L'UE VUOLE SANZIONARE BUDAPEST MA ORBAN "SE NE FREGA"!

È rottura tra Budapest e Bruxelles. L’Europa ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Ungheria chiedendo di modificare alcuni aspetti della Costituzione in vigore dal primo gennaio, come l’indipendenza della Banca centrale, l’autonomia della magistratura e il garante della privacy, pena la non riattivazione del prestito Ue-Fmi. L’ala di sinistra del Parlamento di Strasburgo chiede la sospensione dei diritti dello Stato magiaro come membro dell’Ue, mentre in patria Orban cerca di minimizzare i rilievi europei a mere questioni tecniche e tira dritto.
Da Linkiesta
L’Ungheria e l’Europa. La partita corre lungo due binari. Nei giorni scorsi la Commissione ha aperto una procedura d’infrazione contro Budapest, esortando il governo magiaro, guidato dal discusso Viktor Orban, a rettificare le norme costituzionali entrate in vigore il primo gennaio. Violano ordinamento e principi comunitari: così si sono pronunciati Barroso e i commissari. Gli interventi richiesti sono tre. Il primo riguarda l’indipendenza della Banca centrale,
il secondo concerne l’autonomia della magistratura, il terzo quella dell’autorità garante della privacy. Orban deve uniformarsi entro trenta giorni, pena il deferimento dell’Ungheria alla Corte di giustizia europea e una conseguente sanzione finanziaria molto pesante. Nonché una figuraccia epocale.


Ancora più netto l’approccio dei gruppi liberale, socialista, verde e di sinistra dell’Europarlamento, dove Orban s’è recato mercoledì, partecipando al dibattito sulla situazione in corso in Ungheria e cercando di spiegare che la Costituzione e le nuove leggi approvate dalla schiacciante maggioranza della Fidesz (il suo partito) non comportano un’emergenza democratica, come i più sostengono. Ma non ha convinto l’ala progressista dell’emiciclo, che ha invocato l’applicazione dell’articolo 7 del Trattato Ue. Ci sarebbero i numeri, a quanto pare, affinché a Strasburgo possa formarsi una maggioranza intorno a tale ipotesi, votandola.


La palla passerebbe poi al Consiglio europeo che, se dovesse vidimare il pronunciamento parlamentare con una maggioranza qualificata, attiverebbe la sospensione di una parte dei diritti che spettano all’Ungheria sulla base della membership europea, incluso l’esercizio del voto in seno allo stesso Consiglio. Era dai tempi dell’ingresso di Jorg Haider nel governo austriaco, correva l’anno 2000, che non si pensava a una simile misura. L’Ungheria, se si dovesse andare fino in fondo, sconterebbe una forma d’isolamento che potrebbe devastare la sua già traballante immagine e portare, chissà, alla caduta dell’esecutivo (Haider comunque restò nelle stanze dei bottoni). 


Pare tuttavia difficile che “l’opzione nucleare”, così i giuristi definiscono l’articolo 7, possa avere sbocchi concreti. Diverse le ragioni. Innanzitutto, come spiegava in questi giorni il Financial Times, è improbabile che il Consiglio raggiunga una maggioranza qualificata. È che verrebbe a crearsi un altro precedente, dopo quello del 2000, che potrebbe avere ricadute laddove, in Europa, il gioco dei numeri dovesse condurre in futuro alla nascita di alleanze governative che registreranno la presenza di forze politiche dal pedigree non proprio impeccabile. L’altro ostacolo riguarda i tempi.


Il voto del Parlamento europeo sull’articolo 7 e quello eventuale del Consiglio possono richiedere mesi. Orban ha dunque tutto il tempo di conformarsi alle richieste della Commissione – ci sentiamo di dire con quasi assoluta certezza che lo farà – e di archiviare la pratica della procedura d’infrazione. Così facendo spera di salvare la faccia e lasciare che l’opzione nucleare venga a cadere. 


Come si traduce tutto questo sul piano della politica domestica ungherese? Sulla carta la richiesta di emendare la Costituzione, che la Commissione vincola alla riattivazione del prestito dell’Fmi e dell’Ue (Budapest non può farne a meno), procura a “Viktator” una bruciante sconfitta. L’uomo forte di Budapest dovrebbe ritoccare una Costituzione voluta a tutti i costi e che sancisce, stando alla sua visione, la rinascita della nazione magiara, tagliando altresì i ponti con una transizione che ha dato a post-comunisti e “predatori” stranieri spazi di manovra eccessivi.


Sarebbe inoltre costretto a fare marcia indietro in economia. Il rinnovo del prestito Fmi-Ue, a cui Orban rinunciò dopo la vittoria elettorale del 2010, equivale a una sonora bocciatura della politica “non ortodossa” (ristatalizzazione dei fondi pensione e maxitasse su banche, supermercati e telefonia a trazione internazionale), squadernata nella convinzione che l’Ungheria potesse farcela da sola a superare una crisi che, sulle sponde del Danubio, ha avuto risvolti serissimi. 


Il paradosso, però, è che Orban potrebbe declinare a suo vantaggio le rogne con l’Ue, rilanciando la sua immagine. Ecco come. L’uomo forte di Budapest, ricorrendo a toni docili e sostenuto dal Ppe, ha cercato di depotenziare gli aspetti politici della faccenda, facendo passare il “giallo” sventolatogli in faccia dalla Commissione come una questione squisitamente tecnica, alla quale si può rispondere senza problemi e senza che l’impianto costituzionale e il suo progetto politico subisca scossoni. Orban parlava ai deputati europei, ma si rivolgeva al contempo ai propri connazionali. È come se gli avesse detto: “Vedete, ci chiedono solo piccoli accorgimenti. Nulla di particolarmente grave”. 


A questo approccio soft se ne affianca uno hard. I membri della maggioranza stanno denunciando l’attacco senza precedenti all’Ungheria, la congiura delle sinistre internazionali, l’intromissione negli affari interni di una nazione sovrana. L’obiettivo, almeno così sembra, è cavalcare la sindrome dell’accerchiamento e sollecitare l’orgoglio nazionale, così da recuperare quei consensi che, negli ultimi mesi, si sono erosi drasticamente. Resta da vedere se questa campagna sortirà gli effetti sperati.

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