell’alterità che si sostanzia nella condivisione e nella ricchezza della diversità. L’Europa è un incontro e non la fredda somma di potenze e debolezze, è un quadro e non un mosaico, è madre e non può essere matrigna. È un terreno comune sul quale coltivare, insieme, il seme del progresso. L’Europa, in una parola, è comunità. Muore negli egoismi e vive nella solidarietà. Ricordiamocene quando saremo chiamati alle urne.

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