Le Isole del Tesoro che finanziano l’egemonia mondiale


Più della metà del commercio mondiale passa attraverso i paradisi fiscali. Oltre la metà di tutti gli attivi bancari e un terzo dell’investimento diretto estero effettuato dalle imprese multinazionali vengono dirottati offshore. L’85% delle emissioni bancarie ed obbligazionarie internazionali si svolgono in una zona protetta, fuori controllo. Finanza-fantasma, un volume economico mostruoso: pari a un terzo del Pil mondiale. Secondo l’Fmi, è il fatturato-ombra dei soli piccoli centri insulari. Sono le “Isole del tesoro” svelate dall’inglese Nicholas Shaxson, autore di un singolare libro-denuncia. Cifre impietose: a possedere società off shore è l’83% delle maggiori impresi statunitensi e, secondo “Tax Justice Network”, il 99% di quelle europee. Isole protette da legislazioni opache: non solo isolette caraibiche, ma grandi isole famosissime: come Manhattan o la stessa Gran Bretagna, dove nel 2007 sempre il Fondo Monetario Internazionale ha individuato una giurisdizione segreta.

«La giurisdizione segreta – scrive “Megachip” nel presentare il libro di Shaxson – serve a diverse cose: evasione, elusione, irrintracciabilità dei soci Elisabetta d'Inghilterradi una impresa, irrintracciabilità dell’origine dei flussi finanziari, riciclaggio, false fatturazioni ed altre pratiche spinte». Tra queste, scambi di favori con i narcotrafficanti, piazzisti d’armi, corruttori e tangentari di varia taglia che si comprano i loro rappresentanti all’interno del sistema politico, inclusi «monarchi, generali, dittatori sanguinari e conduttori di “Stati canaglia”». L’off shore, continua “Megachip”, è la concreta condizione di possibilità perché esista sia la globalizzazione del traffico delle merci, sia la costituzioni di multinazionali, sia più di ogni altra cosa, la globalizzazione finanziaria, nonché il riciclaggio dell’economia del debito. Queste “giurisdizioni segrete” sono circa 60. I due gruppi principali, secondo Shaxson, sono quello britannico e quello americano.

L’aggregato più importante, quello che conta circa la metà di queste giurisdizioni segrete è la patria della moderna Massoneria, la Gran Bretagna. Capofila località come Jersey e Guernsey, difficili da controllare perché isolate nel canale della Manica, o meglio ancora la remota Isola di Man. «Sembra incredibile – continua “Megachip” – ma la formapolitica di alcune di queste dipendenze della Corona britannica sono baliaggi, una rara forma feudale che risale al Medioevo. Con quelle controllate indirettamente, come Hong Kong, Singapore, Bahamas, Dubai ed Irlanda e conteggiando anche gli attivi del sistema bancario della City, i britannici controllano la metà degli attivi bancari del mondo». Il posto dove si fanno le operazioni più torbide pare sia Gibilterra, poi seguono Malta e Cipro, le Bermuda, le Isole Vergini, Nicholas ShaxsonTurks & Caicos. Le Isole Cayman sono il quinto centro finanziario del pianeta, con 80.000 società (per 44.000 abitanti) e sede dei tre quarti degli hedge fund del mondo.
Poi c’è il polo americano, con le banche della Florida e gli affari svolti nel Wyoming, Delaware, Nevada. Ci sono le solite Isole Vergini e le Marshall, che con Liberia e Panama offrono un porto sicuro ad ogni traffico-pirata. Enron aveva 862 controllate off shore, Citigroup 427, New Corporation dell’ineffabile Murdoch 152. Le multinazionali fatturano dalle località con vantaggio fiscale alle sedi piazzate nei paesi normali, evitando la tosatura fiscale, e grazie a questi strepitosi vantaggi conducono «le scorribande conosciute anche con il pomposo nome di “responso dei mercati”». E gli europei? Si limitano a Svizzera, Andorra, Monaco, Liechtenstein e Lussemburgo, ma favori sui bilanci si possono ottenere anche in Irlanda e nella insospettabile Olanda, solitamente «prodiga di consigli sulla virtuosità dei bilanci statali». In Italia si può bussare a San Marino o in Vaticano, se si vogliono evitare mete più esotiche come Vanuatu, Nauru e Mauritius, i classici “conduit heaven” dove Rupert Murdochi traffici da e per la Cina, l’India e l’Africa possono cambiare identità fiscale senza problemi.
«La finanziarizzazione non esisterebbe senza l’off shore», osserva “Megachip”. «Questa ragnatela di paradisi allettanti per la riproduzione asessuata dei capitali, sottrae income fiscale agli Stati che sono poi costretti a chiedere soldi in prestito su quei stessi mercati in cui operano questi capitali gonfi di illegalità». Attenzione: questi non sono sistemi “tollerati” ma, al contrario, debitamente costruiti, protetti ed incentivati da Usa e Regno Unito, «ovvero l’hot spot della finanza e l’hot spot della banca che si saldano in quel sistema banco-finanziario che oggi domina quella economia che già da tre secoli dominava le nostre società». Con la decisione di Nixon di stampare moneta dal nulla, senza più alcun corrispettivo di ricchezza materiale, gli anglosassoni hanno creato un presupposto «poi sviluppato con la globalizzazione, il monetarismo, la deregolamentazione e la Richard Nixonfinanziarizzazione, per ordinare l’economia stante che l’economia già ordinava cultura, società e politica dei vari paesi e dei vari popoli».
Ordinando l’economia con la finanza, conclude “Megachip”, si sono costruiti l’impero della circolazione finanziaria che attira capitali da ovunque per vivere di commissioni e di occupazione correlata, utilissima per gestire questa massa di soldi, «in parte veri, in parte da loro stessi stampati su foglietti di carta verdognola o su certificati di nessun valore reale, per una Le isole del tesoronuova stagione di geopolitica della ricchezza e dei rendimenti crescenti». Storia: «I baroni anglosassoni del 1215 imposero il “no taxation without representation”. Ora la representation se la comprano al mercato della democrazia rappresentativa con i soldi salvati dal “no taxation”. Questa è la libertà dei veri liberali». Come diceva Fernand Braudel, la fase finanziaria è sempre l’autunno di una egemonia che sta perdendo il potere reale: si può sperare che prima o poi s’alzi un nuovo vento?
(Il libro: Nicholas Shaxson, “Le isole del tesoro. Viaggio nei paradisi fiscali dove è nascosto il tesoro della globalizzazione”, Feltrinelli, 350 pagine, 19 euro).

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