E SE LA GRECIA ESCE DALL'EURO?

MINACCE IN TEMPO DI CRISI
Di Andrea Degl'Innocenti
Sono ore strane e concitate in Grecia. Tese, fitte di contrattazioni, di dubbi, interrogativi. Da un lato le pressioni dell'Europa, che chiede un'immediata ristrutturazione del debito e minaccia l'esclusione dall'euro. Dall'altro ilcrescente malcontento di una popolazione vessata ogni giorno di più dalla crisi e dalle misure di austerità. Nel mezzo i partiti appena usciti dalle elezioni, che cercano da una manciata di giorni di mettere in piedi un governo che goda di una maggioranza stabile; e lo spettro di nuove elezioni fra un mese che si fa ogni ora più concreto.

Protagonista indiscusso di questi giorni è stato Alexis Tsipras, giovane leader della Coalizione di sinistra radicale Syriza che ha rifiutato ogni forma di accordo e compromesso con gli altri partiti maggiori puntando dritto alle nuove elezioni. Il suo partito è divenuto con l'ultima tornata elettorale il secondo partito del paese grazie al crollo del Pasok, storico partito di centrosinistra reo, agli occhi degli elettori, di ave avallato il piano di salvataggio “lacrime e sangue” proposto dalla troika.

Dopo che i maggiori partiti erano stati convocati dal Presidente della Repubblica Karolos Papoulias, Tsipras aveva annunciato che l'accordo era stato trovato ma che il suo partito non ne faceva parte. Si sarebbe trattato, nelle sue dichiarazioni, di un governo di unità nazionale a tre che comprendeva i conservatori di Nuova Democrazia, lo storico partito di centrosinistra del Pasok e il Dimar, partito di sinistra filoeuropea. “Non posso accettare quello che considero un errore”, aveva detto Tsipras dopo l'incontro con il capo dello stato. “Non ci chiedono solo di essere d'accordo, ma anche di essere complici”. L'accordo era poi stato smentito quasi subito dal leader di Dimar, Fotis Kouvelis, che ha accusato Tsipras di “bugie diffamatorie”.
Oramai un accordo pare quasi impossibile e Tsipras è in procinto di aprire la campagna elettorale per le nuove elezioni. Obiettivo: diventare il primo partito del paese. La linea è quella dura, contro le misure imposte dall'Europa, l'austerità e l'intesa definita da Pasok e Nuova democrazia con la comunità internazionale. “Quelli che hanno governato negli ultimi anni non riescono ad accettare il messaggio arrivato dalle urne e continuano con i ricatti. Non saremo complici dei loro crimini”, ha dichiarato.
I mercati hanno reagito violentemente alle ipotesi ventilate dalla sinistra greca. Le borse di tutto il continente fanno segnare perdite consistenti ed i differenziali (spread) dei paesi più in crisi continuano a salire senza tregua (quello italiano supera oggi la soglia dei 420 punti). Proprio sullo spread si è espresso oggi il presidente della Consob, Giuseppe Vegas. Egli ha parlato senza mezzi termini di "dittatura dello spread", che "attribuisce ogni potere decisionale a chi detiene il potere economico, nei fatti vanificando il principio del suffragio universale".
“Affidare il nostro futuro a un numero – ha continuato - costituisce anche un modo di abdicare ai nostri doveri. Le nostre paure sono sintetizzate in un numero che oggi è rappresentato dallo spread e che si basa su fondamentali dell'economia. Tuttavia incorpora un giudizio di valore sinteticoe soggettivo che, spesso, li travalica”.
Neppure l'Europa è rimasta a guardare impassibile. Sono partite subito pressioni e minacce, prima fra tutte quelle riguardanti l'uscita dall'euro. José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea ha minacciato: “Se un membro del club non rispetta le regole, è meglio che se ne vada dal club”. Gli ha fatto eco Daniel Cohen-Bendit, leader dei Verdi, pochi giorni fa dall'aula dell'Europarlamento: “Quante volte vogliamo far votare i greci, una, due, tre, quattro volte, prima di vederli venire in ginocchio a pregarci di aiutarli”.
Ovvio il sostegno dei media. Der Spiegel, settimanale tedesco, ha recentemente pubblicato un approfondimento in cui si afferma che la Grecia è in procinto di uscire dall'euro. Yanis Varoufakis, professore di economia politica all'Università di Atene ed ex docente a Cambridge e a Sidney ha una teoria a riguardo. “È mia opinione – scrive in unpost sul suo blog - che Der Spiegel, in accordo con determinati circoli all'interno del governo tedesco (in particolare il Ministro delle Finanze) stesse cercando di mandare un messaggio al Cancelliere ma anche al Primo Ministro greco”.
“Quale messaggio? Che ci sono cose molto peggiori che una ristrutturazione del debito, la peggiore delle quali uno smantellamento dell'euro passo dopo passo che comincerà non appena un Paese come la Grecia sarà forzato in una situazione impossibile da sostenere. E che continuare a negare l'evidenza, e proporre bugie su bugie riguardo la sostenibilità della situazione in corso, non sarà più tollerato”.
Ora è necessario porsi due domande. La prima: perché tanto accanimento contro la Grecia, un paese relativamente marginale e con un pil che non raggiunge neppure il 3 per cento di quello dell'Unione? E poi, seconda domanda, siamo sicuri che un'uscita dall'euro avrebbe davvero conseguenze catastrofiche per il paese?
Per rispondere al primo quesito, le ipotesi avanzate fino ad ora prendevano in considerazione solo il “fattore emulazione” come spiegazione alla rigidità delle misure europee. Se l'Europa si dimostra flessibile col debito ellenico, si diceva, poi anche le altre nazioni pretenderanno un trattamento simile: per questo l'Unione ha adottato la linea dura. La Grecia doveva essere, nella prospettiva della troika, un monito per gli altri paesi, un esempio di ciò che succede se non si rispettano le dure leggi della oligarchia finanziaria internazionale.
Ma una serie di recenti indagini aggiungono nuove prospettive. “Mentre continuano a svolgersi gli eventi nella crisi economica europea – scrive Peter Papaherakles sul noto giornale online statunitense americanfreepress.net – sta diventando chiaro che la posta in gioco è molto maggiore nel caso della Grecia. La reale questione riguarda chi controlla le enormi riserve di gas e petrolio situate proprio vicino alla costa ellenica”.
Secondo l'articolo esiste infatti un immenso giacimento di petrolio e gas naturale nel Mediterranneo orientale, nella zona tra le isole di Creta, Cipro e Rodi che potrà fornire energia all'Europa per 50 anni. Il valore di queste riserve? Qualcosa fra i 9 trilioni e i 12 trilioni di dollari americani, una cifra che neanche si riesce a immaginare tanti sono gli zero che la compongono (18 per l'esattezza). Sarebbe questo giacimento a far gola alle banche europee, così come alla Russia e alla Cina, che più volte nell'ultimo periodo si sono proposte di aiutare la Grecia con prestiti consistenti.
Anche per quanto riguarda il secondo quesito possiamo avvalerci di uno studio. Per l'esattezza quello realizzato, per fini tutt'altro che nobili, da Michael Cembalest, un analista di JP Morgan. Si tratta di una ricerca sulla solidità della moneta unica europea, utile ai broker per decidere se scommettere a favore o contro l'euro nelle loro speculazioni finanziarie.
Cembalest ha calcolato il “tasso di dispersione” dell'Ue, ovvero quanto differiscono i paesi che la compongono. Ad una dispersione alta corrispondono maggiori difficoltà nel trovare un'unione monetaria stabile e viceversa. Egli ha comparato i vari stati dell'unione prendendo in considerazione un centinaio di fattori tratti dal Global Competitiveness Index, del World Economic Forum: dal Pil pro-capite alla indipendenza della magistratura, fino ai chilometri-passeggero delle linee aeree.
I risultati sono quelli espressi nella tabella qui sotto. Vi sono elencate unioni monetarie esistite in passato ed anche alcune totalmente arbitrarie. Nella penultima colonna, ad esempio, è rappresentato il tasso di dispersione di una inesistente unione monetaria che riunisce i 13 paesi che cominciano con la M”. L'assurdo risultato è che persino questa risulterebbe composta di paesi meno divergenti di quelli da cui è composta la zona Euro.
Insomma, per rispondere alla seconda domanda, è sempre più evidente che la moneta europea è una forzatura assurda e contro natura. Uscirne, per la Grecia come per la maggior parte delle nazioni, non sarebbe che una benedizione.

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