Schiava della finanza, questa politica ci dichiara guerra



La Tav Torino-Lione? Una truffa: tutti sanno che non si realizzerà mai, ma i pochi cantieri che potrebbero venir aperti basterebbero a tener buoni per un po’ i costruttori amici dei politici, e quindi le banche. Idem il bluff della “Fabbrica Italia” di Marchionne, o gli inceneritori che fanno la gioia di chi li costruisce, o magari gli affari d’oro dei terreni per l’Expo di Milano. Dietro la fiaba della “crescita” c’è un’amara verità: mercati saturi. Quel tipo di produzioni e investimenti non fanno sviluppo e non creano occupazione, ma solo «danni e violenza». Il problema vero? Non è il debito, ma il sistema economico. E i grandi burattinai della finanza giocano al massacro: tanto, loro ci guadagneranno lo stesso, e a rimetterci saremo solo noi, cittadini senza più diritti né sovranità, né veri partiti a cui affidare il voto.


E’ la spietata analisi che Guido Viale affida al “Manifesto” il 17 luglio: «Se a votare sono “i mercati” (e che mercati!), è chiaro che il voto dei cittadini non conta più; e alla democrazia si sostituisce la dittatura della finanza». Per Viale, oggi siamo alla resa dei conti: «La finanza globale, con il suo “voto”, controlla ormai il mondo intero, ma non se stessa». Quello che succede, infatti, non è il risultato di un lucido piano concordato a tavolino, ma l’effetto di un meccanismo cieco che si chiama “accumulazione del capitale”. Un mostro che «non ha paura delle crisi, anche di quelle che provocano gigantesche distruzioni di ricchezza, comprese le guerre». E infatti, «le conseguenze delle misure prese per fare fronte alla crisi finanziaria sono l’equivalente di un bombardamento sulla popolazione, sui posti di lavoro, sui redditi, sulle strutture produttive, sulla residua integrità del territorio di un paese. L’importante è che dopo la crisi o la distruzione si ricominci; perché è il meccanismo, e non il risultato, quello che va salvato».

La crisi attuale, continua l’editorialista del “Manifesto”, ci insegna che la politica italiana – come quella di molti altri paesi europei – si fa in sede Ue; e che a farla è il “voto” dei mercati, cioè il capitale finanziario. Poi, che il voto dei cittadini non conta niente: i referendum hanno detto chiaramente che gli italiani non vogliono le privatizzazioni, né dell’acqua né dei servizi pubblici locali? Eppure, «la manovra appena approvata si regge su privatizzazioni destinate ad azzerare per sempre qualsiasi forma di federalismo (alla faccia della Lega), mettendo i servizi pubblici in mano alla finanza e relegando i sindaci al compito di gestire l’anagrafe e dare la caccia agli extracomunitari».

In più, «non esistono neanche più i partiti». Quando sono in gioco questioni cruciali, «la cosiddetta opposizione si rivela per quello che è: un mero puntello del governo». Del governo nazionale, e delle scelte dell’Unione Europea «quali che siano, perché nessuno sa quali saranno». La politica? Si limita a obbedire «ai diktat della finanza internazionale». E nessuno che provi a proporre qualcosa di diverso dall’invocazione di generiche misure per la “crescita”. Ma senza neppure elencarle, «perché ogni proposta potrebbe venir vanificata, da un giorno all’altro, da un nuovo sobbalzo dei mercati finanziari». Così, Bersconi agonizza sorretto dai “responsabili”, fra truffe e imbrogli (da Bertolaso a Milanese, passando per Bisignani e compagnia, senza toccare i costi della Casta) mentre Tremonti è da anni alle prese con la sua “patrimoniale al contrario”, quella dei condoni e degli scudi fiscali. Vie d’uscita? Nessuna, a quanto pare. E dietro l’angolo, c’è la Grecia.

Come Stato, la Grecia è già fallita: ormai lo riconoscono tutti. Atene «non ha né avrà mai più la possibilità di fare fronte ai suoi debiti», scrive Viale. «Ma prima di dichiararla tale si vuole raschiare il barile fino al fondo: succhiare tutto quello che si può ancora estrarre dai redditi dei suoi cittadini e impadronirsi di tutti i servizi pubblici e i beni comuni di cui è ancora in possesso». Quello che l’Ue deve ancora decidere è che cosa caricare sui redditi dei contribuenti, soprattutto tedeschi, ma non solo: se i costi dell’insolvenza della Grecia, per salvare le banche cariche di bond greci, oppure l’insolvenza delle banche che hanno quei bond. «Ma il problema potrebbe ripresentarsi altrove; perché nel bel mezzo di questo dilemma il “contagio” si è trasmesso ad altri paesi già in bilico; e fermarlo adesso è molto più difficile e costoso: naturalmente per chi dovrà farsene carico, cioè i lavoratori e i disoccupati europei. Per di più in un contesto assai turbolento».

Anche gli Stati Uniti sono sull’orlo del default. E neanche il governo cinese, loro principale creditore, se la passa più tanto bene; e potrebbe cominciare a presentargli il conto. «Pochi lo dicono, perché il problema è per ora quello di passare all’incasso di quanto si è già estorto», ma per  Viale «tutto lascia credere che questa manovra mostruosa non metterà affatto “al sicuro” i conti dello Stato italiano, come non erano “al sicuro” quando Tremonti ce lo assicurava una settimana, un mese, un anno o dieci anni fa». Ormai è più che un sospetto: «E’ sempre più probabile che il punto di approdo di questa deriva sia comunque il default; in un contesto internazionale in cui non saremmo certo i soli. Allora tanto vale arrivarci subito», perché «il problema vero non è il debito, ma un meccanismo di “crescita” bloccato; che non riprenderà certo se banche e Stati europei avranno la possibilità di mettere sul mercato qualche decina di miliardi in più».

Valga per tutti il Tav Torino-Lione, «che ormai si configura come niente altro che una truffa all’Unione Europea: tutti sanno che non verrà mai portato a termine; ma potrebbe tenere in vita per qualche anno i costruttori a cui il sindaco di Torino e il presidente del Piemonte hanno legato le loro fortune: a spese della popolazione della valle di Susa, che è un esempio vivente di democrazia partecipata, e dell’intero popolo italiano, ingannato (ma fino a quando?) con la favola della “modernizzazione” delle infrastrutture». Lo stesso dicasi per il fantomatico piano “Fabbrica Italia” evocato da Sergio Marchionne, o il programma di incenerimento dei rifiuti in tutta Italia (proprio mentre si dimostra che la raccolta differenziata può arrivare all’80 per cento) o i progetti edilizi sull’area dell’Expò milanese.

Che fare? La lista è infinita: conversione energetica (efficienza e fonti rinnovabili), rivoluzione agricola e alimentare, mobilità sostenibile di persone e merci, salvaguardia del territorio, ricerca ecologica, istruzione, potenziamento dei servizi pubblici locali come volano di un’economia centrata sui territori. Obiettivo: rapporti più diretti tra produzione e mercati locali, sottraendosi alla morsa della concorrenza globale che distrugge le economie locali, crea disoccupazione e impone condizioni di lavoro inaccettabili. E poi: riforma della pubblica amministrazione, lotta all’inefficienza, ammortizzatori per consentire a ciascuno di valorizzare le proprie capacità. Chi potrebbe fare tutto ciò? «Per ora nessuno». Viale spera in una «risposta di massa di tutti gli indignati d’Europa», verso «embrioni di organizzazioni e di strutture di gestione alternative a quelle esistenti, in grado di imporre anche all’agenda politica dell’Unione Europea gli obiettivi di una politica che ci risollevi dal mondo di macerie in cui la sua governance ci sta precipitando» (info: “Il Manifesto”).
Articoli collegati
Pericolo: l'Europa taglia democrazia, e la politica tace
Lacrime e sangue, ma non per i padroni d'Europa
Rischio Grecia: la val Susa contro i predoni del debito
Grazie val Susa, che ci insegni a lottare per un futuro vero
Difendiamoci da quest'Europa che ci dichiara guerra


http://www.libreidee.org/2011/07/schiava-della-finanza-questa-politica-ci-dichiara-guerra/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+libreidee%2FyDHz+%28LIBRE+-+associazione+di+idee%29&utm_content=Netvibes

Commenti