C’era una volta l’Inghilterra, paese svenduto alla finanza

Nel giorno più violento delle rivolte dell’estate scorsa, la borsa di Londra è crollata ai minimi dell’anno. Poco dopo la fine dei riots si è venuto a sapere che il 20 per cento dei britannici tra i sedici e i ventiquattro anni è senza lavoro e che il 2011 sarebbe stato l’anno con il numero più alto mai registrato di candidati non ammessi all’università. Cameron ha parlato del “lento declino morale” della Gran Bretagna, riprendendo un’espressione più volte usata quando era all’opposizione: broken Britain, un paese in pezzi. I problemi del paese sono particolari: particolarmente seri, particolarmente fastidiosi e particolarmente indecenti. Il paese che si autodefinisce “Cool Britannia” è diventato avido, ossessionato dall’affarismo, xenofobo, bellicoso e arrogante.

Gli stranieri che arrivano in Gran Bretagna cominciano a rendersi conto di questa decomposizione della società già all’aeroporto di Heathrow, a Londra rivolta 2011Londra, uno dei più importanti del mondo ma anche il più fatiscente. Un’infrastruttura così inefficiente che nel dicembre 2010 ha chiuso per quattro giorni dopo una leggera nevicata: mancavano gli sbrinatori per gli aerei. Agli stranieri può essere piaciuto lo show del matrimonio reale in tv, anche se non sapevano (o magari hanno preferito dimenticare) che qualche anno fa il principe William aveva accompagnato a una festa in maschera suo fratello Harry vestito in divisa nazista. “Sono ragazzate”, aveva commentato la gente allora.
Gli americani possono anche pensare che Londra sia un fedele alleato in Iraq, in Afghanistan e nella guerra al terrorismo, ma ignorano il fatto che il pretesto usato per giustificare questi interventi, cioè il dossier presentato da Blair nel 2003, era stato manipolato ad arte.
Gli americani dovranno anche sorvolare sul fatto che laguerra al terrorismo è stata poi improvvisamente sospesa quando altre urgenze hanno fatto sì che Abdel Basset Ali Mohmed al Megrahi, l’attentatore libico del volo Pan Am 103, esploso sulla cittadina scozzese di Lockerbie nel 1988, venisse liberato per far piacere al colonnello Gheddafi, con cui Blair era in ottimi rapporti. Nello stesso periodo – che coincidenza! – la Libia stava per siglare un importante contratto con la compagnia petrolifera britannica Bp. “La giustizia piegata agli interessi Tony Blaireconomici”: così il senato statunitense avrebbe successivamente descritto il rilascio di Al Megrahi.
Una definizione che sembra adattarsi bene agli affari della Gran Bretagna di oggi, un paese ormai in vendita, a prezzi stracciati, a chiunque abbia soldi da spendere. Nessun’altra nazione al mondo permette che le decisioni cruciali per la suaeconomia siano prese all’estero. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. La Renault è controllata dai francesi, la Fiat è italiana. La Jaguar e la Land Rover, invece, sono indiane, la Vauxhall è americana e la Rolls-Royce è tedesca. Ferrero Rocher è un cioccolatino italiano, mentre le barrette Cadbury sono di proprietà statunitense. I magazzini Harrods sono del Qatar. Perfino il passatempo preferito di un’intera nazione è stato svenduto all’estero: mentre la Juventus e il Milan sono di proprietà italiana e il Barcellona e il Real Madrid sono controllati addirittura dai loro tifosi, il Manchester United e il Liverpool sono statunitensi, il Chelsea è russo e l’Arsenal se lo dividono un americano e un russo-uzbeco.
L’intero settore industriale britannico è in dismissione. Il suo declino, però, viene mascherato da una sfilza di slogan pubblicitari. “Looking after your world” (Ci prendiamo cura del tuo mondo) è lo spot scelto dalla British Gas. Quello della British Telecom è “Bringing it all together for London 2012” (Uniamo il paese per Londra 2012), mentre la polizia della capitale ha scelto “Working together for a safer London” (Lavoriamo insieme per una Londra più sicura). Dietro questi stupidi slogan, una miscela di avidità, incompetenza e autoritarismo sta trasformando la Gran Bretagna in un paese David Cameronnon solo inefficiente ma anche invivibile. Un paese che ormai ha perso le sue proverbiali buone maniere e che si fonda sull’opportunismo e sul gossip.
È difficile dire quando e perché la società britannica ha cominciato a decomporsi. Ma alcune risposte si possono trovare nello smantellamento del settore industriale e nella perdita di coesione e del senso di comunità che quel mondo si portava dietro. La scomparsa delle fabbriche e del loro tessuto sociale si è consumata tra gli anni ottanta e novanta, parallelamente alla privatizzazione senza scrupoli delle infrastrutture e dei servizi pubblici, che un tempo non erano considerati come semplici opportunità di speculazione. Le industrie tradizionali sono state sostituite dalle imprese di servizi e commercio, e in particolare da un settore: la finanza.
In questo modo l’economia ha finito per dipendere dai capricci e dagli interessi delle grandi banche. La Gran Bretagna moderna è plasmata dalla City di Londra, dai suoi valori e dal suo denaro. Tutto questo è evidente se si considera la prostituzione della politica nei confronti della finanza, che si è manifestata, per esempio, nell’uso del denaro dei contribuenti per salvare le banche. Di recente, inoltre, è diventata quasi una regola che i membri del governo lascino i loro incarichi per diventare consulenti di quegli stessi Gordon Brownistituti. La società britannica si ispira sempre di più all’avidità delle grandi banche.
Inizialmente si pensava che la dipendenza del paese nei confronti della finanzaglobale potesse generare effetti benefici per tutta l’economia. Invece alla fine sono stati i soldi dei contribuenti, decine di miliardi di sterline, a salvare le istituzioni che avevano messo in crisi l’economia britannica. Quando il premier Gordon Brown ha detto al parlamento che il bailout delle banche era servito a “salvare il mondo”, ha anche specificato che dopo l’intervento pubblico i britannici avrebbero controllato la Royal Bank of Scotland e le sue associate. Ma dopo averci trascinato sulla soglia del baratro e dopo essere state tenute a galla con i soldi dei cittadini, le banche e le compagnie di assicurazioni nel 2011 hanno distribuito ai loro manager premi per 14 miliardi di sterline.
Uno dei pochi esperti di finanza a parlare senza peli sulla lingua è Martin Woods, un ex detective antitruffa della National crime squad (una sorta di Fbi britannica) che si occupa di riciclaggio di denaro. Woods sottolinea che “una delle principali conseguenze della dipendenza dell’economia dalle banche è stata la trasformazione della geografia delle opportunità. Durante l’era industriale le occasioni di successo nel campo degli affari e dell’industria erano disseminate in tutto il paese. Oggi il denaro vero, quello John Majorche conta, si trova a Londra. La centralità della capitale e dello spirito che la contraddistingue è ancor più evidente di quanto immaginino i britannici”.
Nel 1990 ho lasciato la Gran Bretagna e sono rimasto lontano dal paese per quasi tredici anni. Sono partito poche settimane prima che Margaret Thatcher fosse sostitui­ta da John Major. Secondo i sostenitori della Lady di ferro, il paese era riuscito a scacciare lo spettro del socialismo, mentre i laburisti accusavano l’ex premier di aver distrutto l’“officina del mondo”, come la Gran Bretagna è stata conosciuta per più di un secolo. La Thatcher ha sempre insistito su un punto: “La società non esiste”. Forse la decomposizione è cominciata da qui. È stata la Thatcher ad avviare le privatizzazioni, svendendo le risorse della nazione a una nuova oligarchia di azionisti. Un esperimento che ha allargato i confini del libero mercato, sostengono i suoi ammiratori. Secondo i suoi avversari, invece, è stata la trasformazione del paese in una terra desolata, in cui le strutture del vivere civile sono state annichilite e sostituite dall’egoismo e dall’avidità.
Sono tornato in Gran Bretagna nel 1995, ma sono partito di nuovo il giorno in cui Tony Blair ha stravinto le elezioni, nel 1997. Per i suoi sostenitori, con Blair cominciava una nuova era dopo la lunga notte del governo conservatore. Chi non lo aveva votato, me compreso, pensava invece che il nuovo premier fosse il successore naturale di Margaret Thatcher. Nel 2003 sono tornato oltremanica in pianta stabile e, dopo sei anni di governo Blair, ho trovato una nazione più malata di tredici anni prima. Certo, qualcosa è andato perso nel 1985, nel sesto anno del governo Thatcher, quando l’ex premier Harold Macmillan, un conservatore che aveva guidato il paese durante il boom economico del dopoguerra, paragonò il programma di privatizzazioni di Thatcher alla vendita dell’argenteria di famiglia: “Prima Harold Macmillanscompare l’argenteria georgiana, poi tutti i bei mobili che adornano il salotto. Infine tocca ai quadri di Canaletto”.
Macmillan avrebbe poi dichiarato che le sue critiche erano dirette “all’uso delle immense somme ricavate con le privatizzazioni”, ma il termine “argenteria di famiglia” è diventato così comune che è tornato di moda perfino negli ultimi dibattiti sul salvataggio alla Grecia. Quanto è arcaica, ma ancora affascinante alle orecchie dei britannici, questa lista di nomi: National Coal Board, British Rail, Gas Board, Water Board. Sono i nomi delle aziende di Stato che gestivano i più importanti servizi pubblici. Spesso si sono dimostrate inefficienti, ma erano comunque amministrate da persone che sapevano quel che facevano, preoccupate non solo dei dividendi degli azionisti, ma soprattutto di offrire un servizio ai cittadini: acqua, riscaldamento, illuminazione, ferrovie.
Le privatizzazioni hanno fatto comodo ai protagonisti della svendita dell’“argenteria di famiglia”. Nel 1995 i dirigenti delle aziende di servizi pubblici guadagnavano molto più di quanto avrebbero guadagnato se le compagnie fossero rimaste in mano allo stato. Nel frattempo erano stati tagliati 150mila posti di lavoro. La sfacciataggine dei privati che gestiscono questi servizi continua a stupire. Di recente due grandi fornitori di energia, la Scottish Power e la British Gas, hanno aumentato le tariffe del 19 e del 18 per cento. Due settimane dopo la British Gas – la compagnia che “si prende cura del tuo mondo” – ha annunciato profitti per quasi tre milioni di sterline al giorno. Molte di queste aziende sono state inglobate dalle imprese pubbliche di Francia e Germania, che sfruttano le loro attività in GranMargaret ThatcherBretagna per abbassare le tariffe in patria. Ma a noi cittadini spiegano che tutto questo è per il bene dei consumatori.
La situazione attuale della Gran Bretagna è figlia in gran parte degli anni del governo Blair. Nel 2007, dopo un decennio di dominio laburista, uno studio dell’Unicef ha messo la Gran Bretagna in fondo alla classifica sulla qualità della vita dei bambini nei paesi sviluppati. I bambini britannici erano all’ultimo posto per “benessere soggettivo”, relazioni familiari e interpersonali, ma primi in classifica per quanto riguarda i “rischi comportamentali”, che includono bullismo e uso di droghe e alcol: fenomeni usuali, che ogni sabato sera trasformano i centri delle città inglesi in una baraonda di vomito e risse. Il governo ha cercato di sdrammatizzare: “In molti casi i dati dello studio risalgono a diversi anni fa e non tengono conto dei progressi recenti”, ha dichiarato una portavoce dell’esecutivo con il solito linguaggio intriso di arroganza a cui siamo abituati.
Nel frattempo, parlando di cose concrete, nell’ottobre 2007 gli amministratori delegati dell’Ftse 100, l’indice delle cento società più capitalizzate della borsa di Londra, avevano raddoppiato in sei anni i guadagni, totalizzando un reddito medio di 3,17 milioni di sterline all’anno. Nel maggio 2009, dopo dieci anni di governo Blair e due di governo Brown, il divario tra i ricchi e i poveri in Gran Bretagna ha raggiunto livelli mai visti, almeno da quando ci sono dati statistici ufficiali, cioè dai primi anni sessanta. Secondo il ministero del lavoro la diseguaglianza era cresciuta per il terzo anno di fila, e il numero di bambini e anziani poveri non era diminuito. Sono solo dati, ma l’atteggiamento del governo lo si poteva capire facilmente dalle dichiarazioni dei leader politici, tra cui Peter Londra Mandelson, uno dei consiglieri più fidati di Tony Blair, che aveva dichiarato di non aver “nulla in contrario al fatto che qualcuno diventi schifosamente ricco”.
Perfino Margaret Thatcher aveva tenuto alcuni settori, come le ferrovie, al riparo dalla logica del profitto. Ma con l’arrivo del suo successore, John Major, anche la British Rail è stata privatizzata per un tozzo di pane. ùIl costo di quest’operazione ha avuto immediatamente ripercussioni negative sulla sicurezza, le tariffe per i cittadini e i costi di gestione. Le conseguenze della privatizzazione sono evidenti a chiunque viaggi sui treni britannici, i più costosi ma anche i peggiori d’Europa. Le compagnie ferroviarie che guadagnano una fortuna in cambio di servizi scadenti hanno slogan come “Trasformiamo il tuo viaggio” (la First Great Western). Non c’è dubbio che ci siano riusciti.
Il Partito laburista ha perseverato in una campagna di privatizzazioni che i conservatori non si sarebbero nemmeno sognati di intraprendere. Un esempio è la svendita delle linee della metropolitana di Londra a vari consorzi, nell’ambito di quello che è stato chiamato “partenariato pubblico-privato”. Il risultato? Mentre i cittadini di Parigi, Madrid, Berlino, Vienna e Stoccolma sfrecciano su treni di metropolitane economiche, silenziose, pubbliche e ben amministrate, i londinesi viaggiano in totale confusione e pagando prezzi esorbitanti, mentre gli altoparlanti strombazzano inutili annunci pubblicitari. I dati pubblicati nel giugno 2011 dimostrano che i Ed Vulliamyritardi della metropolitana londinese costano a ogni passeggero l’equivalente di tre giorni di lavoro all’anno in termini di tempo.
La privatizzazione della metropolitana di Londra è stata voluta in particolare da Gordon Brown, che l’ha definita “un’operazione a rischio zero” per portare liquidità nelle casse dello stato. Dopo essere stato per dieci anni cancelliere dello scacchiere, cioè ministro delle finanze, nel 2007 Brown è diventato premier. Il suo governo sarà ricordato soprattutto per il salvataggio dellebanche, costato una cifra fantasmagorica: 850 miliardi di sterline. Ma forse la mossa che definisce meglio il suo profilo politico è la vendita di metà delle riserve auree della Gran Bretagna, effettuata in diciassette aste dal 1999 al 2002, per la cifra di 3,5 miliardi di dollari. Poco tempo dopo il valore dell’oro è schizzato alle stelle.
Né l’autoritarismo di Tony Blair né le promesse di combatterlo fatte da Cameron sono una vera novità. Quando i leader politici britannici affermano di essere diversi dai loro avversari stanno solo recitando. Cameron ha ricominciato dove Blair aveva lasciato: ha dato alla polizia il potere di vietare ai cittadini di coprirsi il volto con il cappuccio della felpa. Dieci giorni dopo le peggiori rivolte degli ultimi decenni, a fine agosto, la polizia era di nuovo nell’occhio del ciclone per aver strappato dalla sedia a rotelle e trascinato per strada uno studente disabile che protestava. Senza contare la morte di tre persone colpite con il taser. Nicolas Robinson, il ragazzo del sud di Londra condannato per aver rubato una bottiglia di acqua minerale, stava cominciando a scontare la pena, mentre Cameron tornava dalla sua ultima vacanza, la quinta del 2011. Forse tocca a noi provare a capire “cosa non è andato per il verso giusto”.
(Ed Vulliamy, estratti da “Il tramonto dell’Inghilterra”, ampio reportage pubblicato da “Harper’s Magazine”, ripreso da “Internazionale” e “Micromega”, con traduzione di Antonello Guerra).

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