VIDEO INTERVENTO SHOCK DI MONTI





LA GERMANIA COLONIZZATRICE, LO SPREAD, IL DEBITO PUBBLICO, 

E L’EURO CHE CI HA DISTRUTTI



Gli attacchi speculativi all'euro rafforzano il potere dei tedeschi in Europa. La Grecia è già caduta, schiacciata dal suo debito pubblico, mentre altri stati si stanno piegando lentamente ai diktat della Germania. Il fondo salva stati sarà operativo con i soldi in fuga verso i bund tedeschi



Un articolo a 4 mani,  a metà strada tra un dialogo ed una intervista, per cercare un punto di vista comune e condiviso sull’attuale situazione. A cura principalmente del curatore della sezione obbligazionaria qquebec, con alcuni interventi dell’editore diInvestireoggi, che qui si firma con il proprio nickname Argema.

 

qquebec – La Germania vuole dominare l’Europa.


Ormai il quadro è talmente chiaro che anche una persona inesperta di economia e finanza lo capirebbe. Sempre che non si faccia rimbambire dalla stampa e dalle televisioni, che continuano a dare la colpa unicamente al debito pubblico o ai governi che non hanno fatto niente per cercare di ridurlo. Il debito pubblico è stato aumentato già da un bel pezzo da diversi stati, quindi non solamente dall’Italia ma anche ad esempio dai primi della classe, gli USA (chi non ricorda il braccio di ferro sul rialzo del tetto del debito di pochi mesi fa?), quindi non è una novità, ma diventa un problema solo quando la crescita economica rallenta e si avvicina mediamente allo zero, come è accaduto da noi. Tuttavia non è l’apocalisse e non significa che non ci sia un rimedio. Anzi, le ricette per curare il male ci sono, basta solo applicarle, ammesso che lo si voglia veramente fare. Gli USA, che viaggiano su una lunghezza d’onda non diversa da quella europea in fatto di debito pubblico, hanno alzato l’asticella del tetto e magicamente per l’opinone pubblica hanno risolto parte del problema (resta lo scoglio della crescita, che deve essere sostenuta per contrastare l’aumentato debito pubblico, e dunque per tenere basso il loro rapporto debito/Gross Domestic Product). Ancor più interessante come esempio il Giappone, caso paradossale per chi lo conosce a fondo, convive col problema del debito statale da almeno 25 anni applicando tassi d’interesse a zero sul costo del denaro in una economia a stagflazione costante. Ma in Europa, e in Italia specialmente, la musica è diversa. Sembra che tutto il male si sia concentrato improvvisamente qui. Così ci hanno fatto credere, al punto che l’allarme sociale gonfiato a dismisura dai media e dalla stampa governativa si è trasformato in crisi irreversibile, così come ci avevano fatto credere il contrario dieci anni fa prima dell’esplosione della bolla internet e successivamente di quella immobiliare. Insomma, non si sa più a chi credere e a cosa pensare mentre i mercati sono in preda al panico.

 

qquebec – La colonizzazione tedesca comincia dalla Grecia


Ma quello che non ci dicono è che ciò che si sta consumando veramente in Europa, cioè è una sorta di guerra finanziaria con Berlino quartier generale e Francoforte (BCE) fronte operativo. Se ripercorriamo la storia europea degli ultimi secoli, non possiamo negare che la Germania sia  stata al centro delle più sanguinarie guerre europee, poi allargatesi al mondo intero. Tutte guerre che, già dai tempi di Bismark, avevano come scopo l’espansione e il dominio del popolo teutonico in Europa attraverso la conquista di territori, ricchezze, risorse e spazi commerciali. Sembra dunque esserci nella Germania uno storico desiderio di dominio. Allora gli strumenti di forza erano le armi e gli eserciti, oggi è l’euro. Cambia solo lo strumento di offesa, ma l’obiettivo è sempre quello. E il caso del salvataggio della Grecia è emblematico da questo punto di vista. Nel giugno del 1941 la Germania mandò i panzer ad Atene, adesso ci manda la BCE e gli ispettori con la valigetta piena di contratti capestro da imporre ai vinti che prevedono la cessione “volontaria” di importanti quote di aziende, banche e aree demaniali. Come la cessione del controllo della OTE, che gestisce la rete telefonica nazionale o dei porti e degli aeroporti. O la creazione di progetti di sviluppo, quali il recente Progetto Helios, varato dalla Germania, con la cortese collaborazione della Grecia che dovrà mettere a disposizione terreni demaniali dismessi sui quali i tedeschi realizzeranno i loro parchi fotovoltaici per importare quella energia che verrà a mancare con l’addio della Germania al nucleare. Ma gli esempi potrebbero essere tanti. In sostanza, però, la Grecia pagherà in parte i suoi debiti con il fotovoltaico.

qquebec – La moneta unica come “mezzo di distruzione di massa” 


La creazione della moneta unica, del resto, con trattamenti di cambio differenti da stato a stato in riferimento a quella che era nel 2001 la moneta nazionale più forte, cioè il marco tedesco, ha indebolito alcuni paesi rendendoli più vulnerabili all’inflaizone, al tempo stesso rafforzandone altri. L’Italia, paese fondatore dell’Unione Europea, è stata penalizzata sotto questo punto di vista più di altri, con un cambio a 1.936,27 lire per un euro e appesantendo col tempo e in maniera irreversibile quel rapporto debito pubblico/Pil che poteva essere regolato con una svalutazione monetaria della lira. Di fatto la Germania, il cui debito pubblico è al limite della sostenibilità (82% del Pil), ha dalla sua il fatto che l’euro non ha implicitamente svalutato la propria ricchezza, come invece è successo per l’Italia e maggiormente per la Grecia rendendo questi stati più vulnerabili e attaccabili dalla speculazione internazionale sul cambio. A tutti gli effetti, ci siamo accorti ben presto di un fenomeno di inflazione reale fortissimo, con prezzi che tendevano a salire (una pizza margherita che costava 4.000 lire, quasi da subito venne a costare 4 euro sfruttando nell’immediato una debolezza psicologica umana, che tende a considerare il primo numero di una cifra), ed oggi, a dieci anni dall’introduzione dalla moneta unica, possiamo tranquillamente dire che ciò che costava 1.000 lire oggi costa un euro (a un cambio quasi doppio, però).

Argema – Quell’oceano di soldi in nero


Se scendiamo più nel dettaglio e senza guardare in faccia nessuno possiamo dire che una parte dell’Italia ha fortemente approfittato dell’avvento dell’euro. Chi ha potuto, ha subito alzato i propri prezzi, e parliamo di commercianti vari, ristoratori, medici, notai, avvocati, commercialisti, dentisti, liberi professionisti in genere. Va detto forte e chiaro che molte materie prime salivano poco o niente, come ad esempio i beni agricoli, ma a noi consumatori veniva tutto aumentato spacciandocelo per “sono aumentate le materie prime”, oppure “è aumentato il costo della vita”. Ed ecco che il medico specialista, o il dentista, equiparavano subito le 100.000 lire a 100 euro. Una fenomenale massa di denaro veniva drenata dalle tasche di lavoratori dipendenti e pensionati, per finire nelle tasche di chi già possedeva una situazione migliore. Per ovviare all’aumento dei prezzi molte volte le persone cercavano il risparmio del “senta, e senza IVA?”. Ed ecco che la massa di denaro che fluiva da una parte dell’Italia verso l’altra si tingeva parzialmente di nero. Parte di quel nero veniva riversato in conti correnti, spesso esteri, dove non fanno domande, ma anche italiani perché in quegli anni c’erano meno controlli, e parte veniva riversata sul grande amore degli italiani: il mattone.

 Eh si, perché nel 2000 il mondo intero iniziò ad andare in recessione, anche come reazione ad una spaventosa bolla speculativa dei mercati borsistici di tutto il mondo. Basti pensare che il nostro Mib30, l’indice principale di allora, toccò per ben 2 volte quota 51.000 (oggi siamo sotto 15.000). In Italia, come del resto anche in altri paesi europei, gli investitori fuggivano dalla borsa, e dove potevano investire? Nell’acquisto di immobili.  Ed ecco che quella enorme massa di denaro, in parte nera ed in parte bianca, si riversò come un fiume in piena sul mercato immobiliare, dando vita ad un incremento dei prezzi degli immobili. In pochissimi anni le case raddoppiarono, in molti casi triplicarono di prezzo grazie anche alla leva dal cambio psicologico e incontrollato della lira con la nuova moneta europea (1.000 lire = 1 euro, 100 milioni = 100 mila euro).

Argema – Mandanti ed esecutori dell’impoverimento di parte della nostra società


Senza conseguenze? Ovviamente no. A parte un divario sempre maggiore in fatto di ricchezza posseduta, con una fascia di persone sempre più ricca ed una massa più numerosa di persone che cominciava a non riuscire più ad arrivare a fine mese,  la fascia di persone che cercava di accedere alla prima casa veniva letteralmente massacrata: giovani coppie o singoli dovevano iniziare ad accendere mutui non più su 15 o 20 anni, ma su 30 e 40, con il risultato di un lunghissimo e pesantissimo indebitamento. E se hai un mutuo pesante da pagare… non compri più nulla, non consumi più che lo stretto necessario, insomma il tuo apporto all’economia, basata sui consumi, si riduce all’osso. Ecco dunque che la crescita economica di questo paese, che dipende da quanto le aziende producono, e dunque da quanto i cittadini consumano, non decollava. E se il Pil non decolla, ma il debito pubblico si, anche per via dell’effetto euro, il rapporto debito pubblico/Pil peggiora, passando da quel 107 del 2006-2007 al 120 di oggi. Quindi, la moneta unica ha ucciso l’Italia su commissione. Il mandante è la Germania, ma l’esecutore è lo Stato, almeno in parte, laddove non esiste una coscienza sociale e un amore di nazione che rendesse coeso il nostro popolo, che al contrario è sempre diviso e improntato al “ognuno per sé”. Ma il bello è che tutto ciò era evitabile.

Argema – Cosa si sarebbe potuto fare  


Si poteva fare qualcosa nel 2002 o no? Si, si potevano mettere in piedi delle misure di controllo dei prezzi, a livello legislativo ma anche con mezzi semplici, come ad esempio l’obbligo di mostrare, per tre anni dall’introduzione dell’euro, ovunque, e ripeto ovunque, il prezzo in Lire accanto (e della stessa grandezza) al prezzo in Euro. Sanzionando i trasgressori. Ma perché questo non fu fatto? … Fu una svista? Tecnicamente il raddoppio dei prezzi portò come conseguenza anche a un raddoppio del gettito IVA nelle casse dell’erario e questo faceva comodo allo Stato. Ma era evidente che non sarebbe durato a lungo il giochetto perché prima o poi il consumatore medio, quello che sa di avere i soldi solo se si mette le mani in tasca, si sarebbe accorto della fregatura con inevitabile crollo dei consumi. Allora perché non si mise un freno a questa speculazione sin dall’inizio? La nostra teoria è che questo “non agire” fu il frutto di un calcolo politico da parte del governo Berlusconi che si insediò nel giugno del 2001. Ma qui occorre fare qualche passo indietro. Nella seconda metà del 2000, poco prima dell’avvento dell’euro quindi, l’Italia si accingeva già ad entrare in recessione, con le aziende che mostravano i primi cali di profitto. E durante una recessione cosa fanno solitamente le persone? Non spendono, ma mettono i soldi che avanzano al sicuro, temendo tempi peggiori. Succede ovunque, ed è un fenomeno che alimenta la recessione stessa, perché i consumatori smettono di consumare limitandosi allo stretto necessario, dunque le aziende devono adeguarsi smettendo di produrre come prima, devono mandare a casa lavoratori, che a loro volta non avranno più soldi da spendere. Una catena, insomma, un circolo vizioso. 

Come si sarebbe potuto invertire il trend all’indomani dell’introduzione della moneta unica? Posto che il rapporto di cambio fu fissato a svantaggio dell’Italia e a favore della Germania, i governi avrebbero dovuto vigilare attentamente sui prezzi, come dicevamo prima. Si decise, invece di non intervenire, anche perché l’euro ci avrebbe messo al riparo da impennate inflazionistiche. Quindi ci avrebbe pensato l’euro, questa nuova valuta ad aggiustare le cose. Sembrava una manna piovuta dal cielo tanto che molti ne erano diventati euforici senza curarsi degli effetti catastrofici che avrebbe causato sul potere d’acquisto dei consumatori. Così l’italiano benestante, lavoratore autonomo, ha subito cercato di approfittarne alzando i propri prezzi ed equiparando nella sostanza l’Euro alle 1.000 lire di prima, mentre il lavoratore dipendente si è ritrovato la busta paga dimezzata in termini reali. A tutto vantaggio delle banche che in quegli anni pompavano sul mercato immobiliare a più non posso spingendo la classe operaia a contrarre mutui in euro approfittando dei tassi di mercato relativamente bassi (ma in euro!). Un trappola che ha permesso un arricchimento sfrenato delle banche che nel frattempo avevano valorizzato a bilancio cifre doppie rispetto a quelle reali e che sarebbero state onorate dal contribuente con il doppio degli anni di lavoro, rispetto a quando c’era la lira. Quindi, gran parte del risparmio delle famiglie è stato eroso così come buona parte del paese si trova adesso in tale difficoltà da non poter più contribuire ai consumi se non a quelli strettamente essenziali, e dunque non si cresce. 

 

qquebec – Una guerra a colpi di spread 


Quello a cui stiamo assistendo oggi nei paesi periferici dell’eurozona non è altro che una corsa dissennata a vendere titoli di stato italiani, spagnoli, portoghesi, ecc. per timore che falliscano sotto il peso del debito pubblico. E chi li compra? Guarda caso, proprio la BCE, che pur essendo un organismo indipendente, risente della gerarchia del potere europeo, che vede la Germania in testa, dunque volente o nolente la BCE è influenzata dal potere finanziario tedesco. In questo modo i forzieri delle banche tedesche, che ultimamente hanno venduto sul mercato una notevole quantità dei nostri Btp che detenevano, fanno il pieno di liquidità a una velocità che si può tranquillamente misurare con lo “spread”. Più si allarga il differenziale fra i titoli di stato italiani e tedeschi presi a riferimento, più veloce è il travaso di fondi dalle banche italiane a quelle tedesche. Del resto i soldi non si creano né si distruggono, bensì si trasferiscono all’interno dello stesso insieme di elementi, che si chiama Unione Europea. Quando la misura sarà colma la Germania (ma anche la Francia, perché ricordiamo che le banche francesi ultimamente hanno venduto il 50% dei Btp italiani che avevano in portafoglio) darà il placet per aiutare i paesi in difficoltà stampando moneta, rendendo operativo il fondo salva stati (Efsf) e lanciando gli eurobond.

Argema – Il debito posseduto come arma di convincimento


In Grecia l’amico qquebec ha spiegato come questo fenomeno abbia comportato una sorta di colonizzazione, perché la Grecia ha dovuto cedere per farsi aiutare, ha dovuto pagare con qualcosa il suo salvataggio. Per quanto riguarda l’Italia, invece, la situazione è più complessa. Ma abbiamo visto ad esempio alcuni fatti: uno di questi, e il più eclatante, è Parmalat, dove l’Italia ha fatto finta di scandalizzarsi, di strapparsi i capelli, ma non ha portato sino in fondo la difesa della nostra azienda.

C’era – va detto – un difetto originale, ovvero l’assenza di una definizione di alcuni settori strategici, come invece ha fatto la Francia le cui aziende di interesse nazionale sono difese dall’acquisto da parte di gruppi stranieri. Basti ricordare GDF Suez, operante nel settore energetico, che stava per essere conquistata tramite Opa da Enel, e che venne invece difesa a spada tratta e non se ne fece più nulla. In Italia invece, governi miopi, non hanno mai messo mano ad una simile definizione limitandosi a far valere il peso della golden share, peraltro invisa da tutti a livello europeo. Quindi su Parmalat si era in difetto sin dall’inizio, ma il governo italiano avrebbe potuto tentare un salvataggio in extremis, azzardato è vero .. ma possibile. Ebbene quel tentativo non è stato fatto, e Parmalat è andata. L’Italia ha dovuto cedere, e l’arma di ricatto è stata la quantità di debito italiano in mani francesi.  Perché, oggi come oggi, chi possiede il debito è sovrano, cioè comanda. Così, a breve, potrebbero finire in mani francesi anche Edison e Alitalia. E’ solo questione di tempo (e di accordi). Se la quarta guerra mondiale – come diceva Einstein – si combatterà con le pietre, forse la terza si sta già combattendo a colpi di “spread”.

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