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L’Argentina sovrana sfratta i vampiri del suo petrolio

L’Argentina della rinascita nazionale, basata sulla ritrovata sovranità monetaria, si scrolla di dosso i vampiri liberisti che – a suon di tangenti – le avevano “rubato” il suo petrolio. La presidente Cristina Kirchner ha annunciato l’inizio di un processo che porterà ad una rinazionalizzazione della compagnia petrolifera Ypf, svenduta da Menem nel 1992 alla spagnola Repsol che divenne così una delle principali compagnie petrolifere del mondo, nonostante la Spagna non possieda una goccia di petrolio. Da Madrid, venti di guerra contro il governo argentino, giusto per occultare l’incapacità del governo Rajoy di fronte alla crisi. E intanto viene alla luce la verità sulla privatizzazione di Ypf e sull’azione delle multinazionali iberiche in America Latina: mazzette ai politici corrotti, ricatti contro i lavoratori e zero rispetto per l’ambiente.
«Nessuno più di Repsol – scrive Gennaro Carotenuto nel suo blog – può essere perciò allergico alle parole con le quali Cristina Fernández de Cristina KirchnerKirchner ha annunciato il percorso legislativo che porterà al recupero della proprietà pubblica del 51% di Ypf (giacimenti petroliferi fiscali): sovranità, beni comuni». Carotenuto ricorda un lontano viaggio, da Buenos Aires a Madrid, in compagnia di un ingegnere petrolifero dell’Agip: «Mi spiegò quella che già allora era la politica di rapina della compagnia petrolifera spagnola Repsol, che aveva beneficiato, pagando milioni di dollari in tangenti, della privatizzazione a prezzo di saldo della compagnia petrolifera nazionale Ypf». Dettagli tecnici: mentre l’Agip “interrava” il petrolio appena estratto, in attesa che il prezzo del greggio tornasse a salire, la politica degli spagnoli era «seccare fino all’ultima goccia le riserve argentine e poi andare altrove». Se il neoliberismo prosciuga risorse (altrui), l’Argentina oggi insegna: lo Stato deve recuperare la sua sovranità anche energetica, per tutetare i suoi cittadini.

Dal petrolio ai servizi, stessa musica: sempre negli anni ’90, la compagnia spagnola Telefónica aveva imposto il prezzo per telefonata più caro al mondo, nell’Argentina della parità col dollaro, in un regime di finto duopolio con France Telecom. Quando, all’alba del 2002, i pesos argentini ridussero il loro valore ad un terzo, crollato il regime neoliberale sotto le mobilitazioni popolari del “que se vayan todos”, l’allora primo ministro José María Aznar «mise sul primo aereo il suo lobbysta di fiducia, Felipe González». Proprio lui, l’ex primo ministro socialista, spese tutto il suo prestigio per convincere gli argentini: «Ok, svalutate pure, ma a patto che le telefonate più care al mondo le continuiate a pagare in dollari», di fatto con un ulteriore aumento Aznar, Zapatero e Gonzàlezdel 300% per gli svalutati portafogli del paese latinoamericano. Risultato: alla fine dell’estate, oltre 300.000 famiglie argentine si videro staccare il telefono che non erano più in grado di pagare.
«È tutta così la storia da vampiri delle multinazionali spagnole (ed europee) in America latina», dice Carotenuto: dai disastri commessi dall’idroelettrica Unión Fenosa a quelli di Iberia con Aerolíneas Argentinas, che era «la miglior compagnia aerea del sud del mondo» e fu comprata «solo per essere completamente svuotata da Iberia». Nel 2006, l’allora presidente Néstor Kirchner «dovette espropriare la multinazionale francese Suez che da mesi sapeva perfettamente di star fornendo acqua da bere inquinata alle case di quasi un milione di argentini». Niente di nuovo: è il solito sistema degli avvoltoi di sempre, riciclatisi come nuovi “rentiers” al timone dell’alta finanza e delle grandi multinazionali che sfruttano la povertà globalizzata. «È questo il modello: lo stesso che ha fatto accumulare alla sola Texaco, nel piccolo Ecuador, un debito per danni Gennaro Carotenutoambientali per 700 miliardi di dollari».
Eppure, nel caso-Ypf, la ricostituzione della sovranità nazionale (in Argentina è successo con la compagnia aerea, le poste, i fondi pensione e la salute) comporta sempre la stessa risposta, da parte del super-potere: accuse di populismo antidemocratico e di atteggiamento ostile al “mercato”. Per gli europei, invece, è perfettamente “normale” imporre di pagare le telefonate più care al mondo, far bere acqua inquinata, svuotare imprese, licenziare o schiavizzare con salari da fame migliaia di lavoratori e trattare interi paesi come dei fazzoletti usa e getta. Il peccato originale del recente “miracolo” spagnolo? Accanto all’uso intelligente dei fondi di coesione europei, conclude Carotenuto, la Spagna è il paese che, negli ultimi trent’anni, più si è arricchito a spese del Sud America: «Le multinazionali iberiche, da Repsol a Telefónica, sopravanzano perfino gli Stati Uniti nel continuo esercizio di corruzione e lobby». Povertà e miseria sono l’eredità del neoliberismo corrotto, contro cui ora si battono gli alfieri della nuova politica sovrana dell’America Latina. «Se volete, chiamateli populisti e antidemocratici: se ne giovano».

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