Una “proposta indecente” all’origine della crisi siriana

È la prima vera risposta ufficiale alle insinuazioni occidentali, quella fornita ieri dal presidente siriano Bashar al Assad (foto) attraverso un’intervista concessa al quotidiano turco Cumhuriyet.
Il capo di Stato arabo ha come prima cosa replicato a chi, al di fuori della Siria, continua a chiedergli di farsi da parte, affermando che “non si deve restare in carica nemmeno un solo giorno, se il popolo non lo vuole” ma che solo a quest’ultimo “tramite le elezioni” spetta il diritto di scegliere e rimuovere i propri governanti.


“Se il mio unico interesse, personale, fosse di conservare la presidenza – ha affermato - avrei soddisfatto le condizioni americane e le richieste pervenutemi coi petroldollari, avrei potuto vendere i miei principi in cambio di petroldollari. Di più: avrei accettato d’installare uno scudo missilistico in Siria”. Rivelazioni che mostrano quali reali interessi ci siano dietro la campagna mediatica messa in atto dagli Stati Uniti e dai loro alleati, che si nascondo dietro i falsi vessilli della democrazia e dei diritti umani, per rovesciare le autorità di Damasco. Non è un caso che in Bahrein e Yemen, dove pure ci sono state numerose proteste popolari e una violenta repressione, nessuno da Washington si sia mosso per proteggere i cittadini e sostenere le loro legittime richieste, ma anzi la Casa Bianca abbia agito per far in modo che nessuno mettesse a rischio le rispettive leadership amiche. O che in regni come l’Arabia Saudita, dove i diritti fondamentali sono del tutto ignorati e il governo è scelto dal sovrano, siedano senza problemi all’interno delle istituzioni umanitarie delle Nazioni Unite. “Le mani sporche di sangue siriano, come ha detto Kofi Annan, non esistono solo in Siria, ma anche fuori dalla Siria. Questo dimostra il ruolo degli altri Paesi coinvolti”, ha affermato Assad, puntando il dito direttamente contro gli Usa che “sono parte del problema” e “sostengono palesemente i terroristi”.
Il presidente siriano è poi tornato a parlare dell’abbattimento del jet turco da parte della contraerea di Damasco, che ha acuito le divergenze fra i due Paesi, ribadendo che il caccia ha violato lo spazio aereo siriano ma che l’incidente, almeno da parte sua, non rappresenta un valido motivo per scatenare una guerra.
“I turchi sono un popolo fratello. Per quanto ci riguarda il nemico è solo Israele. Ma abbiamo avuto la sensazione che Erdoğan e il suo governo vogliano sfruttare questo incidente per trarne vantaggi politici. E questo è molto pericoloso”, ha voluto però precisare Assad sottolineando inoltre che “la Turchia ha dato pieno appoggio logistico ai terroristi che uccidono la nostra gente”. Il fatto che oltre il confine turco esistano campi di addestramento per i ribelli che stanno mettendo a ferro e fuoco il Paese arabo, infatti, non è certo un segreto, così come non è un segreto che la Cia e l’esercito francese lavorino per favorire il successo delle milizie illegali che stanno tentando di compiere un colpo di Stato in Siria. Eppure il resto della comunità internazionale, soprattutto quella occidentale, resta immobile di fronte quella che è una palese e illegittima ingerenza negli affari interni di un altro Paese, permettendo agli stessi fomentatori di questa guerra civile di continuare dettare legge nelle più importanti organizzazioni mondiali.
Solo Russia e Cina tentano, spesso inefficacemente, di controbilanciare uno squilibrio che negli ultimi dieci anni ha portato Usa e alleati a imporre con la forza la propria volontà su Iraq, Afghanistan e Libia, a isolare l’Iran e a decretare la lenta e tragica estinzione della Palestina. Una nuova politica coloniale portata avanti con l’assenso dell’Unione europea, che ne è stata la prima vittima inconsapevole.

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