L’Impero della Crisi:

 illusione, sfuggire all’euro-guinzaglio


La storia economica europea del dopoguerra dimostra senza alcun dubbio che l’unificazione dei mercati è stata resa possibile da una precedente fase di consolidamento e sviluppo delle singole economie nazionali avvenuta al riparo di strumenti tutt’altro che liberistici (come il controllo sui flussi di capitale). Quindi una sequenza totalmente opposta a quello che ci raccontano gli ideologi del neo-liberismo e ripetono a pappagallo pressoché tutti i giornalisti e i commentatori. La tesi che sostengo è che il Nixon shock, cioè la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro pronunciata il 15 agosto del 1971, e la conseguente sostituzione del gold-dollar exchange standard(ovvero i dollari dei Paesi in surplus erano di fatto convertibili solo in titoli del debito pubblico americano) è il punto di snodo dell’attuale crisi sistemica, oltre che esserne l’“evento spia”. Da quel momento ha inizio l’irresistibile marcia verso la finanziarizzazione del capitalismo occidentale.
Il deficit estero statunitense cambia pelle: al passivo dovuto ai dollari investiti all’estero con scopi produttivi, speculativi o fluiti all’estero per Al Caponedecisioni politiche (aiuti e, soprattutto, spese militari), si affianca progressivamente un enorme deficit più strettamente commerciale, specialmente per quanto riguarda le partite correnti. Gli Usa iniziano a quel punto a ricordare sempre più la vecchia Gran Bretagna del secolo d’oro ottocentesco, diventando contemporaneamente centro commerciale e bancomat del mondo, ma con almeno una fondamentale differenza. La sterlina era sostenuta da un impero formale smisurato dove vigeva tutto il contrario del libero scambio, che garantiva alla Gran Bretagna una crescente accumulazione di ricchezza da far rifluire all’estero, cioè ai paesi facenti parte dell’impero informale inglese del libero scambio (cioè tutti i Paesi capitalistici di allora). Il dollaro, al contrario, è sostenuto da un impero semi-informale finalizzato al controllo dei flussi finanziari e di risorse fisiche, specialmente energetiche. O meglio, da un processo necessariamente crescente di accumulazione di potenza.

Un impero che gli Usa con le loro guerre cercano disperatamente di formalizzare, ovverosia di trasformare in una gerarchia di Stati sotto il dominio statunitense. E quale maggiore inceppamento, secondo solo ad una sconfitta bellica, è la possibilità, se non già la capacità, di grandi economie come quelle dei Brics di sottrarsi al controllo statunitense esercitato tramite la forza militare e la finanza internazionale? E non è un altro inceppamento, forse non del tutto intenzionale, l’emergere dell’euro come valuta internazionale di riserva e di scambio, al punto che il valore delle obbligazioni internazionali denominate in euro ha superato quello dei bonds in dollari? Il problema viene affrontato dagli Usa con una serie di aggressioni finanziarie, militari e diplomatiche. L’indebolimento degli Stati nazionali dei Elisabetta d'Inghilterracentri capitalistici storici, ad esclusione degli Usa, è la conseguenza di elementi strutturali sui quali agisce, ovviamente, la politicainternazionale.
Il capitalismo occidentale nasce all’insegna dell’imperialismo, ovverosia della capacità di uno Stato di proiettare all’esterno la propria potenza. Senza impero britannico non ci sarebbe stata una sufficiente “raccolta finanziaria” per innescare la prima rivoluzione industriale, non ci sarebbe stata la capacità dell’Inghilterra di ripianare gli enormi debiti contratti con i banchieri olandesi, non ci sarebbe stata la sua possibilità di propagare in Europa e negli Usa lo sviluppo capitalistico moderno e infine non ci sarebbe stata la possibilità di approvvigionamento a buon mercato di materie prime. In altri termini, lo sviluppo capitalistico occidentale è stato reso possibile dall’esistenza del più grande impero formale mai visto nella Storia e, di conseguenza, dalla possibilità per un minuscolo Stato-nazione, come la Gran Bretagna, di agire come centro commerciale mondiale e bancomat mondiale.
Per entrare in competizione con questo centro che ha dominato il passato ciclo sistemico di accumulazione, gli Stati-nazione si sono dovuti attrezzare ad imperi moderni, cioè con caratteri imperialistici, nel mentre sparivano gli imperi dinastici. Impero erano gli Stati Uniti (alcuni padri fondatori usavano in modo interscambiabile il termine “impero” e il termine ”federazione”). Imperi coloniali furono conquistati dalla Francia, dal Belgio e in misura minore dall’Italia e dalla Germania, per altro già piccolo impero essa stessa, che farà il tentativo di conquistare un impero europeo scatenando due carneficine mondiali. Impero era quello del Sol Levante. Con la seconda GuerraMondiale si ha la dissoluzione degli imperi coloniali, voluta e perseguita dall’unico impero organico occidentale: gli Stati Uniti, soldati cinesiche sono simultaneamente un impero e uno Stato-nazione. Ad esso si oppose un altro impero-Stato-nazione, l’Urss, con gli esiti che conosciamo.
Oggi gli attori internazionali sono tutti imperi: la Russia (17.075.200 km2 e 144.958.164 abitanti), gli Usa (9.372.614 km2 e 314.551.246 abitanti), la Cina (9.596.960 km2 e 1.348.931.997 abitanti), il Brasile (8.547.906 km2 e 198.946.470 abitanti), l’India (3.287.590 km2 e 1.210.193.422 abitanti), il Sudafrica (1.219.912 km2 e 50.132.817 abitanti). Ovviamente i fattori storici e politici non sono secondari, e lo dimostra ad esempio l’emergere del Sudafrica invece che dell’Indonesia (244.870.937 abitanti per 1.919.440 km2) che da anni sta crescendo ma in modo troppo dipendente dall’Occidente. Tuttavia appare chiaro che la dimensione geografica (estensione e tipo di territorio) e sociale (popolazione) sono fattori predominanti. E ciò non dovrebbe destare sorprese, perché l’accumulazione capitalistica richiede una crescente mobilitazione di risorse fisiche e sociali. E le risorse vengono mobilitate perché le si hanno o perché si ha la forza finanziaria, militare e politica per farlo. E le tre forze devono andare a braccetto.
In questo quadro, i paesi capitalistici storici del Vecchio Continente non possono che declinare come singole potenze. Niente di più naturale che si siano inventati un progetto di impero europeo e che questo progetto abbia subito un’accelerazione dopo i primi segnali conclamati di crisi sistemica, segnali che possiamo simbolicamente rappresentare col Nixon shock. Una crisi da cui sono emersi gli enormi competitor sopra ricordati e una crisi che nessun singolo paese europeo giudicava di poter affrontare da solo. Pensare che una secessione dall’Europapossa portare alla sovranità nazionale, o possa far “ri-tornare” ad una sovranità nazionale già molto dubbia anche ai “tempi d’oro” del miracolo economico, quando cioè il paese era in decisa crescita e il movimento dei lavoratori era forte, cioè tutto il contrario di adesso, è quindi francamente opinabile, cosa che non significa assolutamente che la situazione presente sia giudicata sostenibile. Ma i Obama e la Merkelmodelli di economia politica sono soggetti alle condizioni politiche. E le condizioni politiche possono ribaltare tutte le conclusioni teoriche.
L’esistenza stessa degli Usa, coi suoi deficit pubblici e commerciali stratosferici, è uno scandalo per l’economia politica, così come lo è il volo del calabrone per l’aerodinamica. Eppure il calabrone Usacontinua inspiegabilmente (per molti) a volare e a dare filo da torcere a tutti gli altri enormi contendenti con “fondamentali” economici largamente migliori dei suoi. Al contrario lo pseudo-impero europeo, prima economia mondiale ma nanerottolo politico, è sull’orlo dell’implosione. Non illudiamoci, quindi. Non avendo noi la possibilità di conquistare nessun Palazzo d’Inverno (perché non si sa nemmeno dove sia), le secessioni dall’Europa e dall’euro o saranno imposte dall’alto o non ci saranno. E se saranno imposte dall’alto saranno secessioni americanizzate, come intenzione o come esito. Anche l’eventuale uscita della Germania dall’euro darebbe origine a un’Europa totalmente americanizzata e, qualora sopravvivesse a se stesso, ad un euro dollarizzato.
Quando si cita il caso argentino ci si dimentica di tutti questi elementi. Ci si dimentica che l’Argentina si estende su 2.766.890 km2. E ci si dimentica che il problema era quello di de-dollarizzare una moneta sovrana, il peso, e il debito sovrano, mentre qui si tratta di de-marchizzare l’euro senza dollarizzarlo e senza dollarizzare i debiti sovrani o eventualmente le rinate monete nazionali. Ma a quanto si capisce dai litigi tra i governanti europei, la scelta sembra invece tra la padella (euro-marco) e la brace (euro-dollaro). Teoricamente anche la scelta dei rapaci creditori degli Stati europei è quella di avere crediti denominati in euro-marchi o in euro-dollari. Ovviamente tremano all’idea di avere crediti denominati in lire, dracme, peseta, franchi, eccetera. Per quello la parola d’ordine è “salvare l’euro”. Ma la ragione più importante è che sanno che per “salvare l’euro” l’ipotesi più probabile èBen Bernanke, il presidente della Fedquella di dollarizzarlo, cioè di sottoporlo alla politica economica del loro principale alleato, gli Usa (le società di rating sono lì apposta per ricordarlo fungendo da sistemi di puntamento per gli speculatori con sede a New York).
Inoltre, i rapaci creditori hanno due vaschette di pratiche: quella “in” dove si mettono gli attivi e quella “out” dove si mettono i passivi. Il loro problema è che quella “out” è zeppa di pratiche da smaltire e le pratiche “in” non riescono a stargli dietro. L’euro-marco vale di più del dollaro, ma la politica dell’euro-marco non permette di far finire nel tritadocumenti le pratiche “out” in misura sufficiente. E’ allora preferibile un euro-dollaro più munifico, una Bce Fed-izzata. Il grande problema è che se anche si spremono gli abitanti dell’Europa come dei limoni, i libri contabili non andranno mai a posto. Lo stiamo vedendo proprio adesso con Monti. Ma non andranno a posto nemmeno se si stamperanno euro a go-go; ammesso pure che i Brics lo permettano senza passare a rappresaglie, perché se da un lato hanno bisogno che l’Europa ritorni a crescere, dall’altro non sono molto propensi ad accettare ad libitum un dumping finanziario occidentale, innanzitutto per questioni di predominanza politica (e poi dubito che siano davvero convinti di una possibilità di ripresa stabile dell’Europa e dell’Occidente in generale, per i motivi che vedremo tra poco).
Tuttavia bisogna considerare che i libri contabili non sono di per sé pericolosi – li aveva anche Al Capone – finché qualche ispettore, con dietro la “forza pubblica” e un potere contrapposto, non viene a controllarli. Così come un bluff non è rischioso finché nessuno dirà “vedo” tenendo pronta la sei colpi. E queste ispezioni, che sono grandi operazioni non singole speculazioni, si fanno su input politico o in base a considerazioni politiche, non perché i metafisici “mercati” si svegliano con la luna storta. Certo, cercano sempre di convertire la loro carta straccia in beni reali, dandosi battaglia con le mergers & acquisitions o andando alla conquista dei domini pubblici degli Stati o seguendo come avvoltoi la distruzione bellica di Stati deboli. Ma questa “truffa a mano armata”, quando prende di mira gli Stati oltre ad un certo punto ha bisogno dell’assenso politico e deve ragionare politicamente. Tanto è vero che prende di mira Eurolandia che è messa di Bcegran lunga meglio degli Usa e della Gran Bretagna e persino del Giappone. E lo fa facendo leva sulle contraddizioni indotte dall’euro-marco.
E’ quindi con dietro una più ampia strategia che i “mercati finanziari” sono venuti dagli Usa e Uk a controllare i libri contabili dell’eurozona: perché oramai deve essere risolta la scelta tripartita a cui la logica capitalistica ha da sempre messo di fronte la costruzione europea, ovvero: a) Europaglobalizzata ed americanizzata, b) Europa tedesca, c) dissoluzione. La soluzione che vorremmo è un’altra: un’Europa neutrale, disaccoppiata dalla globalizzazione neoliberista e dalla sua finanziarizzazione targata Usa, collaborativa con l’Africa, l’Alba latinoamericana, i paesi arabi e l’Asia, e soprattutto con i loro popoli. Un’Europatutta il contrario di quanto è realmente, ma non più utopica di un’Italia – necessariamente bolscevica – politicamente e monetariamente sovrana; e con in più il vantaggio di essere concepita nella dimensione giusta, quella che esporrebbe di meno alle mire egemoniche degli altri grandi attori, a partire dagli Usa.
Produttivo, nel capitalismo, è ciò che produce profitto. Ma la finanziarizzazione è nata proprio dalla crisistrutturale dei profitti industriali in Occidente. Quindi non basta una riforma della sfera della circolazione (più o meno all’insegna di ricette keynesiane) per lasciare esprimere una potenzialità produttiva che non c’è più. O meglio, che è confinata a settori come quelli degli armamenti (come sempre), dell’energia, delle biotecnologie, delle nanotecnologie e pochi altri (settori fortemente soggetti alle ripartizioni, soggette alle politiche di potenza, della divisione internazionale del lavoro). Allo stesso modo le proposte per misure di ridistribuzione del reddito non devono essere contrabbandate per soluzioni Mario Draghiper aumentare la mitica “domanda aggregata”, ma per quello che sono e devono essere: misure di giustizia sociale.
La neutralità dell’Europa è una condizione complementare necessaria. I governanti europei hanno una grande responsabilità: aver costruito un ibrido mostruoso che ha sottratto sovranità nazionale ai Paesi membri senza ricostruirla a più alto livello, aver smantellato industrie e settori produttivi nazionali a favore dell’accumulazione per spoliazione globalizzata invece di costruire un sistema industriale europeo. Avere in parte fatto – e avere in progetto di condurre a termine – la stessa cosa per i servizi sociali e tutto il dominio pubblico dei paesi membri. Aver reso ineffettivi e privi di sostanza i livelli decisionali democratici dei paesi membri senza averli ricostruiti a livello europeo (anzi, stando molto attenti a non farlo). Infine aver suscitato il fantasma di una moneta unica senza proteggerla bensì mettendola alla mercé della finanza internazionale conLibia bombardamentiscelte monetariste suicide in generale e in particolare dettate dagli egoismi della Germania.
Il monetarismo si basa sull’assunto che la moneta sia una merce. Per Marx è anche una merce, ma una merce che va oltre se stessa a causa delle sue funzioni nel modo di produzione capitalistico. Invece il monetarismo ragiona come se ci fosse un barriera metallica, mentre i rapporti sociali di produzione capitalistici costantemente abbattono tutte le barriere metalliche. Il problema è che ora gli Usa devono scaricare queste contraddizioni sull’Europa, nel duplice senso che devono riportarla sotto la stretta sorveglianza della politica economica statunitense e all’ortodossia atlantica senza se e senza ma. Si noti che la prima manovra segue la seconda. I mal di pancia della Francia ma anche dell’Italia per la guerra in Iraq si sono ribaltati nei recenti entusiasmi bombardatori contro la Libia e in quelli futuri contro la Siria e forse l’Iran. Entusiasmo trascinato dalle sinistre europee ancor più che dalle destre.
E l’attacco speculativo all’Italia è seguito alla sua massiccia partecipazione alla guerra libica voluta da Napolitano e imposta alla destra tramite la pressione della sinistra. Infatti questo rinnovato giuramento di fedeltà atlantica è stato il segnale che all’attacco speculativo sul debito pubblico del nostro Paese avrebbe risposto un governo che avrebbe accettato il ricatto senza fiatare. Anzi, addirittura sarebbe stato compartecipe del ricatto stesso (emblematico è Monti, che massacra il Paese per rispondere all’innalzamento dello spread causato dai giudizi di agenzie di rating di cui fa parte). La Germania sulla Libia ha invece resistito. Non a caso, perché ha capito questa relazione tra fedeltà atlantica e blocco di ogni possibilità di disaccoppiamento dalla politica economica americana, comprendendo benissimo che l’attacco alle periferie europee, e specialmente all’Italia, NapolitanoPaese cruciale per l’Europa, sarebbe stato il percorso più ovvio e di minor resistenza per attaccare il “suo” euro-marco. Sulla Siria invece si mostra possibilista. Vuole solo prendere tempo? Ha capito che alla fine dovrà cedere all’attacco di Obama coadiuvato da Hollande, Monti e Cameron? Sta ricevendo delle promesse da parte americana? Non lo sappiamo.
D’altra parte questo era quanto poteva fare nel quadro delle logiche economiche, finanziarie e politiche capitalistiche una congerie di governi, di destra e di sinistra, in parte incapaci, in parte miopi, in parte litigiosi, in parte vigliacchi, in parte servili, in parte iper-realisti e quindi propensi al compromesso permanente con gli Usa e i suoi “poteri forti”. Difetti che sono prepotentemente emersi con la crisi finanziaria, mentre finché il vento tirava erano in qualche modo assopiti o arrecavano danni aggiustabili. Difetti che se all’inizio derivavano da reali vicende storiche e quindi erano scusabili o capibili, in seguito si sono corrotti in calcoli meschini fino a ribaltare la frittata, come ha fatto la Francia del marito di Carla Bruni col suo gaullismo all’incontrario. Ora questa congerie inqualificabile si è messa da sola di fronte al dilemma che abbiamo sopra illustrato: morire tutti insieme americani o morire separatamente americani. Purtroppo a fare le spese per primi di questa non-scelta saranno i popoli europei, a partire dagli strati sociali più deboli e dalle classi subalterne. A questo esito dovremo opporci, quale che sia la scelta che faranno nella stanza dei bottoni questi decisori che non appaiono egoisti solo quando devono servire gli interessi di altri. Dobbiamo opporci con tutte le nostre forze proclamando chiaramente che nessuna delle loro decisioni sarà la nostra.
(Piero Pagliani, estratti dall’intervento “Europei senza Europa”, pubblicato da “Megachip” il 21 giugno 2012).

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