La banda del buco

UBS, la banca del buco  di Emanuele Vandac - 20/09/2011


Si poteva immaginare un modo migliore del caso Kweku Adoboli per festeggiare il terzo anniversario del fallimento di Lehman Brothers? Si è scoperto il 15 settembre che la ex star del trading floor della UBS di Londra ha abusato dei soliti giochini speculativi a base di derivati, provocando al suo datore di lavoro una perdita di circa 1,5 milardi di euro. Una cifra enorme per i comuni mortali, ma non sufficiente a mettere (ancora) in ginocchio il colosso bancario elvetico.

In assenza di proposta di dimissioni dagli alti vertici, a preoccuparsi del proprio immediato futuro sono in questo momento solo i colleghi di Adoboli, che certamente per quest’anno non potranno contare sul bonus. Sempre che di anni futuri da UBS ce ne siano per tutti loro: a seguito dell’ennesimo scandalo, la direzione della banca ha annunciato di voler ridimensionare ulteriormente le sue attività di investment banking rispetto a quanto già annunciato ai mercati lo scorso agosto, quando si era parlato 3.500 esuberi.
Non sorprende la versione ufficiale, secondo cui Adoboli è una scheggia impazzita e le perdite sono la conseguenza di “operazioni di trading non autorizzate”. Il nodo è, come sempre, la reportistica: i trader disinibiti, almeno quelli più in gamba, riescono sempre a fare in modo che i documenti ufficiali prodotti giornalmente per tenere sotto controllo le posizioni aperte non facciano scattare alcun allarme. Infatti, due delle accuse a Adoboli si riferiscono a dichiarazioni false rese tra ottobre 2008 e dicembre 2009, e tra gennaio 2010 e settembre 2011, rispettivamente. La terza accusa è di truffa, per fatti avvenuti da gennaio 2010 a settembre 2011, un lungo periodo in cui il giovanotto di origine ghanese, ora senior trader, pasticciava con le “global synthetic equities” (un derivato che replica l’andamento del mercato azionario).
Spiega una nota della stessa UBS che “le perdite sono state causate dal trading speculativo su future su indici azionari quali S&P 500, DAX, Eurostoxx, effettuato nel corso degli ultimi tre mesi.” Salta subito all’occhio la discrepanza tra la versione di UBS e i capi di accusa: la banca sembra voler accreditare l’ipotesi che l’impiegato furbetto abbia imbrogliato solo per tre mesi, mentre le accuse ufficiali parlano di irregolarità che si protraevano da quasi tre anni.
Com’è possibile che nessuno (superiori gerarchici, internal audit, revisori, comitati rischi...) si sia reso conto di ciò che stava accadendo? “L’effettiva entità dell’esposizione al rischio era distorta - spiega UBS - dal momento che, nei nostri sistemi, le posizioni erano compensate da altre fittizie con scadenza futura su Exchange Traded Funds (fondi comuni trattati su mercati regolamentati che replicano l’andamento degli indici azionari). Si ritiene che questa ultime siano state immesse a sistema dal trader sotto inchiesta”.
Dunque, a quanto è dato sapere per bocca degli stessi rappresentanti della banca, Adoboli avrebbe adottato lo stesso pattern di comportamento di Jérôme Kerviel, il trader trentunenne di Société Générale che nel 2007 aveva accumulato posizioni non autorizzate di trading fino a raggiungere un’incredibile somma nominale di poco inferiore ai 50 miliardi, superiore alla capitalizzazione della banca al tempo dell’incidente.
Secondo la ricostruzione della banca francese, Kerviel, anche lui aficionado degli ETF come Adoboli, riusciva a non attirare l’attenzione sulle operazioni non autorizzate immettendo a sistema altri deal fasulli di segno opposto, salvo poi cancellarli entro tre giorni al massimo dal momento in cui erano stati registrati (i cicli di controllo impiegavano infatti qualche giorno a controllare le operazioni). Se qualcuno per caso avesse notato i movimenti anomali, Kerviel avrebbe replicato che si trattava di errori materiali.
Insomma, a distanza di oltre tre anni e mezzo dal caso Société Générale, un’altra banca dimostra palesemente di non aver imparato la lezione. Il caso Adoboli è particolarmente grave, dato che la storia recente di UBS è costellata di episodi imbarazzanti: prima il salvataggio da parte della Confederazione Elvetica, che ad ottobre 2008 ha dovuto versare oltre 9 miliardi di euro alla banca sotto forma di un prestito obbligazionario convertibile in azioni, che di fatto l’ha trasformata in suo azionista. Poi l’accusa di frode fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate degli Stati Uniti, secondo cui il ramo investment banking di UBS avrebbe complottato assieme ad un certo numero dei suoi 52.000 clienti americani per evadere il fisco statunitense. Il 18 febbraio 2009 UBS ha raggiunto un accordo con le autorità fiscali americane che comporta la chiusura dell’incidente dietro un pagamento di “soli” 780 milioni di dollari americani di multa (620 milioni di euro).
Insomma, il contribuente elvetico deve ormai averne abbastanza di questo ingombrante gioiello di famiglia, che continua a mettergli le mani in tasca per far fronte agli errori e alle leggerezze dei suoi manager. Né per la verità giovano alla già opaca immagine della banca i pettegolezzi riferiti dalla Reuters, che vorrebbero i dipendenti del ramo private banking (tra cui ci sono i responsabili del pasticcio con il fisco americano) molto critici con i colleghi dell’investment banking, a loro dire “fuori controllo”; o il netto rifiuto del CEO della banca Oswald Gruebel di dimettersi dalla sua carica.
Benché tale richiesta appaia legittima e motivata, anche in considerazione del fatto che il risk management è responsabilità dei vertici aziendali, egli ha etichettato ogni pressione esterna in tal senso come “motivata politicamente”, respingendola. E in effetti quest’ultimo scandalo porterà acqua al mulino di tutti quei politici elvetici, populisti o liberal, che chiedono a gran voce l’introduzione di nuove norme che separino le attività commerciali della banche da quelle di investment banking. Un dibattito che rischia solo di spostare il problema in un’altra sede: fintanto che le banche d’investimento saranno completamente libere di speculare, così da mettere in pericolo la tenuta di interi sistemi economico-finanziari, il dibattito sulla proprietà di queste bombe ad orologeria rischia di essere puro esercizio retorico.
  Fonte: Altrenotizie [scheda fonte]

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