Costretto? o previsto?

Bagnai: perché Hollande sarà costretto a tradire gli elettori

Gli ottimisti la vedono come Gad Lerner, che “festeggia” la sconfitta europea di Angela Merkel: che in Francia perde il suo fedele alleato Sarkozy e in Grecia vede vacillare il suo “commissario” Lucas Papademos, indebolito dal crollo dei due partiti storici della democrazia ellenica, i conservatori di Nuova Democrazia e i socialisti del Pasok. Brutte notizie anche dal fronte interno tedesco: nello Schleswig-Holstein la Cdu segna un record negativo, anche se la Spd e i Verdi non possono gioire, perché il successo dei “Pirati” toglie loro i consensi necessari per una tradizionale “alternativa progressista”. Ma poi, naturalmente, ci sono anche i pessimisti. Fra questi, l’economista Alberto Bagnai, che “smonta” il successo di Hollande: la Francia in piena crisi è a un passo dal dramma, e – nonostante le promesse dei socialisti – anche su Parigi potrebbe spalancarsi il baratro del “massacro sociale”.
Sarkozy non poteva vincere, scrive Bagnai su “Goofynomics”, per due motivi: il primo è che, quando le cose vanno male, chi sta al governo perde François Hollandele elezioni – a prescindere dalle sue reali responsabilità, in un’economia come quella europea, imbrigliata dall’euro e travolta dal disastro finanziario statunitense. L’altro motivo è l’economia francese: «La Francia», dice Bagnai, «sta quasi alla canna del gas». Non ha ancora “aperto il rubinetto”, ma ormai ci siamo: «Siamo cioè nella fase in cui è necessario il macellaio col grembiulino rosa, sul quale gli schizzi di sangue (degli operai) si notano di meno». E perché ne avrebbe bisogno, la Francia, del macellaio col grembiulino rosa? «Semplice: perché anche lei deve ridare tanti soldini all’estero». Problema evidente, dando uno sguardo alla contabilità nazionale: «La Francia ha un forte problema di competitività, che si traduce in un saldo negativo e decrescente delle partite correnti (cioè in un crescente indebitamento estero), e quindi, non potendo svalutare rispetto ai suoi principali partner, dovrà praticare la cosiddetta “svalutazione interna”: rimozione delle garanzie sindacali, taglidei salari».

Non ci credete? “Ma Hollande è di sinistra, è la nostra speranza”. Aspettate, dice Bagnai, e ne vedrete delle belle: dove li trova, il nuovo presidente, i soldi per la (sacrosanta) espansione del welfare che ha auspicato in tutta la campagna elettorale, una vera e propria crociata contro il “rigore” predicato dalla Merkel, dalla Bce e dall’oligarchia finanziaria rappresentata dai tecnocrati che reggono il governo non-eletto dell’Unione Europea? Dal 2004, osserva l’analista, anche la Francia ha visto crescere la sua esposizione verso l’estero, data la crescentecrisi parallela del settore privato e di quello pubblico. «Un trend piuttosto eloquente e comune a tutti i paesi periferici dell’Eurozona». All’inizio il saldo privato era negativo: famiglie e aziende “risparmiavano”, al punto da finanziare il deficit pubblico e trovare soldi da prestare all’estero: «Erano gli anni in cui la Francia faceva Alberto Bagnaila spesa da noi, acquistando i supermercati». Poi, il calo: dal 1993 al 2008, il surplus privato si è ridotto inesorabilmente, fino all’attuale crisi.
Il margine dell’economia francese, continua Bagnai, si è progressivamente avvicinato allo zero, anche tamponando la frana del deficit pubblico. Poi, dal 2000, la situazione è ulteriormente peggiorata: meno “risparmi” e sempre meno soldi da prestare all’estero. Fino alla svolta del 2005, quando il saldo estero cambia segno: la Francia inizia a indebitarsi. Nel 2008 arriva la crisi di Wall Street e l’anno seguente Parigi reagisce con una forte politicaanticiclica: il fabbisogno pubblico schizza verso l’alto, e il settore privato inizia a “tirare la cinghia”. Ma l’indebitamento estero continua inesorabile a scivolare verso il basso: altri due punti di Pil. Per di più, aggiunge Bagnai, la forte politica fiscale anticiclica ha avuto i suoi effetti: dal 2007 al 2011, il debito pubblico in Italia è aumentato di 17 punti di Pil, mentre quello francese di 22. «Certo, loro stanno ancora a 86 punti di Pil e noi a 120. Intanto, ce n’è più che abbastanza per giustificare anche lì le politiche di austerità suicida».
Morale della favola: «La Francia è alla vigilia di una crisi del tutto analoga a quella di tutti i paesi periferici dell’Eurozona: crisi di bilancia dei pagamenti indotta da una riduzione “secolare” del risparmio privato, aggravato nel caso della Francia da una riduzione di quello pubblico». Crisi più che allarmante, «innescata in primo luogo da una perdita di competitività». Vero: la Francia non è la Grecia, «ma la differenza non è qualitativa, è solo quantitativa: e quindi la domanda non è “cosa succederà”, ma “quando”». Un po’ dopo, probabilmente. Per scacciare l’incubo, «qualcuno ha mandato il compagno Hollande a ripristinare la competitività, cioè a comprimere i salari, a garanzia dei creditori». Possibile? «Scaricate dal suo sito, se c’è ancora, il suo programma: e poi vediamo come lo attua».

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