ORMUZ UNA NUOVA DANZICA?


●Lo Stretto di Ormuz è un braccio di mare abbastanza angusto non profondissimo e facilmente ostruibile. Basterebbe ad esempio affondare alcuni mercantili e la situazione diventerebbe non superabile. Ora dallo Stretto di Ormuz passa qualcosa come un terzo del petrolio per via marittima a livello mondiale e un sesto in assoluto del petrolio commerciale nel mondo, quindi l’effetto immediato, soprattutto se dovesse esserci una situazione permanente non risolvibile come nel caso di un’ostruzione dovuta ad affondamento di mercantili, sarebbe probabilmente un’impennata violentissima del prezzo del petrolio che, secondo alcune stime, potrebbe superare i 180 dollari al barile da un giorno all’altro[1].

●Gli Stati Uniti sono in procinto di isolare finanziariamente l’Iran. Il Congresso degli Stati Uniti ha appena approvato una legge (che il Presidente Obama sembra pronto a firmare) la quale, se pienamente attuata, potrebbe ridurre sostanzialmente i proventi petroliferi dell’Iran: in altre parole gli Stati Uniti stanno spingendo l’Iran in un angolo.

●L’Iran sta reagendo. Il primo vice-presidente dell’Iran Mohammad Reza Rahimid ha detto che l’Iran potrebbe chiudere le vie di navigazione critiche attraverso lo Stretto di Ormuz nel Golfo, se le sanzioni estere vengono imposte sulle sue esportazioni di petrolio. Si è sempre pensato che l’Iran non chiuderebbe lo Stretto di Ormuz, perché lo usa per le sue esportazioni di petrolio.

Ma, se gli Stati Uniti rendono impossibile all’Iran la vendita del proprio petrolio, allora tutto cambierebbe.

●La marina [Iraniana] è nel bel mezzo di un’esercitazione di 10 giorni in acque internazionali in prossimità del percorso strategico del petrolio. Le esercitazioni sono iniziate sabato e coinvolgono sottomarini, torpedinieri, lanciasiluri e droni. I giochi di guerra potrebbe portare le navi iraniane in vicinanza della marina degli Stati Uniti nella zona. Stranamente, gli Stati Uniti hanno avvertito l’Iran che non tollereranno alcuna interruzione del traffico navale attraverso lo Stretto di Ormuz. A volte, se si spinge e si spinge, si ottiene una reazione. Gli Stati Uniti ottennero una reazione dal Giappone. Fu Pearl Harbor (7 dicembre 1941). La Francia e l’Inghilterra l’ottennero dalla Germania e fu Danzica (1° settembre 1939). Oggi potrebbe essere la volta di Ormuz. Infatti la legge che il Presidente Obama sta per firmare è uno sputo in faccia all’Iran, che viene utilizzata per arrestare le capacità dell’Iran di vendere petrolio. Essa potrebbe scatenare una reazione dell’Iran: il blocco dello Stretto di Ormuz. Questo è un gioco che ha una posta in gioco molto alta. Nessuno sa con certezza come andrà a finire. I governi sono gestiti da uomini che sono difficilmente prevedibili con esattezza. Essi decideranno quale sarà la prossima mossa[2].

●Il 16 dicembre scorso il presidente Obama, parlando alla Union of Reform Judaism è passato dal concetto di guerra difensiva, “un Iran nucleare è inaccettabile”, a quello di attacco preventivo, “siamo decisi a prevenire l’acquisizione di armi nucleari da parte dell’Iran”.

●Il 19 dicembre scorso, il segretario alla Difesa Panetta, fino a quel momento uno dei più decisi assertori dei rischi derivanti da un attacco contro l’Iran, improvvisamente ha dichiara che l’Iran potrebbe acquisire entro un anno la bomba nucleare e che questa è la “linea rossa” raggiunta la quale il governo Usa “adotterà qualsiasi passo necessario per affrontare la situazione”.

●Il 20 dicembre, il presidente del consiglio dei comandanti in capo delle Forze Armate Usa, gen. Martin Dempsey, ha dichiarato alla Cnn: “le opzioni che stiamo sviluppando hanno raggiunto un punto che le rende eseguibili ove necessario”.

●Il 21 dicembre, Dennis Ross, uno degli strateghi filo-israeliani, che da oltre trent’anni opera nelle posizioni più rilevanti della politica estera americana trasversalmente a tutte le amministrazioni Usa, ha dichiarato alla televisione israeliana Channel 10 che il presidente Obama sarebbe pronto a “fare un certo passo”, se necessario, e che “questo vuol dire che quando tutte le opzioni sono sul tavolo, se si sono esauriti tutti gli altri mezzi, si fa quello che è necessario”.

●Il 22 dicembre il ministro della difesa israeliano Ehud Barak, dopo avere svolto negli Usa una serie di incontri coi massimi vertici politico-militari americani, ha dichiarato: “l’Iran si trova di fronte ad un bivio vero e proprio”.

●Il 23 dicembre, infine, viene pubblicato sulla prestigiosa rivista del Council on Foreign Relations, Foreign Affairs, il contributo di Matthew Kroenig, un esperto delle problematiche dell’antiterrorismo[3]. Questo testo, intitolato senza mezzi termini “Il momento di attaccare l’Iran – perché un attacco è il male minore”[4], è un’accurata analisi delle obiezioni finora sollevate contro l’ipotesi di una attacco militare americano con armi non-convenzionali contro le installazioni nucleari iraniane. Kroenig si propone di dimostrare che “la verità è che un attacco militare mini-atomico e chirurgico rivolto a distruggere il programma nucleare dell’Iran, se gestito con attenzione, potrebbe evitare alla regione [mediorientale] ed al mondo una minaccia davvero concreta e potrebbe aumentare straordinariamente la sicurezza nazionale degli Usa a lungo termine”. Kroenig afferma che militarmente, grazie in special modo alle nuove bombe ad alto potenziale ed alta penetrazione (MOD, Massive Ordinance Penetrator), la distruzione dei maggiori siti nucleari iraniani è tecnicamente fattibile, senza il rischio di grandi perdite fra i civili. Per cui prima l’attacco viene attuato e meglio è.

●Per concludere: “Con i conflitti in Afghanistan ed in Iraq in via di esaurimento e con gli Usa che stanno affrontando una dura crisi economica all’interno, gli Americani hanno poca voglia di ulteriori scontri. Tuttavia il rapido sviluppo del programma nucleare iraniano costringerà prima o poi gli Usa a scegliere tra un conflitto convenzionale ed una possibile guerra nucleare. Di fronte a questa decisione, gli Stati Uniti devono condurre un attacco chirurgico contro le installazioni nucleari iraniane, assorbire l’inevitabile ritorsione e quindi tentare rapidamente di evitare l’escalation della crisi. Affrontare subito questa minaccia eviterà agli Usa di affrontare una situazione assai più pericolosa in futuro”.

●La stessa questione siriana, del resto, sembra avere una finalità più rivolta all’Iran ed al Libano che non all’obiettivo di abbattere Assad. I sintomi sono tanti: il rapimento di tecnici iraniani ospitati nel paese; lo spostamento di alcune unità americane ritirate dall’Iraq in prossimità della frontiera giordana che fronteggia il sud della Siria; la pressione militare turca da nord sul regime di Damasco. Caduto il regime di Assad in Siria, l’Iran si troverebbe completamente isolato e circondato da Paesi in grado di ospitare forze militari ostili.

●L’Iran, per parte sua, proprio negli ultimi giorni, sta concentrando le proprie mosse dimostrative politico-miliari sul golfo di Ormuz, quasi a richiamare l’attenzione mondiale su l’effetto ritenuto più immediato di un’eventuale crisi militare nel Golfo, la possibile interruzione del flusso del petrolio, in un momento in cui la crisi economica mondiale è drammatica. l’Iran ha infatti svolto delle esercitazioni navali, che se all’inizio potevano sembrare modeste e propagandistiche con il 1° gennaio 2012 e il lancio di missili a lunga gittata forniti di una tecnologia altamente avanzata tecnicamente nell’area dello stretto di Ormuz, hanno dimostrato che l’Iran è realmente capace e potente militarmente. Per cui se gli Usa decidessero di imporre sanzioni, che minaccino di impedire le esportazioni petrolifere iraniane la guerra diverrebbe sempre più probabile e vicina. Non è facile stabilire quanto la nuova posizione americana intenda semplicemente accrescere la pressione politica sull’Iran e quanto essa preluda invece realmente all’opzione militare.

●Lo Stato ebraico ha tutto l’interesse a che siano gli Usa a incaricarsi dell’eliminazione dell’ultimo possibile avversario, ma non intende aspettare ancora molto prima di colpire, sapendo di essere perfettamente in grado di farlo; gli Stati Uniti devono valutare fino a che punto il proprio impegno diretto in Iran consentirà poi loro davvero di controllare, in un eventuale Medio Oriente normalizzato, l’ambizioso alleato sionista. Molto probabilmente il solo reale beneficiario di un attacco militare contro l’Iran sarà lo Stato ebraico, che, regnando sul Medio Oriente come unica, incontrastabile potenza economica politica e militare, sarà pronto a risolvere in modo definitivo non solo ‘geografico’ ma anche ‘fisico’ il problema palestinese.

In ogni caso, l’unica certezza è che la pace resterà ancora molto lontana e la guerra si avvicinerà sempre più[5].

d. CURZIO NITOGLIA

2 GENNAIO 2012

http://www.doncurzionitoglia.com/ormuz_nuova_danzica.htm

[1] Cfr. Aldo Giannuli www.cadoinpiedi.it/, 29 dicembre.

[2] Robert Wenzel, www.economicpolicyjournal.com, 28.12.2011.

[3] Analista militare della Cia nel 2004; poi come membro del famoso Policy Planning Staff, l’ufficio di pianificazione politica del ministero della difesa nel 2005; quindi membro del già citato Council of Foreign Relations, il più importante think-tank di politica internazionale statunitense, nel quale ha più volte rivestito il ruolo di consigliere; infine, dal 2010 al luglio 2011, consigliere speciale del ministro della Difesa Usa per lo sviluppo e l’attuazione della politica e la strategia di difesa americane in Medio Oriente.

[4] M. Kroenig, “Time to Attack Iran”, Foreign Affairs, vol. 91, n. 1, p. 76-86.

[5] Giacomo Colonna, Medio Oriente senza pace, Edilibri, Milano, 2009, Clarissa [scheda fonte], 29/12/2011.d. CURZIO NITOGLIA – 2 GENNAIO 2012 – Doncurzionitoglia.com
http://terrasantalibera.wordpress.com/2012/01/03/ormuz-una-nuova-danzica/

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