Il reato di “negazione del genocidio armeno”

Con l’approvazione del Senato francese, la cultura del divieto globale, che accompagna mirabilmente il gioco delle trasgressioni ammesse, ha fatto un altro passo in avanti.

Da un paio di giorni, infatti, la Francia ha introdotto il reato di “negazione del genocidio armeno“.

La legge in realtà si chiama “trasposizione del diritto comunitario sulla lotta al razzismo e per la repressione della contestazione dell’esistenza del genocidio armeno“, una maniera interessante di scaricare le colpe: si starebbe solo applicando una direttiva europea, che però non esiste, almeno sotto questa forma (si fa riferimento al Trattato di Lisbona, che chiede di reprimere i delitti a sfondo razziale).

La legge ha due palesi motivazioni.

La prima, un tentativo di Sarkozy di ottenere i voti della numerosa e solida comunità armena.

La seconda si lega a un tipico meccanismo del liberalismo, che in fondo è solo un doppio politico della concorrenza tra imprese economiche. Un sistema che ottiene consenso facendo credere che tutti possano vincere alla lotteria. Perciò, appena si regala un privilegio a qualcuno, ci si trova a fare i conti con gli esclusi.

Così in Italia, per motivi politici, è necessario concedere determinati privilegi molto discutibili alla Chiesa cattolica. Per azzittire le proteste degli esclusi, si stipulano poi “intese” con tutti i concorrenti della stessa Chiesa, che tanto contano poco.

Allo stesso modo, l’introduzione, in diversi paesi, di pene carcerarie per chi “nega” il genocidio degli ebrei nella Seconda guerra mondiale viene vista da molti come un indebito privilegio per la comunità ebraica.

Certo, questo mito fa comodo oggi anche allo Stato d’Israele, per cui molti tendono a vedere nella repressione del negazionismo/revisionismo un privilegio ingiustificato per gli ebrei e lo Stato ebraico; e qualcuno ci vede anche una prova tangibile del controllo ebraico sul mondo.

In realtà, come documenta Idith Zertal (in Israele e la Shoah), lo Stato d’Israele nasce nella negazione dell’Olocausto, se vogliamo usare questi termini pittoreschi. Nella misura in cui la retorica ufficiale ne parlava, era per esaltare la superiorità dei sionisti rispetto alle pecore che si sarebbero lasciate condurre al macello. Fu solo dopo il processo Eichmann, e ancora di più dopo il 1967, che nacque quella che Jacob Neusner, in Judaism: The Basics, chiama “il mito dell’Olocausto e della Redenzione“, cioè il sacrificio in croce del popolo ebraico seguito dalla resurrezione sotto forma di potenza nucleare mediorientale. Una religione, sottolinea Neusner, molto più facile e divertente da praticare del giudaismo tradizionale.

Io ritengo che la questione sia ben più ampia, e debba relativamente poco agli sforzi delle organizzazioni comunitarie ebraiche.

La trasformazione del genocidio ebraico in religione civile dell’Occidente deriva soprattutto dal bisogno del dominio di crearsi un proprio mito fondante, che giustifichi l’Eterna Vigilanza della NATO sul pianeta. Un mito che ha il vantaggio di proporsi un nemico defunto da quasi settant’anni, cioè il “nazismo”, che ognuno poi può definire secondo le proprie esigenze (il commentatore Moi ha scovato un certo Angry Harry che trova ben trenta punti in comune tra il nazismo e il femminismo). Un mito, poi, che riesce a inglobare la generale esaltazione del vittimismo che caratterizza i nostri tempi, e a cooptare anche la sinistra, che confonde la religione civile dell’Olocausto con l’antifascismo.[1]

In questo contesto, le pene carcerarie non servono per frenare un’irrilevante critica revisionista/negazionista, ma per ammantare di sacro terrore il dominio.[2]

Comunque, la contraddizione tra liberalismo universale e privilegio esiste, e ne nasce un gioco di conflitti e di concessioni molto complesso.

Alcuni anni fa, Tova Reich, moglie del primo direttore del Museo dell’Olocausto a Washington, ha scritto un romanzo geniale e feroce, Il mio Olocausto, che analizza meglio di mille saggi la costruzione della religione civile dell’Olocausto e i conflitti per il posto di Vittima Giudicante.[3]

La soluzione più semplice consiste nell’estendere il privilegio di vittimismo ad altre comunità di scarso peso politico: è ormai di moda trascinare qualche Rom a fare la faccia compunta durante le celebrazioni della Giornata della Memoria.

In Francia, il paese che ha inventato la polizia moderna, lo stato securitario e la ghigliottina, il privilegio non consiste solo nel poter essere celebrati come vittime; ma nel poter attivamente far finire in galera chi non ci piace.

Dopo vent’anni, e tra molte esitazioni e conflitti, questo privilegio è stato concesso alla comunità armena, anche se nessuno oggi pensa all’Impero ottomano, a parte qualche islamofobo.

Su questa questione, metto in chiaro come la penso.

Confesso subito una simpatia irrazionale per tutte le antiche culture di frontiera tra Trieste e l’Eufrate e per il cristianesimo orientale, e quindi – per semplificare brutalmente – gli armeni mi piacciono.

Più seriamente, credo che i grandi massacri degli armeni durante la Prima guerra mondiale siano stati un elemento fondante per ciò che successe poco dopo: il reciproco massacro  di greci e turchi provocato dall’invasione greca dell’Anatolia. Il Trattato di Lausanne che ha organizzato la successiva deportazione dei cristiani in Grecia e dei musulmani in Turchia è stato poi il precedente esplicitamente richiamato per tutte le grandi deportazioni e “scambi di popolazione” successive che hanno distrutto la natura varia e ricca dell’Europa orientale e poi del Vicino Oriente.

Per quanto riguarda le leggi turche che puniscono come eversiva della mitologia nazionale, ogni affermazione del genocidio armeno, penso che siano leggi di stampo francese, e ho detto tutto.

Ciò non toglie il fatto che ci fosse una spiegazione logica – non una giustificazione morale – per i massacri: gli armeni in gran parte tifavano per gli eserciti russi che stavano invadendo l’impero ottomano, e furono considerati quindi nemici interni, come gli statunitensi avrebbero considerato i propri cittadini giapponesi durante la Seconda guerra mondiale. Anche le cose più sgradevoli, nella storia, hanno cause.

La legge che in Francia punisce la negazione del genocidio ebraico assume almeno una precisa definizione: è vietato mettere in dubbio le affermazioni del tribunale di Norimberga. Nel caso del massacro degli armeni, non viene precisato alcun criterio. Finisco in galera se dico che nessun armeno è mai stato ucciso da un turco (o da un curdo), oppure anche se accenno al piccolo particolare che erano in corso all’epoca una guerra mondiale e una (parziale) insurrezione armata armena? Oppure è tutta una questione di parole: devo dire sempre genocidio, termine coniato da Raphael Lemkin trent’anni dopo il massacro? Sono cose che gli imputati sapranno solo alla fine del processo.

Ma c’è un problema ben più serio: mentre dei nazisti si può dire tutto il male che si vuole, tanto esistono solo nei film, il genocidio armeno tocca il mito fondante della Turchia moderna.

Anche concretamente: Mustafa Kemal Atatürk ha costruito un grande ceto medio imprenditoriale/militare etnicamente turco, impossessandosi dei beni di armeni e greci e passandoli ai suoi amici. Ogni laicista turco siede sulle ricchezze espropriate a qualche minoranza.

Questo permette al nuovo ceto sociale arrivato al potere con Recep Tayyip Erdoğan di trattare in maniera assai più rispettosa armeni e greci; però la critica al trattamento turco degli armeni comunque pone in discussione l’unità del paese fondato in quegli anni e quindi il presidente della Turchia deve in qualche modo reagire a un attacco non provocato.

Litigare gratuitamente con la Turchia e la sua crescente potenza economica, per conto della piccola comunità armena, deve essere sembrata una mossa poco astuta alla commissione del Senato francese che ha addirittura bocciato la proposta di legge.  La commissione

“si è a lungo interrogata sulla legittimità dell’intervento del legislatore nel campo della Storia – ritenendo che l’adozione di risoluzioni e l’organizzazione di commemorazioni costituirebbero probabilmente dei mezzi più adatti pe esprimere la solidarietà della Nazione con le sofferenze subite dalle vittime.

La commissione ha ritenuto che la creazione di un reato penale di negazione o di grossolana minimizzazione dei genocidi riconosciuti dalla legge correrebbe un forte rischio di essere in contraddizione con diversi principi riconosciuti dalla nostra Costituzione – in particolare il principio della legalità dei delitti e delle pene, il principio della libertà di opinione e di espressione e il principio della libertà di ricerca”.

La legge però è stata ugualmente presentata e, come abbiamo visto, è anche passata.

Durante la discussione, il senatore Patrick Devedjian ha spiegato le  proprie ragioni. Che meritano di essere riportate per la loro fantastica inconsistenza. Rispondendo a un critico, dichiara

“Il nostro collega dimentica che i cittadini francesi di origine armena continuano a subire la propaganda negazionista sviluppata da uno Stato straniero sul territorio nazionale, e che li prende di mira specificamente. Io rivendico la protezione della Repubblica contro questa insopportabile aggressione morale. Si trovano, su Internet, dei siti alimentati dal governo turco. Certe società di comunicazione, in Francia, godono di contratti molto remunerativi per sviluppare la propaganda negazionista. Sarebbe piuttosto ingenuo negare ogni discriminazione: una categoria di cittadini francesi subisce certamente una forma di continuità nella persecuzione“.

Secondo la società Netcraft, ci sarebbero attualmente 366.846.493 siti web in attività sul nostro pianeta. Su qualche decina di questi siti, ospitati chi sa dove, c’è qualcuno che afferma  una versione dei massacri di (quasi) un secolo fa, che non coincide con quella sostenuta dal signor Devedjian. Massacri che forse hanno riguardato qualche lontano antenato o parente del signor Devedjian. Se lui si sente perseguitato, basterebbe un clic o una breve seduta di psicanalisi.

“Io però sono sensibile al discorso degli storici, e non sarei contrario a un emendamento che escludesse ogni possibilità di processi contro i lavori a carattere storico o scientifico”

aggiunge Devedjian, ma non ci risulta che tale sacrosanto emendamento sia stato introdotto. E qui il relatore dà il meglio di sé:

“Uno storico può scrivere ciò che pensa a patto che lo faccia con moderazione. Ma gli può succedere di lasciarsi trasportare dalla passione: così io, come avvocato, ho fatto condannare in un processo civile Bernard Lewis – che pure è un grande storico e islamologo – per aver dichiarato che il genocidio armeno era la versione armena della storia”.

Più galera per tutti!

Preferisco ricordare il massacro degli armeni (diremmo anche genocidio, ma non se ce lo chiede Sarkozy) con la canzone dedicata alla ragazza armena, Goulo (Gülo) cantata da Lilit Pipoyan.

La canzone è cantata in lingua curda, per cui ho dovuto tradurre il testo da una traduzione in turco: ed è significativo che un turco abbia voluto tradurlo. Alcuni concetti poco chiari sono probabilmente dovuti proprio a questa doppia traduzione. Ho messo in fila il testo in curdo, la traduzione turca e la mia traduzione in italiano.http://www.ariannaeditrice.it/scheda_fonte.php?id=66





di Miguel Martinez

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