il guf della patria

Napolitano: il guf della patria
di Gianni Petrosillo - 22/12/2011

Fonte: Conflitti e strategie [scheda fonte]
Il nostro Capo dello Stato, uomo di forti prìncipi ma di volubili princìpi, incoronato sovrano con il nome di Re Giorgio Svendi Terra, sangue blu, faccia tosta ed ex testarossa, nel suo discorso pre-natalizio ci ha tenuto a ribadire che con l’esecutivo tecnico da lui fortemente voluto non c’è stata nessuna sospensione della democrazia, nessuna coercizione nei confronti del Parlamento, nessuna sovrapposizione di ruoli o impropria ingerenza nelle funzioni degli organi eletti dal popolo. Excusatio non petita, accusatio manifesta, dicevano i latini.
E’ giunto persino ad affermare, il marxista divenuto formalista, che “la Costituzione non prescrive che i membri del governo, a cominciare dai ministri, debbano essere parlamentari e rappresentanti ufficiali dei partiti, debbano essere, come si usa dire, dei politici e non dei tecnici. Ma non persuade l’uso di quest’ultimo termine. Più semplicemente sono state chiamate da qualche settimana a far parte del governo persone politicamente indipendenti, che hanno accettato di porre al servizio del paese le competenze e le esperienze di cui sono portatrici“. E non pago del turlupinamento generale ha aggiunto: “Intervenire per far sì che in Italia non ci fosse un immediato scioglimento delle Camere e il ricorso alle urne, era un mio preciso dovere istituzionale”. Ma come, ci rintronano con la teoria della democrazia che la tirannia scaccia via e poi, senti senti il Presidente, cosa tira fuori dalla mente, quello che risulterebbe un preciso dovere istituzionale, quasi un obbligo per il Quirinale, ovvero tappare la bocca ai cittadini che vogliono votare? “Solo con grave leggerezza si può parlare di sospensione della democrazia, in un paese in cui nulla è stato scalfito“. E’ vero, nulla è stato scalfito perché non si può parlare di graffio quando il coltello entra nel corpo nazionale con tutto il manico. Così si esprime un vero garante delle ustioni, pardon delle istituzioni!

Ma Giorgio non è nuovo a queste stilettate. La democrazia non gli è mai piaciuta (e nemmeno a noi che non siamo ipocriti come lui ed abbiamo ben altre ragioni), ha sempre preferito la giustizia dei carrarmati al diritto dei popoli, oggi sapientemente celato dietro il dovere istituzionale di fare quello che gli pare. Ma si tratta, per lo più, di un invasamento degli ultimi decenni, di una infatuazione che da passeggera si è fatta stanziale a causa del crollo della casa famigliare, in via dei comunisti in fondo a sinistra, girando leggermente a destra, per vicolo dei miglioristi. Scorciatoia riconosciuta per una una rapida conversione. Un giorno Napolitano, tornando dagli States, capì che si trovava in una bottega oscura ché la diritta via era smarrita. Folgorato sulla via americana riparò sotto una quercia e decise di spogliarsi dei suoi consunti ideali appassiti come foglie. Così uccise il padre politico, rinnegò la madre ideologica e si ritrovò figliastro, insieme ad altri orfani, di un ramoscello d’ulivo. Non era tanto, ma dopo aver falciato per tutta la vita, si decise ad espiare seminando la zizzania di una diversa convinzione sociale più vicina al capitale. Tuttavia, non crediate che certe doti d’innesto e di trapianto di valori gli siano spuntate dal nulla come funghi, anche quando era comunista, nei momenti duri della lotta tra compagni, prendeva posizione soltanto quando era sicuro di non prenderle come gli altri, condendo i suoi ragionamenti di “luoghi comunisti”, più tardi divenuti semplicemente luoghi comuni. Fu il suo sodale di corrente, Napoleone Colajanni, ad incorniciarlo nella sua vera personalità descrivendolo come “un vile ed un cane da grembo”. Per la verità, prima ancora che cane da grembo Napolitano era stato Guf in fascio. Dopo il luglio ’43 però si aprì la caccia all’aquila imperiale e agli altri gufi reali. Giorgio afferrò la malaparata e si fece uccel di bosco rispuntando, fischiettando come un fringuello, nella foresta degli antifascisti dove diceva di essere sempre stato. Ad ogni modo, i vizi ornitologici sono duri a morire ed oggi il Presidente civetta con gli avvoltoi mondiali e fa il falco degli americani. In un Paese normale sarebbe stato già “cacciato”, invece, noi italiani allocchi, continuiamo a sorvolare. Finiremo impagliati e ce lo meritiamo.

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